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Buttarla in tribuna sullo Stadio della Roma

Annalisa Chirico

Relazioni e non corruzione e Lanzalone non è pubblico ufficiale. Su cosa punta la difesa di Parnasi

Roma. Nelle ore in cui il M5s si adopera per ridimensionare le responsabilità di chi doveva amministrare e si lasciava piuttosto amministrare, di chi doveva vigilare e non vigilava, due avvocati si accingono a compiere la più ardua delle imprese: difendere quel che appare indifendibile. “Se mi chiede la nostra strategia, le premetto che non c’è ancora. Con un fascicolo di 7 mila pagine, dobbiamo mettere a fuoco le accuse e gli elementi in mano ai pm. Adesso l’urgenza è che Luca Parnasi sia trasferito a Roma”, dichiara al Foglio il legale Emilio Ricci che con il collega Giorgio Tamburrini difende il costruttore romano, titolare della società Eurnova cui fa capo il progetto di sviluppo del nuovo stadio della Roma.

  

“Ho incontrato il mio assistito a San Vittore all’indomani dell’arresto. Si trovava a Milano per un caso fortuito, mi auguro che presto si rimedi perché la distanza comporta una lesione del diritto di difesa. Per chiedergli un numero di telefono, dobbiamo affrontare un viaggio. Mi chiedo inoltre se abbia senso tenerlo dietro le sbarre: esistono misure cautelari meno afflittive in grado di soddisfare le esigenze investigative senza determinare la totale privazione della libertà personale. Non voglio pensare che le persone vengano messe in galera per farle confessare”.

 

Secondo i magistrati capitolini Paolo Ielo e Barbara Zuin, l’imprenditore sarebbe a capo di un’associazione a delinquere finalizzata alla commissione di una “serie indeterminata di delitti contro la pubblica amministrazione”; in particolare, stando alle carte dell’inchiesta, Parnasi “impartisce direttive agli altri partecipi, definendone compiti e modalità operative, mantiene i rapporti con gli esponenti del mondo politico, istituzionale, finanziario ed in genere cura prima persona la programmazione e realizzazione delle operazioni delittuose”. Considerata l’entità delle accuse, è forse il caso di definirla una strategia che convinca i giudici… “Anzitutto, noi contestiamo l’ipotesi corruttiva – prosegue Ricci – Nell’ordinanza di arresto non si ravvisano atti corruttivi, né conformi né difformi, alla convenzione dello stadio di Tor di Valle. In altre parole, secondo la pubblica accusa non è in questione la liceità del procedimento amministrativo in quanto tale. Se così è, non si capisce quale sarebbe il reato”. Per i pm, Parnasi avrebbe usato il “metodo corruttivo” come un vero e proprio “asset di impresa” coinvolgendo esponenti locali di spicco di M5s, Pd e Forza Italia.

 

L’avvocato genovese Luca Lanzalone, ormai ex presidente di Acea, avrebbe agevolato gli interessi di Parnasi in cambio di consulenze mascherate. “Noi non abbiamo evidenza di consulenze effettivamente assegnate al signor Lanzalone da società riconducibili al nostro assistito. E sul fatto che lo stesso Lanzalone, in assenza di un ruolo formale interno alla pubblica amministrazione, possa essere qualificato come pubblico ufficiale, è questione affatto pacifica sul piano giuridico. Io difendo in giudizio diversi enti pubblici ma non per questo sono un pubblico ufficiale. Il profilo del pubblico ufficiale, non meno dell’incaricato di pubblico servizio, ha determinate caratteristiche fissate dalla legge”. D’accordo, il “Mr. Wolf”, introdotto in Campidoglio dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, che parla con Luigi di Maio e va a cena con Davide Casaleggio, non ricopre un incarico istituzionalizzato in Campidoglio ma agisce da “assessore allo stadio” al punto che l’assessore all’Urbanistica, quello vero (Luca Montuori, ndr), si consulta con lui. “Certamente Lanzalone è una figura ben insediata nel milieu pentastellato che collabora con l’amministrazione capitolina ma ciò non basta a stabilire una proprietà transitiva. E’ una forzatura che non tiene sul piano del diritto. Per non parlare dell’associazione a delinquere instaurata da Parnasi insieme ai suoi dipendenti: è come se domani il suo direttore venisse incriminato per un reato e i giornalisti, inquadrati in redazione, fossero per questo considerati suoi sodali”.

 

Parnasi, la cui società risulta ultraindebitata (l’unico asset di Eurnova è proprio il terreno dell’ex ippodromo di Tor di Valle, valore 46 milioni di euro, a fronte di debiti che nel 2016 ammontano a 47), finanzia politici di destra e di sinistra in cerca di favori e appalti. “Non intendo nascondermi dietro un dito: come molti imprenditori, anche lui dà una mano a questo e a quello. Esponenti di schieramenti diversi gli chiedono di versare un obolo, i contributi sono tutti regolarmente tracciati”. La tangente via Iban, in effetti, sarebbe un inedito assoluto ma l’ipotesi accusatoria è che vi siano pure mazzette vere. “Questa non è un’ipotesi, è un sospetto: mancano le prove. Si può esprimere, anche a ragione, un giudizio negativo su certe commistioni di interessi o su una supposta rete relazionale; in taluni soggetti si può ravvisare forse un comportamento non conforme alla deontologia. Ma i reati sono un’altra storia”. Da giorni il cosiddetto “sistema Parnasi” troneggia nelle prime pagine dei giornali. Dall’aperitivo, a base di salame ben affettato, con il leghista Giancarlo Giorgetti alle entrature con l’Opus Dei fino alla ristrutturazione della villa di Fregene con soldi distratti alla società: sembra una storia tratta da “Le mani sulla città” di Francesco Rosi. “I quotidiani – conclude Ricci – hanno pubblicato atti coperti dal segreto, noi stessi apprendiamo dettagli e notizie dai cronisti prima ancora che dagli organi preposti. Quando di una conversazione intercettata viene estrapolato un frammento decontestualizzato per darlo in pasto alla stampa, ne derivano interpretazioni parziali e fuorvianti. Ma difendersi dal processo mediatico è pressocché impossibile”.