L'apparizione di Pogačar a Cortals d'Encamp

Il ventenne sloveno conquista la nona tappa della Vuelta. Nairo Quintana, secondo al traguardo, è la nuova maglia gialla

Giovanni Battistuzzi

Ha un solo verso la strada che porta all'Alto Els Cortals d'Encamp. D'altra parte prima che ci costruissero la funivia che porta in cima al Pas de la Casa, lassù c'erano solo pascoli, due baite e qualche enorme masso che spunta ritto dal terreno come fosse un'apparizione. I geologi dicono che sono i rimasugli della discesa di un ghiacciaio. Qualcuno afferma che siano delle torrette di guardia di una presunta popolazione di giganti. E chi lo afferma ogni anno verso inizio maggio sale sino all'ultimo di questi massi, quello che sta davanti alla stazione di risalita, per osservare un particolare effetto luminoso, che, dicono, sia l'evidenza della presenza di forme di vita aliena. Se così fosse si tratterebbe di una forma di vita aliena molto puntuale. Di avvistamenti alieni in questi luoghi ce ne sono stati parecchi dagli anni Ottanta a oggi. D'altra parte qui è sempre stato così. La presenza di questi massi, la lontananza dai centri abitati ha richiamato per secoli mistici ed eremiti visionari. Uno di questi, Luis Marego, un'eremita dell'Ottocento, lo provarono pure a farlo santo. La parrocchia di Encamp provò a presentare istanza di beatificazione, ma dal Vaticano non arrivò mai risposta. Sostenere di prevedere il futuro non rientrava nei requisiti per essere considerati beati.

 

Ogni tanto però gli eventi in queste zone anticipano il futuro, si materializzano prima. O almeno questo è successo oggi nella nona tappa della Vuelta, quando dalla pioggia torrenziale che ha inondato l'Alto Els Cortals de'Encamp è apparso Tadej Pogačar.

 

Ai 2.095 metri dell'arrivo lo sloveno si è presentato da solo con il sorriso di chi sa benissimo di averla fatta grossa. Perché lassù a essere attesi erano altri, uno tra Lopez, Quintana, Valverde o Roglic, uno insomma tra quelli che oggi dovevano dare un segnale se non di dominio quanto meno di superiorità: un messaggio buono a togliere morale ai rivali e a far crescere certezze. E Miguel Angel Lopez c'aveva provato. Due scatti secchi sulla penultima salita: uno buono a far capire che aveva gambe e testa per essere il migliore, l'altro per lasciare sui pedali i rivali. Era scappato Lopez, lontano, solo, pronto a conquistare tutto. Poi una scivolata sullo sterrato e botte fisiche e morali, il ritorno del suo solito stato di insicurezza che ormai lo accompagna come un freno da anni.

 

Un'insicurezza che non ha Valverde, che prova l'assolo. Un'insicurezza che non ha nemmeno Pogačar che l'assolo lo trova invece. Prima con Quintana, poi da solo. Un allungo, un'accelerazione progressiva e inesorabile, la testa della corsa conquistata, lo striscione d'arrivo che diventa battesimo, l'anticipazione di un futuro da primattore.

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