Il ciclismo libero e un po' naif della Tropicale Amissa Bongo

Niccolò Bonifazio conquista la corsa a tappe africana. A Lorrenzo Manzin l'ultima tappa. Il resoconto di una gara che è stata un vortice colorato attraverso il Gabon

Giovanni Battistuzzi

Libreville è un'apparizione dopo chilometri e chilometri di strade in mezzo alla savana. Palazzi e alberghi disordinati immersi in un verde brillante, quasi irreale, mentre il biondo delle spiagge tende prima all'azzurro e poi al blu profondo dell'oceano. E' un gioco di colori l'atto finale della Tropicale Amissa Bongo. Quelli che lo scenario offre, quelli che come vortice occupano l'asfalto cittadino. Così sgargiante il gruppo non lo è mai stato. Le tonalità modaiole (e un po' tristi) delle magliette degli squadroni del ciclismo mondiale sono un ricordo lontano e sulle biciclette sfilano i colori dell'Africa, macchie di verde e giallo e rosso e poi blu sgargiante, mentre il giallonero delle divise della Direct Ènergie tira il gruppo alla ricerca della quarta vittoria della loro bicicletta più veloce, quella di Niccolò Bonifazio, capoclassifica pronto all'incoronazione finale.

 

Ha i baffi curati il velocista di Cuneo mentre percorre gli ultimi chilometri della gara a tappe africana. Quasi questi fossero un omaggio a un ciclismo d'antan che in Gabon ha rivissuto, a lampi ed epifanie, per sette tappe. Baffi come quelli di un signore sconosciuto che però si è piazzato sorridente davanti la telecamera fissa dell'arrivo. Baffi come quelli che portava fiero un ragazzone a cavalcioni di una saltafoss mentre il gruppo passava veloce per cercare di raggiungere i tre avanguardisti di giornata in cerca di un colpo di teatro che non è mai arrivato.

 

Sette tappe, sette volate, ma non per questo un corsa banale. La Tropiacale Amissa Bongo è stata un'inseguimento continuo, un costante tentativo di fuga risolto da volate che altro non erano che la ricerca di una fuga ulteriore dal gruppo, dal plotone che si deformava, si allungava, si scomponeva come fosse questo un ciclismo cubista. Forse non c'è stata l'impresa da copertina, forse non c'era neppure il percorso adatto per tentarla: il Gabon corso e percorso era un insieme di dolci montarozzi senza pretesa di cattiveria. Tant'è.

 

Quello che è andato in scena alla Tropicale Amissa Bongo è stato altro dal ciclismo che siamo soliti vedere, quello incattivito dalla tensione e dal timore di una sconfitta. Un gesto libero, un flusso vitale. E' stato qualcosa che ricorda un po' il ciclismo che non abbiamo mai visto perché mai trasmesso in diretta e tantomeno in differita, quello che era racconto popolare e soprattutto orale. Quello che era un po' naif, che era un mondo nel mondo, nel quale a fine corsa si rimaneva a bordo strada a cercare di tirare il fiato e non si correva subito in motorhome per un sacrosanto riposo, soprattutto mentale. Perché il ciclismo è diventato ormai uno sforzo non solo fisico, anche psicologico. Il gruppo si è espanso, gli spazi ridotti e affollati, i pericoli cresciuti. E poi telecamere e var, giudici e numeri, watt e vam e via dicendo.

 

Da Bongoville erano partiti in novanta. A Libreville sono arrivati in ottanta e in ottanta si sono abbracciati, si sono fotografati, hanno sorriso e riso. Il più felice di tutti era Lorrenzo Manzin primo ad arrivare sotto lo striscione di arrivo della capitale gabonese. Ancora a braccia alzate dopo l'eccellente volata di Oyem e altri tre podi in una settimana. Il più felice di tutti era Niccolò Bonifazio che diverse vittorie aveva ottenuto in carriera ma mai si sarebbe sognato di conquistare la maglia di leader alla fine di una corsa a tappe. Ce l'ha fatta a Libreville, mentre i tifosi invadevano la strada incuriositi da tutte quelle biciclette colorate che provavano a rubare la scena ai colori della città.