Trani, bugie e videotape

Luciano Capone

L’arresto di una famiglia di imprenditori che somiglia tanto a un sequestro di persona (con riscatto). E poi magistrati corrotti per processi comprati e venduti, inchieste roboanti finite nel nulla (vedi: agenzie di rating), amori e ricatti hot tra giudici. L'incredibile storia di una procura che è un monumento della malagiustizia italiana

L’inchiesta di Potenza che vede accusato di corruzione l’ex procuratore Carlo Maria Capristo ha riportato alla luce le gesta della famigerata procura di Trani. Nell’ambito della riforma della giustizia, il ministro Marta Cartabia dovrebbe trasformare quell’edificio in un monumento alla malagiustizia: la colonna infame dei nostri giorni, simbolo di tutte le patologie del sistema giudiziario.

 

C’è una storia che dà un’idea chiara, seppure incredibile, di come un palazzo di giustizia possa trasformarsi in un sistema criminale istituzionalizzato. Risale a 15 anni fa, ma è emersa solo recentemente, nell’ambito del processo che ha visto condannati diversi magistrati di Trani perché pilotavano inchieste e sentenze in cambio di soldi. Parliamo di un pluri-sequestro di persona a scopo di estorsione, per certi versi simile a quelli che facevano tra gli anni ‘60 agli anni ‘90 la Banda della Magliana, l’Anonima sarda e la ‘Ndrangheta, ma in questo caso organizzato da magistrati. E’ la storia dei Casillo di Corato, tra i più importanti imprenditori del grano al mondo, la più grande azienda della Puglia per fatturato. Nel 2005 la procura di Trani mette sotto inchiesta i quattro fratelli Casillo in un fascicolo per degli spietramenti nei terreni della loro azienda agricola. Francesco Casillo, il fratello che gestisce l’azienda, viene avvicinato da alcuni emissari che gli consigliano, per risolvere presto la questione ed evitare guai peggiori, di rivolgersi a un avvocato amico del pm Antonio Savasta e del gip Michele Nardi che si occupano del caso. Casillo racconta, 14 anni dopo, nel processo che ha visti condannati a 10 anni Savasta e a 16 anni Nardi, che si rifiutò di cambiare avvocato perché non accettava di subire ricatti. Pochi mesi dopo, la procura di Trani sequestrò una nave che trasportava grano dal Canada perché ritenuto contaminato. Uno dei principali acquirenti, insieme ad altri imprenditori, era sempre Casillo che venne di nuovo avvicinato per chiedergli di cambiare avvocato. L’imprenditore, di nuovo, rifiutò l’“offerta”: “Anche perché quando si va sotto a queste persone poi, come i delinquenti, ti fanno altre richieste”, dice Casillo.

 

L’imprenditore, ritenendo di non aver commesso alcun reato e, anzi, di essere eventualmente parte lesa qualora il grano acquistato da un affidabile ente governativo canadese fosse risultato contaminato, fece fare dei campionamenti che risultarono tutti negativi e consegnò i risultati ai magistrati per ottenere il dissequestro della nave. Dopo una perquisizione fatta da centinaia di finanzieri in tutte le sedi d’Italia dell’azienda, a gennaio del 2006, con un’operazione che finirà su tutti i telegiornali nazionali, Francesco Casillo viene arrestato e messo in galera sempre a opera del duo Savasta-Nardi. A quel punto arriva un altro messaggio. Un amico di famiglia viene avvicinato per informarlo che il giorno seguente anche gli altri tre fratelli sarebbero stati arrestati e che per gestire la situazione sarebbe stato opportuno rivolgersi agli avvocati amici dei magistrati. Il giorno dopo, effettivamente, vengono arrestati per l’inchiesta sullo spietramento i due fratelli e la sorella Casillo. A quel punto si apre, proprio come con la criminalità organizzata, una trattativa. L’avvocato dice alla famiglia che per la liberazione serve “1 milione di euro: 250 mila euro a fratello” e per dare la dimostrazione della fondatezza della richiesta anticipa la notizia della scarcerazione della sorella Casillo, che in effetti verrà liberata dopo un solo giorno di detenzione e senza neppure essere interrogata. Nei giorni successivi il capostipite, gravemente malato, riesce a raccogliere 400 mila euro in contanti che vengono consegnati in varie tranche man mano che, uno alla volta, gli altri tre figli vengono liberati. In totale, aggiungendo 150 mila euro di onorario per gli avvocati, la famiglia sborserà 550 mila euro.

 

La storia lascia strascichi profondi sulla famiglia: sei mesi dopo gli arresti muore il padre, don Vincenzo Casillo, e la figlia Cardenia che era incinta al momento dell’arresto perde il bambino a seguito dello shock. Di tutta l’operazione viene tenuto all’oscuro Francesco, il fratello che gestisce l’azienda e inizialmente si era opposto a qualsiasi ricatto, che scoprirà dei pagamenti solo nel 2012 dopo la sua completa assoluzione. Per rendere pubblica questa storia serviranno però altri sette anni, solo quando quei magistrati vanno a processo per la “giustizia svenduta” a Trani e ormai il reato è prescritto, perché se ti rapisce la criminalità organizzata puoi decidere di andare dalla magistratura, ma se a sequestrarti sono stati i magistrati da chi vai?

 

Per capire quale fosse il clima di paura che regnava nel distretto di Trani, un po’ come accade dove dominano le associazioni mafiose, bisogna considerare che per rompere la cappa di silenzio un giudice è dovuto ricorrere a un racconto “di fantasia” che però narrava personaggi e vicende reali. L’autore del libro, scritto nel 2014 e dal titolo “Frammenti di storia semplici”, è Roberto Oliveri del Castillo, per diversi anni gip a Trani. Il racconto è il diario di un giudice che parla della sua impotenza di fronte alle ingiustizie di cui sono vittime gli sventurati cittadini, la sete mediatica che anima le inchieste dei magistrati (“pieni di se stessi e basta, ansiosi di finire sui giornali per quel famoso quarto d’ora di notorietà”) e la corruzione diffusa tra le toghe: “I due colleghi erano conosciuti nell’ambiente come organizzatori di truffe e corruzioni di alto livello. Uno faceva il pubblico ministero, l’altro il giudice: la tattica preferita era l’intesa, il mettere in mezzo, sotto indagine, se non arrestarlo, qualche imprenditore o qualche politico (una volta addirittura un vescovo), per poi estorcere denaro per far morire il processo”.

 

Nel romanzo, il giudice Oliveri del Castillo racconta la storia di un immaginario “Salvatore Granello”, che ricalca pari pari la vicenda della famiglia Casillo incluso il pagamento del riscatto ai magistrati. Nell’ordinanza che ha imposto le misure cautelari all’ex capo della procura di Trani Carlo Maria Capristo per aver svenduto la sua funzione, e in cui sono indagati anche i magistrati suoi amici Savasta e Nardi (già condannati nel processo di Lecce), il gip di Potenza che ricostruisce questo sodalizio criminale afferma che il libro di Oliveri del Castillo, in cui l’autore è costretto a ricorrere all’artificio della finzione letteraria per raccontare cose vere e riconoscibili, è la dimostrazione della “forza dell’intimidazione esercitata dal Capristo”. Insomma, persino i giudici avevano paura dell’onnipotente procuratore. Su questo punto, però, il giudice Oliveri del Castillo non concorda: “Se avessi risentito del potere intimidatorio di Capristo non avrei proprio scritto il libro”, ha detto al Foglio. E ha spiegato che “il clima intimidatorio esisteva e si percepiva pesantemente, ma nei confronti dell’ambiente e di cittadini che venivano a parlare e confidarsi con me. Ma pur essendo un giudice ho dovuto scrivere un racconto ‘di fantasia’ perché le persone non avrebbero mai confermato pubblicamente quei fatti”. E questo clima omertoso non era tanto dovuto a uno scarso senso civico della società, ma al fatto che negli anni i numerosi esposti inviati alla procura di Lecce erano sempre stati archiviati. E, allo stesso modo, la procura poteva godere o riteneva di poter godere della protezione del Consiglio superiore della magistratura che si è mosso molto lentamente nei confronti delle numerose segnalazioni che arrivavano da Trani.

 

Il senso di impunità era talmente elevato che Capristo inviò una copia del romanzo del gip Oliveri del Castillo al procuratore di Lecce e al Procuratore generale della Cassazione, non per segnalare le anomalie nel suo ufficio contenute nel libro, ma per denunciare l’autore: “Disegnare un ufficio giudiziario fatto di intrighi e malaffare, Presidente e Signori del consiglio, non mi pare una cosa giusta né che possa passare per una critica letteraria, una libertà di pensiero. No.”, dice Capristo al Csm dove da un lato attacca chi denuncia il malaffare in procura e dall’altro difende i suoi “ragazzi”, ovvero i pm Savasta e Scimè all’epoca sotto procedimento disciplinare e poi condannati per corruzione insieme al giudice Nardi. La realtà è che a Trani la giustizia era un sistema criminale in cui alcuni pubblici ministeri, giudici e avvocati compravano e vendevano inchieste e carne umana. Uno dei sodali di Nardi, Savasta e Scimè era un imprenditore condannato per usura che pagava per aggiustare i processi. I magistrati di Potenza parlano di una vera e propria associazione a delinquere dedita alla commissione seriale di corruzione in atti giudiziari. E al vertice della procura c’era sempre il capo che copriva i suoi “ragazzi” difendendoli ovunque e con valutazioni di professionalità eccellenti. Scrive il gip che nel rapporto di Capristo sulla professionalità di Savasta, il pm reo – confesso e condannato a 10 anni in primo grado – aveva un indiscusso valore morale riconosciuto da colleghi e avvocati e poi era imparziale e corretto, aveva una preparazione superlativa e pertanto il giudizio era “altamente positivo”, nonostante le voci e gli esposti contro Savasta fioccassero. Quanto a Scimè, l’altro pm condannato a 4 anni in primo grado, scrive il gip di Potenza che il giudizio di Capristo era fatto di “29 pagine agiografiche che trasudano di entusiastiche valutazioni, esaltazione di capacità organizzative e investigative come forse neppure riconosciute in Sicilia a Falcone e Borsellino”.

 

A fianco alla corruzione diffusa e al mercimonio degli atti giudiziari, la procura di Trani è stato anche il preclaro simbolo di un’altra patologia della giustizia italiana: il protagonismo, la ricerca di attenzione mediatica e di popolarità attraverso inchieste clamorose che si sono risolte nel nulla. Il massimo esponente è stato il pm Michele Ruggiero, estraneo alla rete corruttiva e di relazioni con gli avvocati, ma autore di un numero spropositato di inchieste contro i principali istituti finanziari nazionali e internazionali che si sono risolti con raffiche di assoluzioni. A Trani è stata persino indagata la Banca d’Italia per usura e poi, per ipotesi di reato varie, tutti i vertici delle principali banche nazionali: Monte dei Paschi, Unicredit, Intesa Sanpaolo. C’è poi stato il filone dei complotti internazionali, con le clamorose inchieste contro le agenzie di rating che nel 2011 avrebbero ordito il famoso golpe dello spread: la procura di Trani era diventato il punto di riferimento economico-letterario-storiografico del M5s e anche dell’attuale ministro per la Pubblica amministrazione Renato Brunetta. Entrambi, M5s e FI, fecero nominare il pm Ruggiero come esperto consulente della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle banche. Anche se poi tutti i processi contro le agenzie di rating, dopo che erano stati chiamati a testimoni ministri ed ex presidenti del Consiglio e persino l’allora presidente della Bce Mario Draghi, finirono con una pioggia di assoluzioni. Stesso discorso per l’inchiesta contro Deutsche Bank, in cui il pm aveva scelto come consulente tecnico l’attuale direttore dell’Agenzia delle Dogane Marcello Minenna: un altro complotto di cartone anti-italiano sempre nel filone del “golpe finanziario" del 2011 che non è arrivato neppure a processo. Idem per l’inchiesta contro il Tesoro e Morgan Stanley sui derivati. A un certo punto Ruggiero e Capristo aprirono addirittura un fascicolo sulla correlazione tra vaccini e autismo, con il pm che aveva partecipato a un convegno con un noto medico No Vax.

 

Tutte queste anomalie erano state segnalate in un lungo articolo del Foglio del 4 giugno del 2016, dal titolo “I Savonarola di Trani - Come una piccola procura che s’è esibita nell’accusare il mondo ha fatto più che altro buchi nell’acqua”, che Capristo davanti alla Prima commissione del Csm definì scritto da “giornalisti senza scrupoli”: “Abbiamo fatto indagini di una certa consistenza e siamo davanti ai giudici – dice Capristo al Csm –, quindi non sono indagini finite nell’acqua, come scrive l’articolista del Foglio”. Alla fine sono stati tutti assolti e in molti casi l’accusa non ha neppure appellato le sentenze. L’unico condannato tra i protagonisti di quei processi sui “complotti internazionali” è il pm Ruggiero, punito in primo grado a un anno di reclusione insieme a un altro collega per tentata violenza privata su due testimoni al fine di costringerli ad accusare un’indagato.

 

Cose folli. Come la condanna per calunnia del magistrato Nardi nei confronti di due colleghe, Maria Grazia Caserta e Margherita Grippo, e dell’avvocto Michele Laforgia. Un effetto degli strascichi di una relazione extraconiugale tra Nardi e la Caserta, all’epoca entrambi gip a Trani, prima amanti e poi travolti dalla loro stessa passione in un vortice di ricatti e minacce. La vicenda finisce in tribunale con denunce reciproche di violenze e stalking in cui entrambi vengono assolti. Ma Nardi, il protagonista del sistema corruttivo, accecato dalla sua voglia di vendetta, a detta di un testimone, tenta addirittura di diffondere video hard per ricattare la ex amante. Anche il sesso è un tema ricorrente. Sempre a Potenza, il pm Ruggiero è andato a dichiarare di essere venuto a conoscenza che, per delegittimare le sue indagini, dipendenti del tribunale avevano pensato di farlo agganciare da una escort per ricattarlo perché, a detta sua, ritenuto incorruttibile con un unico punto debole: le donne.

 

A Trani, come è evidente, per anni la giustizia è stata affetta da tutte le possibili patologie della magistratura italiana, secondo un meccanismo attraverso cui ogni malattia indeboliva il corpo creando spazio per far avanzare le altre malattie. E ovviamente, gli anticorpi non solo non c’erano a livello locale, perché il procuratore copriva le irregolarità e gli illeciti dei suoi “ragazzi”, ma mancavano anche a livello centrale visto che il Csm ha poi premiato Capristo con la nomina a capo della procura di Taranto dove, secondo i magistrati di Potenza, si è innestato lo stesso sistema. Come una metastasi.

 

Per riformare la giustizia, la ministra Cartabia dovrebbe studiare a fondo il caso Trani come prototipo di tutto ciò che non va. E il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, anche in qualità di presidente del Csm, per dare un segnale alle vittime della malagiustizia. potrebbe incontrare la famiglia Casillo, l’unico caso noto al mondo di presone rapite dai magistrati.

 

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali