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La foto di una nuova Europa nel castello di Praga

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Tra gli invitati alla Comunità politica europea c’è chi pensa al futuro, chi si guarda in cagnesco e chi rassicura: non siamo qui solo per chiacchierare

Oggi nel castello di Praga, l’enorme e meravigliosa fortificazione che risale al IX secolo che è anche la sede del presidente della Repubblica ceca, si tiene la prima riunione della Comunità politica europea, un’Unione europea allargata ai paesi vicini nata da un’idea di Emmanuel Macron. Attingendo al concetto di “confederazione europea” lanciato negli anni Ottanta da François Mitterrand e ripreso anche dal leader del Pd italiano Enrico Letta in un manifesto europeo pubblicato sul Foglio nell’aprile scorso, il presidente francese aveva introdotto la Comunità politica europea in un suo discorso a Strasburgo il 9 maggio scorso, quando la Francia aveva la presidenza di turno dell’Unione europea. La guerra di Vladimir Putin in Ucraina era iniziata da oltre 70 giorni e il presidente Volodymyr Zelensky aveva già più volte chiesto di entrare a far parte dell’Ue, allarmando molti paesi europei – compresa la Francia – che da anni considerano l’allargamento un problema più che un’opportunità. Per questo l’idea della Comunità politica europea, pur se ben articolata – Macron disse in sostanza che l’allargamento è un processo lungo, che la collaborazione invece è urgente e che deve riguardare molti paesi che non presentano gli standard per entrare nell’Ue ma sono preziosi per un’azione congiunta contro l’aggressione russa – era sembrata un modo carino per dire: nell’Ue non entra più nessuno, ma possiamo trovare un modo alternativo per collaborare. Qualcuno disse che pareva il tavolo apparecchiato in cucina, cui si accede dalla porta di servizio. Il 23 giugno il Consiglio europeo conferì all’Ucraina, alla Moldavia e (solo parzialmente) alla Georgia lo status di candidati all’ingresso nell’Ue, quindi la sensazione della porta di servizio si dissolse. E l’idea di una Comunità politica europea, “un nuovo spazio di collaborazione per le nazioni europee democratiche” secondo la definizione di Macron, si fece più concreta e partecipata, tanto che la presidenza ceca dell’Ue ha deciso di tenere il primo vertice oggi: si inizia nel pomeriggio, continua fino a cena, in mezzo sono previsti bilaterali e conferenze stampa – insomma un Consiglio europeo largo, anche nell’organizzazione (i dettagli sono stati discussi il 29 settembre in una riunione degli ambasciatori a Bruxelles). I paesi invitati sono i ventisette paesi dell’Ue più: Albania, Armenia, Azerbaigian, Bosnia-Erzegovina, Georgia, Islanda, Kosovo, Liechtenstein, Moldavia, Montenegro, Macedonia del nord, Norvegia, Serbia, Svizzera, Turchia, Ucraina e Regno Unito. La foto di gruppo sotto la volta gotica della sala Vladislav del castello di Praga potrebbe diventare un pezzo di storia.

 

Il ritorno del Regno Unito. Liz Truss, premier britannico da meno di un mese, aveva inizialmente detto che non avrebbe partecipato al vertice della Comunità politica europea – ed era sembrato un grosso sgarbo. All’Ue, e a questo ci siamo abituati, ma anche allo stesso Macron, che aveva citato fin dall’inizio la necessità di creare un nuovo rapporto e un nuovo punto di contatto con Londra in questo momento di guerra e di ridefinizione delle alleanze. La relazione tra Macron e la Truss non è cominciata bene: la premier, ancora a caccia dell’incarico, aveva detto che era  da vedere e da capire se la Francia è considerabile “un’amica o una nemica”. Macron aveva minimizzato: lo sanno tutti che siamo alleati. All’Assemblea generale dell’Onu a New York a metà settembre, che quest’anno è stata un appuntamento decisivo nell’allargare la coalizione che vuole isolare Putin, la crisi è rientrata: la Truss si era impegnata in un processo “costruttivo” con Macron e lui aveva detto: andiamo avanti, dobbiamo mostrare di essere alleati. Per questo il “no” della Truss all’invito a Praga (avrebbe comunque mandato il suo ministro degli Esteri) è parso così sgarbato. Ma il giorno successivo, la premier aveva già cambiato idea: il 6 ottobre sarò alla Conferenza politica europea, ha detto il suo portavoce. Questo accadeva mentre la sterlina collassava, i mercati si allarmavano, la proposta economica finto-thatcheriana della Truss si infrangeva contro un muro di scetticismo esterno al Regno Unito e interno. Gli europei, che sono stati a lungo vendicativi nei confronti di Londra durante il negoziato sulla Brexit, in questa occasione non hanno infierito sulle possibili motivazioni della Truss e anzi si sono rallegrati: è forse questo il primo passo per un riavvicinamento, per poter condividere tempo, idee, tavoli e progetti con il Regno Unito? Sarebbe bello. A giudicare da come stanno andando le cose alla Truss – che si è dovuta rimangiare pezzi del suo budget,  che è in mezzo a un ammutinamento del suo stesso Partito conservatore e che deve ricostruire la propria credibilità, cioè la cosa più fragile e meno riaggiustabile di una leadership – il viaggio a Praga è probabilmente un sollievo. E’ la prima volta che questa brexiteer ostinata, disposta a stracciare il Protocollo nordirlandese che tiene in piedi l’accordo Brexit e sempre ostile all’Ue può trovare rifugio e ristoro in una capitale europea, assieme agli europei.

 

L’idea di Macron per tenere unita la famiglia europea allargata: aspiranti paesi membri e anche gli inglesi

 

L’Ucraina occhi negli occhi. Piotr Buras, analista dello European Council on Foreign Relations, ci ha detto che la Comunità politica europea potrebbe svilupparsi in un “forum di discussione principalmente tra Ue e Regno Unito utile a coordinare meglio una risposta alla guerra in Ucraina, comprese piccole assicurazioni sulla sicurezza per Kyiv, ma non garanzie”. Senza l’attacco russo l’idea macroniana forse non ci sarebbe stata, oppure sarebbe stata molto diversa, ma è nata proprio per dimostrare unità e avvicinare Kyiv alla famiglia europea, farla sentire più protetta. Il presidente ucraino non sarà a Praga, ma parlerà in video conferenza per suggellare questo abbraccio europeo che per il momento appare ancora piuttosto ibrido. L’Ucraina è diventata la vera frontiera dell’Unione e la guerra sta rimodellando le dinamiche sul continente e quindi sarà proprio il rapporto con Kyiv il primo banco di prova della Comunità politica europea: le soluzioni dietro il chiacchiericcio sono ciò che gli ucraini chiedono dal 24 febbraio. Dopotutto sono stati loro a sparigliare le carte, a imporre la necessità di ragionare sul serio sul rapporto che Bruxelles vuole instaurare con i paesi candidati e anche con il futuro del suo allargamento, che poi ha molto a che fare anche con il futuro della stessa Unione. Gli ucraini sentono anche di avere molto da dare e non soltanto da prendere dall’Ue e ormai intendono il rapporto con Bruxelles come uno scambio: in materia di sicurezza ne sanno più di tutti.

 

La gaffe ceca su Israele. Non ci saranno gli israeliani, altri che in tema di difesa e sicurezza, se invitati, avrebbero potuto dare un grande contributo.  Il ministro degli Affari europei della Repubblica ceca aveva dichiarato entusiasta, durante un’intervista, che anche Gerusalemme si sarebbe unita al progetto ed era attesa a Praga e che anzi la presenza di Israele avrebbe potuto anche aiutare ad aprire un dibattito su “dove finisce davvero l’Europa e inizia l’Asia”. Bellissimo! Ma Israele non ci sarà, non è stata invitata e forse l’Ue avrebbe fatto invece bene a seguire l’entusiasmo del ministro ceco.

 

Il potenziale di lite (molto alto). Che il rischio che voli qualche straccio sia alto si capisce dal fatto che i servizi di protocollo per la foto del vertice di Praga sono usciti con i capelli dritti dalle discussioni su come posizionare i leader per la foto ricordo, quella che potrebbe essere storica. Ci sono errori da non commettere, ego da tenere in considerazione ed è meglio che il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, non finisca vicino al premier greco Kyriakos Mitsotakis o peggio gomito a gomito con il cipriota Nikos Anastasiadis. E che fare con Serbia e Kosovo? Belgrado non riconosce la sovranità di Pristina e continuano a litigare minacciando scontri violenti. Meglio tenerli a distanza. Ancora più complessa è la situazione tra Armenia e Azerbaigian, che la guerra se la fanno davvero nel Nagorno Karabakh. Tanto più che gli europei stanno facendo patti con gli azeri per il gas, senza spendere neppure una parola sul conflitto, mentre l’Armenia, abbandonata dal suo alleato storico, la Russia, rischia anche disordini interni. La prova generale di convivenza c’è stata il 29 settembre, quando si sono incontrati gli sherpa dei quarantaquattro ed è andato tutto bene. Secondo Buras anche a Praga andrà tutto bene: “Il terreno comune sarà l’adesione ai princìpi di Helsinki. Ma non è prevista alcuna dichiarazione formale o dichiarazione congiunta che potrebbe potenzialmente provocare tensioni tra Turchia-Grecia o Armenia-Azerbaigian”. Sarà un esperimento di equilibrismo europeo.
 

Per gli scatti di gruppo i servizi di protocollo si sono dati molto da fare per gestire le tensioni: come sistemare Erdogan e Mitsotakis?


L’efficacia di un altro consesso. Passata la sensazione di un allargamento fittizio a paesi che non possono ambire a entrare nell’Ue, s’è cominciato a chiedere: a cosa serve allora la Comunità politica europea? Piotr Buras ci ha detto che “l’obiettivo è creare un dibattito strategico tra paesi” che hanno basi in comune e che “dia anche un senso di appartenenza alla famiglia dell’Ue per i paesi candidati”. Buras dubita che il progetto di Macron possa riuscire a tenere più vicini all’Ue i paesi che aspirano a entrare, “a meno che il processo di allargamento non diventi più credibile”. Il centro studi Bruegel ha pubblicato un documento a settembre con i consigli “per dare sostanza” a questo progetto. Prima di tutto: la coerenza. La partecipazione alla stessa Comunità “dovrebbe essere condizionata a un allineamento geopolitico”, cioè deve esserci una comunanza “sui valori fondamentali, inclusa la governance democratica, lo stato di diritto, i princìpi dell’ordine internazionale”.  Poi bisogna costruire una piattaforma che unisca “il dialogo alla   strategia e a nuove politiche” che vanno approvate inizialmente con un consenso di massima ma che poi devono diventare in qualche modo vincolanti. Ed è necessario attrezzarsi subito sui temi della sicurezza energetica e della difesa, combinando quindi non soltanto la politica ma anche le dinamiche relative all’Alleanza atlantica. Il Bruegel dice che i meccanismi formali poi si troveranno, ma l’obiettivo immediato è fermare il chiacchiericcio di chi dice: se questo è un altro posto in cui si dialoga e non si conclude nulla, chiudiamolo subito. In realtà molti altri paesi si contendono già l’organizzazione del prossimo incontro, nel 2023: Londra è molto insistente.
    


Per ora  il momento di gloria se lo gode Praga, che ha deciso di celebrare il consesso con una campagna spiritosa:  l’annessione dell’exclave russa di Kaliningrad. Dopotutto se Putin pretende di fare referendum fittizi per cambiare i confini della Russia, perché non potrebbe farlo anche la Repubblica ceca con i territori russi. Così, scherza Praga, il 97,9 per cento degli abitanti di Kaliningrad ha votato per l’annessione al territorio ceco e per cambiare il nome dell’exclave  in Královec. Certo, i due territori non sono contigui, ma cosa importa, la Repubblica ceca è già al lavoro sulle infrastrutture: strade, ferrovie, spiagge. E infine: il primo birradotto della storia mondiale, il Beerstream I, che sarà terminato entro il primo gennaio del 2023. Per l’occasione, stiamo andando a controllare i cantieri e noi,  che di rado ci organizziamo per tempo con i capodanni, questa volta abbiamo un programma: si brinda a Královec.