Carlo Maria Capristo (foto Ansa)

La procura di Trani, tra romanzo e realtà

Luciano Capone

"Se mi fossi fatto intimidire da Capristo non avrei scritto quel libro". Parla Roberto Oliveri del Castillo, il gip che in un racconto aveva svelato la giustizia corrotta a Trani anni prima dell'inchiesta di Potenza sull'ex procuratore e Amara

“Guardi, se avessi risentito del potere intimidatorio di Capristo non avrei proprio scritto il libro”. Roberto Oliveri del Castillo è un giudice che non è solito rilasciare dichiarazioni, ma stavolta è quasi costretto a farlo per precisare la ricostruzione uscita dall’ordinanza di misure cautelari del tribunale di Potenza che ha portato all’arresto dell’avvocato Piero Amara e all’obbligo di dimora dell’ex procuratore di Trani e Taranto Carlo Maria Capristo con l’accusa di corruzione in atti giudiziari. L’inchiesta di Potenza ha riscoperchiato il verminaio della procura di Trani, di cui su questo giornale abbiamo scritto a lungo, e dove già diversi magistrati e avvocati sono stati condannati per aver a lungo comprato e venduto inchieste e processi. E nelle pagine dell’ordinanza ha ripescato il contenuto di un libro, scritto da Oliveri del Castillo quando era gip a Trani, che descriveva quell’ambiente corrotto.


Solo che quel libro, dal titolo “Frammenti di storie semplici”, era un racconto “di fantasia” che però parte da storie e fatti realmente accaduti. Nel libro, che descrive un sistema corruttivo tra i magistrati già accertato in un altro processo, si parla anche delle pressioni del “procuratore Clammis” a favore del suo caro amico “avvocato Granchio”. E questo è uno degli episodi descritti nell’inchiesta della procura di Potenza che nella realtà ha avuto come protagonisti Capristo e il suo “alter ego” avvocato Giacomo Ragno, con cui aveva una relazione speciale fatta secondo l'accusa di scambi di favori illegali che è proseguita quando Capristo è andato a guidare la procura di Taranto, dove Ragno è riuscito a ottenere incarichi dall’Ilva in amministrazione straordinaria.

 

Nell’ordinanza, i magistrati di Potenza scrivono che il libro di Oliveri del Castillo “evoca persone e fatti” che erano “agevolmente riconducibili a quelli tranesi” anche se l’autore per descrivere il malcostume diffuso “ricorre a una forma romanzata e a nomi di fantasia”. E questo artificio letterario, secondo la procura di Potenza, sarebbe “una formidabile controprova della forza dell’intimidazione esercitata dal Capristo”. Insomma, persino i giudici avevano paura dell’onnipotente procuratore. Ma su questo, l’allora gip di Trani non concorda. “Non è così, non ero intimorito da Capristo – dice al Foglio il giudice Oliveri del Castillo – altrimenti non avrei scritto il libro. Il clima intimidatorio esisteva e si percepiva pesantemente, ma nei confronti dell’ambiente e di cittadini che venivano a parlare e confidarsi con me. Pur essendo un giudice ho dovuto scrivere un racconto di fantasia partendo dagli elementi di realtà perché quelli erano dati emersi da confidenze, fatte da persone che non avrebbero mai esposto quei fatti”. E infatti i colleghi che si sentivano smascherati non presero bene quel libro, che finì anche al Csm. “Il racconto era l’unico modo per dare espressione a cose che altrimenti non sarebbero mai venute fuori. Questo era il clima pesante che c’era a Trani, anche perché alcuni esposti su alcuni pm indirizzati alla procura di Lecce erano stati in passato archiviati”. I suoi colleghi però dicono che lei è stato intimidito da Capristo. “Ma io non l’ho subìto. Avrei dovuto fare un esposto o una denuncia di cosa? Di fatti che non sarebbero stati confermati? Magari per essere a mia volta denunciato per calunnia e diffamazione?”.

  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali