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La ricostruzione di un'Ucraina più europea

Paola Peduzzi e Micol Flammini

L’Ue cerca i modi per sostenere il dopoguerra di Kyiv, ispirandosi al modello anti pandemia. Tre proposte e la promessa di ritrovarsi più vicini 

Gli ucraini ripuliscono le macerie in fretta, sistemano, aggiustano, rimettono in funzione, non aspettano che siano varati piani Marshall o che il mondo si metta d’accordo su chi deve pagare la ricostruzione del paese. Gli ucraini sanno che il principio di responsabilità che si impara fin da piccini – chi rompe paga – non vale qui, che i russi che hanno rotto ogni cosa non pagheranno per aggiustarla, di certo non tutto, se va bene, e deve andare bene, giusto una parte. Sanno anche che gli alleati stanno già stanziando fondi per la ricostruzione e che stanno decidendo le regole e i modi con cui erogarli, ma che è possibile che con il tempo lo slancio solidale evapori assieme alla determinazione di oggi nel sostenere l’Ucraina: Vladimir Putin vuole la guerra lunga non tanto e non solo perché quella breve non la sa vincere, ma perché conta sul fatto che gli europei e gli americani si distrarranno, inizieranno a sentire il peso del costo dell’alleanza con l’Ucraina, si divideranno. Il presidente russo aveva fatto questo calcolo all’inizio della guerra, e lo aveva sbagliato. Lo ripete oggi uguale, così se dovesse avere ragione, potrà dire che non aveva sbagliato nulla, se non di tre mesi.

 

Gli ucraini sanno e vedono tutto, non dimenticano chi gli ha rubato la normalità della vita in semipace, ma intanto ripuliscono e aggiustano: la strada per il ritorno alla vita normale se la costruiscono da soli. Così a Bucha, il centro dell’orrore putiniano in guerra, oggi c’è l’elettricità, c’è l’acqua, il treno che va a Kyiv, la capitale, funziona, il mercato è stato ricostruito, le buche fatte dai missili sono state ricoperte, le macerie sono state rimosse, la fabbrica del vetro che è stata trasformata dai russi nella camera della tortura è tutta pulita. I cimiteri raccontano l’orrore di Bucha ma le tracce sparse ovunque dai russi vengono lavate una alla volta, il bisogno di ricostruire parte da questa straordinaria e rapida voglia di rimettere in ordine tutto e subito. S’è celebrato il primo matrimonio e  Trotsenko che ha 74 anni e lavora al mercato ha di nuovo il banco pieno e dice che la cosa che lo commuove di più oggi è la stessa che prima della guerra lo faceva innervosire maggiormente: i bambini che capricciano con la mamma perché vogliono comprare le caramelle. 

Siamo partite dai bambini e dagli anziani di Bucha, dalle madri e dalle nonne con gli occhi d’acqua, per raccontare la ricostruzione di cui c’è bisogno per rimettere in piedi l’Ucraina oltre all’iniziativa dei singoli, resistentissimi ucraini. 


Il costo della distruzione. Il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky, ha detto che ci vorranno 550 miliardi di euro per ricostruire il suo paese. Il saggista americano David Frum dice che “ricostruire l’Ucraina diventerà il più grande progetto europeo da quando la Germania dell’ovest ha assorbito la Germania dell’est all’inizio degli anni Novanta”. Il Centre for Economic Policy Research ha provato a fare due calcoli un paio di settimane fa (i costi possono solo aumentare nel frattempo visto che l’offensiva russa non si è fermata né tantomeno si è riorganizzata soltanto nell’est dell’Ucraina) e ha individuato una forbice di costi da sostenere che va dai 200 ai 500 miliardi di euro: il numero più alto è oltre tre volte il prodotto interno lordo dell’Ucraina prima dell’invasione di Putin; il numero più basso è più o meno quattro volte il budget europeo per gli aiuti internazionali. Il Vienna Institute for International Economic Studies ha stimato che le regioni afflitte dalla guerra valgono più o meno il 30 per cento della produzione del paese che è quindi andato perduto: il 30 per cento delle aziende ha chiuso, il 45 per cento ha dovuto ridurre la propria produzione. Secondo la Banca mondiale il pil annuo dell’Ucraina nel 2022 si ridurrà del 45 per cento. Il costo della guerra si preannuncia molto alto ma a Kyiv toccherà dover dimostrare di meritarsi gli aiuti necessari alla ricostruzione. Proprio come è accaduto dal punto di vista militare – l’Ucraina ha dovuto dimostrare di essere in grado di resistere a quella che pareva l’armata russa invincibile e poi di saper imparare in fretta a maneggiare armi fornite dagli alleati occidentali – anche sulla ricostruzione grava la cattiva fama del paese. Sentiremo spesso dire: siete sicuri di dare a uno dei paesi più corrotti del mondo, con una sistema di potere oligarchico proprio come in Russia, tutti i nostri soldi? Poiché questo avverrà quando le bollette saranno aumentate e l’inflazione pure, la questione diventerà molto problematica: già non si voleva morire per Kyiv, figurarsi se si vorrà dar loro fondi che non sanno nemmeno gestire nel modo giusto, corrotti come sono. 


Ricostruirsi europei. Alla ricostruzione fisica l’Ucraina dovrà appaiare anche una ricostruzione istituzionale, fatta di maggiore trasparenza e di maggiore controllo. Questa in realtà potrebbe essere anche l’occasione per il paese di costruire assieme al paese anche la sua membership europea: dovendo rifare parte delle ferrovie, per dire, conviene farle già secondo gli standard previsti dall’Ue. Nelle dispute commerciali si potrebbero già utilizzare le regole europee, che darebbero anche più certezza agli investitori stranieri. E via così. In questo modo il paese distrutto dalla guerra di Putin diventerebbe nel suo post guerra il candidato perfetto per entrare e prosperare dentro l’Unione europea, che vittoria schiacciante sarebbe.
 

Il ministro delle Finanze. Serhiy Marchenko, classe 1981, due figli e l’amore per lo sport come molti altri suoi colleghi del governo di Kyiv, è ministro delle Finanze dal marzo del 2020 ed era stato viceministro dal 2016 al 2018. Da sempre si occupa, anche con studi e programmi all’estero, di come rendere efficiente l’economia ucraina, cioè di come combattere la corruzione che è la ragione per cui già in passato le speranze riposte sul rilancio ucraino sono state vanificate. Oggi Marchenko dice che la priorità è riparare i ponti, le strade, le ferrovie, restaurare l’elettricità e la fornitura d’acqua nei territori colpiti dai bombardamenti o liberati dall’occupazione russa. Ma si pone anche un altro problema: “Non è soltanto una questione di soldi – dice – ma una questione di princìpi. Che cosa deve fare l’Ucraina per attirare gli investimenti stranieri?”. Poiché la realtà istituzionale ucraina era fragile prima della guerra, ancorare l’adesione all’Ue alla ricostruzione  garantisce quello che alcuni esperti chiamano “il boost morale” necessario per dare uno scopo alla solerzia con cui già i singoli cittadini aggiustano in fretta quel che Putin ha spaccato. L’Ue non è soltanto appartenenza, è anche la possibilità di ancorare il futuro economico dell’Ucraina a una struttura solida: la promessa di uscire più forti dalla guerra.

 

Che vittoria sarebbe contro Putin ritrovare un’Ucraina post conflitto ancora più europea di prima


Il Trust. Il presidente del Consiglio europeo, Charles Michel, ha proposto la creazione di un Trust fund di solidarietà con l’Ucraina come “punto di partenza di un Piano Marshall europeo per questo secolo” e “un motore di solidarietà per il rinnovamento e la ricostruzione dell’Ucraina”. Alla Conferenza dei donatori del 5 maggio, Michel ha promesso aiuti per ricostruire “case, scuole, ospedali e aziende” e “il futuro di un’Ucraina sicura e prospera”, combinando “i finanziamenti per la ricostruzione con le riforme”. Il Trust fund dovrebbe essere guidato dall’Ue, con contributi di paesi terzi. Ma finora non si è ancora concretizzato. “Vogliamo che l’Ucraina vinca questa guerra, ma vogliamo anche preparare le condizioni per il successo dell’Ucraina dopo la guerra”, ha detto Ursula von der Leyen davanti al Parlamento europeo il 4 maggio, promettendo “un pacchetto ambizioso per la ripresa”. La sua Commissione intende ispirarsi agli strumenti adottati durante la pandemia per aiutare Kyiv. La prima idea è di usare le stesse condizionalità applicate al Recovery fund per fare in modo che i soldi dell’Ue siano spesi in modo efficace. Von der Leyen ha parlato di “un sistema di milestone (traguardi) e target (obiettivi) per assicurare che il denaro europeo porti veri risultati per i cittadini dell’Ucraina e sia speso secondo le regole dell’Ue”. Il pacchetto dovrebbe “aiutare a combattere la corruzione”, “allineare il sistema legale (ucraino) a standard europei” e “aggiornare in modo radicale la capacità produttiva dell’Ucraina. Ma dove trovare i soldi?

 

Dove trovare i fondi. “Stiamo attualmente lavorando sulle proposte, anche con gli stati membri. Valutiamo tutte le opzioni”, ha detto martedì il commissario all’Allargamento, Olivér Várhelyi . Secondo Bloomberg, la seconda idea della Commissione è quella di creare per l’Ucraina un altro “Sure”, lo strumento introdotto durante la pandemia per aiutare gli stati membri fornendo dei prestiti per finanziare la cassa integrazione. “Sure” è debito comune dell’Ue, con emissioni della Commissione per raccogliere fondi sui mercati. Ma, a differenza di Next Generation Eu e del suo Recovery fund, il debito è garantito direttamente dagli stati membri e non dal bilancio comunitario. Alcuni stati membri, come i Paesi Bassi e l’Austria, non sono convinti e chiedono di valutare altre opzioni. L’Ue deve anche decidere se fornire a Kyiv sussidi o prestiti. Nel frattempo, la Commissione sta preparando aiuti per le necessità immediate di bilancio dell’Ucraina. Secondo Zelensky, servono 5 miliardi di euro al mese per coprire i costi di stipendi e pensioni. Nel pacchetto che potrebbe essere presentato il 18 maggio, la Commissione dovrebbe stanziare 9 miliardi per tre mesi.

 

Il trust, il debito comune, i beni degli oligarchi, il reato di aggiramento delle sanzioni e la proposta dell’estone Kallas


I beni dei russi. Il commissario alla Giustizia, Didier Reynders, ieri ha annunciato che la Commissione sta lavorando a una proposta per inserire l’aggiramento delle sanzioni nell’elenco dei reati dell’Ue. Questo dovrebbe consentire la confisca dei beni delle persone e delle entità russe sanzionate, anche negli stati membri che non hanno una legislazione specifica al riguardo. Il congelamento di beni, ville e yacht non è sufficiente per procedere alla confisca e alla vendita dei beni. Serve “un’infrazione” o “un legame con attività criminali”, ha spiegato Reynders. La Commissione poi chiederà agli stati membri, una volta che c’è stata la confisca, “di mettere le risorse in un fondo comune che potrebbe finanziare le vittime con un sostegno agli ucraini e all’Ucraina”, ha detto Reynders. Le somme raccolte dalla confisca dei beni degli oligarchi, tuttavia, non sarebbero di per sé sufficienti alla ricostruzione dell’Ucraina. Solo in caso di effettivo tentativo di aggirare le sanzioni, intestando i propri beni a familiari o prestanome, scatterebbe la confisca. 


La proposta estone. Il premier dell’Estonia, Kaja Kallas, aveva lanciato un’altra proposta che avrebbe potuto generale molte più entrate: introdurre dazi sul gas e il petrolio importati dalla Russia e versare le entrate su un conto bloccato per la ricostruzione dell’Ucraina. Ma la Commissione ha deciso di non perseguire questa strada per paura di vedersi tagliare il gas dalla Russia.


Dare un senso al futuro dell’Ucraina va oltre i fondi e la riparazione delle finestre andate in mille pezzi nei bombardamenti russi. A Borodyanka, nella parte nord-occidentale della capitale, vivevano 13 mila persone prima della guerra. Ora ci sono 397 palazzi rasi al suolo, 888 danneggiati, le strade da rifare e le macerie da rimuovere. Nadya guarda uno di questi palazzi sventrati e dice: “Abbiamo bisogno di un progetto di ricostruzione per metterci tutto questo sfacelo alle spalle. Borodyanka era una cittadina molto carina. Domani sarà ancora più bella”. 


(ha collaborato David Carretta)