La Milano-Sanremo, Alessandria e la riscoperta delle origini

Giovanni Battistuzzi

Il presidente dell'Uci, David Lappartient, assieme al presidente della Federciclismo, Renato Di Rocco, scendendo verso la Riviera hanno fatto tappa nella città piemontese, lì dove il ciclismo moderno è partito

Là dove il Passo del Turchino inizia e con esso la fase della Milano-Sanremo dove non si può più scherzare e bisogna stare attenti a tanto, se non a tutto; là dove il gruppo si inizia ad allungare e le squadre di chi non vuole perdere iniziano a prendere la testa del gruppo; è là che è iniziato tutto. E' l'alessandrino dei Campionissimi, Costante Girardengo e Fausto Coppi, dei primi progetti moderni di professionismo - Biagio Cavanna, la Siof e la "fabbrica" degli Angeli di Fausto Coppi -, delle prime grandi gare: la Milano-Alessandria, la Coppa del Re, che a Torino arriva, ma che per di qua, per Novi Ligure, passava e dal 1906 al 1908 arrivava. Per Giovanni Gerbi, il Diavolo Rosso, Alessandria era la "città fortunata", perché aveva visto "vincere un astigiano", lui; per Giovanni Cuniolo, il Manina, era la "gran città della perdizione", perché a Tortona, il suo paese, si contavano quattordicimila anime, mentre Alessandria sembrava una metropoli di ottantamila persona e "colle osteriole aperte pure la notte". Campanilismi antichi come antica è la data di origine di quello che è arrivato sino a noi, ossia il ciclismo moderno.

 

Era il terminare dell'Ottocento e mentre Milano, divenuta negli anni la Capitale del ciclismo italiano, ancora ragionava sul fatto se fosse giusto o meno lasciar circolare le biciclette nel centro della città, l'alessandrino diventava la provincia italiana con il maggior numero di biciclette pro-capite. Era il terminare dell'Ottocento e mentre il pedalare si trasformava in attività sportiva e si iniziavano a definire le Associazioni che curavano l'andare in bicicletta sportivo (UVI - Unione velocipedistica italiana - trasformatasi poi nei decenni in Federciclismo) oppure l'andare in bicicletta turistico (il Touring club), con connessi litigi e baruffe e prese di posizioni e incompatibilità più di facciata che di sostanza, Alessandria diventava nel 1898 il centro pulsante di quel movimento che in pochi anni iniziò a regalare all'Italia quel mito sportivo, quell'immaginario condiviso e nazionale che fu per almeno un sessantennio il ciclismo.

 

Una capitale amministrativa non solo italiana, bensì mondiale (o almeno europea). Perché in quegli stessi anni anche l'Uci (l'Union Cycliste Internationale), trovava sede qui e da qui, con Mario Bruzzone, e poi con Pilade Carozzi, alla guida, iniziava a delineare il futuro di questo sport. Era il 1901 a Parigi, il 14 aprile, Francia, Svizzera, Belgio, Stati Uniti e Italia, litigano con gli altri delegati dell'Ica, l'International Cycling Association a guida inglese, per fondare l’Union Cycliste Internationale, a trazione latina.

Oggi il presidente dell'Uci David Lappartient, il presidente della Federciclismo Renato Di Rocco e il segretario generale dell'Uec Enrico Della Casa, prima di raggiungere il traguardo della Milano-Sanremo, si sono fermati ad Alessandria, al Museo Alessandria Città delle Biciclette, per ritrovare le origini del ciclismo e chissà se non è venuto a loro in mente di poter portare qui un Mondiale che qui non è mai arrivato.

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