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Chi si fida di Olaf Scholz, il cancelliere a passo d'uomo

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Il leader tedesco prende fischi da falchi e colombe, e gli ucraini sono critici. Il motore di Berlino si muove cauto ma va, con più armi e meno risorse russe

Rispetto “ogni forma di pacifismo e ogni posizione sul conflitto”, ha detto il cancelliere Olaf Scholz il primo maggio a Düsseldorf, al comizio organizzato dai sindacati tedeschi, “ma ai cittadini dell’Ucraina deve apparire cinico il fatto che continuiamo a ripetere loro che devono difendersi dall’aggressione della Russia da soli e senza armi. E’ una cosa fuori dal tempo”. Il pubblico gli ha gridato “bugiardo” e “guerrafondaio”, mentre online continuava a raccogliere firme per la lettera scritta da una ventina di intellettuali che chiedeva al governo di non inviare armi all’Ucraina perché così scoppia la Terza guerra mondiale e, testuale, “la Germania diventa parte di questa guerra”. Ogni paese europeo ha il suo pacifismo, ogni paese europeo (alcuni di più, va detto) ha i suoi accademici, giornalisti, esperti che vedono la fornitura delle armi all’esercito ucraino come una provocazione nei confronti di Vladimir Putin, che ai loro occhi deve evidentemente sembrare un leader pacifico sotto attacco degli americani, della Nato, degli occidentali.

 

Ogni paese europeo affronta il grande sconvolgimento della guerra mettendo mano alla propria storia, alla propria sostenibilità economica, coniugandole con quelle dei suoi alleati. Poi c’è la Germania, motore della nostra Europa, che si riscuote preoccupatissima di fronte all’aggressione della Russia dall’illusione in cui si era cullata, e ci aveva cullati, cioè che Putin potesse essere persuaso, con il mercato e i commerci, a convivere pacificamente con l’occidente. E dentro la Germania c’è Olaf Scholz, un socialdemocratico di apparato a capo di una coalizione inedita da nemmeno sei mesi, l’eredità della cancelliera Merkel da metabolizzare e trasportare in una nuova fase, e poi ora la guerra, il riarmo, l’indipendenza energetica da costruire, i tabù storici da violare. Fin dall’inizio del conflitto, ci siamo chiesti: e la Germania? Sembra che Scholz si muova per inerzia nel solco dell’attivismo anglo-americano, ogni tanto si ferma poi riparte, un po’ diesel e un po’ freno, e come spesso accade quando si è costretti a navigare a vista finisce per prendersi i fischi dei pacifisti, i fischi dei falchi, i fischi degli oppositori e pure dei suoi.  Siamo andate a studiare questo motore che si muove lento, ma che non si può fermare.


Il Leberwurst. Qualche settimana fa, il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier voleva andare a Kyiv per mostrare solidarietà agli ucraini, ma poi aveva rinunciato: non mi hanno voluto, ha spiegato. Steinmeier fa parte di quei politici tedeschi che hanno compreso i propri errori – con un ritardo estremo, ma c’è chi come l’ex cancelliere Gerhard Schröder rifarebbe tutto uguale e di più – e che si scusano per non aver capito e anticipato le minacce putiniane. Ma è anche il presidente di un paese ambivalente sulla propria solidarietà e gli ucraini, che si giocano letteralmente la vita sul campo di battaglia, sono piuttosto indispettiti. Nei  giorni scorsi è stato il turno della possibile visita di Scholz a Kyiv, ma poi lo stesso cancelliere ha detto che non poteva andare dopo che il presidente era stato rifiutato, non si può mancare di rispetto “a un paese che fornisce”, ha detto Scholz, “molta assistenza militare, molta assistenza economica, e che è necessario quando si valutano le garanzie di sicurezza per il futuro dell’Ucraina”. Sentendosi dare dell’ingrato, l’ambasciatore ucraino a Berlino,  Andri Melnyk, un uomo invero poco diplomatico nei toni che è in Germania dal 2015 e che è sempre stato molto critico nei confronti della politica di appeasement di Berlino, ha detto: “Stiamo parlando della più brutale guerra di stermino dall’invasione nazista dell’Ucraina, non è un asilo questo. Non mi sembra una cosa da uomini di stato comportarsi come un beleidigte Leberwurst”, un’espressione tedesca che si usa per indicare chi non sa stare al gioco, i permalosi, i suscettibili. Il Leberwurst è il tipico salame morbido della cucina tedesca e se vi capita in queste ore di vederlo nelle notizie assieme alla faccia di Scholz ora sapete perché.

 

Dall’inizio del conflitto, ci siamo chiesti: e la Germania?  Avanza per inerzia, ogni tanto si ferma poi riparte

 

Il terzo che se ne approfitta. Rapido e opportunista, il capo dell’opposizione cristianodemocratica, Friedrich Merz, si è messo sul treno per Kyiv ed è andato a incontrare Zelensky. Poco importa che la Cdu sia stata conciliante con la Russia quanto e più dell’Spd, non importa che Merz abbia in passato criticato la Merkel, la sua leader (i due si odiano) perché troppo precipitosa nelle condanne alla Russia soprattutto durante il caso Navalny: l’occasione è qui, è ora, la si acciuffa al volo. Se quel salamone di Scholz non va a Kyiv, ci andrò io. Anche perché ci sono delle elezioni regionali questa settimana e quella successiva e smarcarsi dal passato, dal governo, dall’Spd compagna di grandi coalizioni potrebbe essere molto utile. Non si sa che impatto avrà sul voto la foto di Merz con Zelensky, ma sulla comunità internazionale l’ha già avuta: è chiaro che doveva esserci Scholz a stringere la mano del presidente ucraino.
     


Gli equilibri interni. Abbiamo chiesto a Thorsten Faas, politologo dell’Università libera di Berlino, perché il cancelliere Scholz incassi fischi da ogni parte. E’ troppo timido sull’Ucraina come gli rimproverano la Cdu e alcuni suoi stessi alleati di governo, i Verdi e i Liberali, oppure è un guerrafondaio antirusso, come da contestazione di sinistra del primo maggio? La sua, risponde l’accademico, è una posizione complessa perché il cancelliere guida un governo due volte nuovo: una coalizione semaforo non c’era mai stata alla guida del paese né la Germania ha esperienza di esecutivi a tre partiti. “Scholz deve fare in modo che questa alleanza non gli scoppi in faccia, con la consapevolezza che in questo Bundestag, almeno in teoria, sono possibili maggioranze alternative: una situazione molto speciale per un cancelliere in un periodo come questo”.  Faas critica i “vuoti comunicativi”, così li definisce, del cancelliere. Scholz ha sottovalutato il fatto che il vuoto, in politica, non rimane tale, “ma viene poi colmato, anche da persone dello stesso governo”. Mentre Faas parlava il cancelliere Scholz e il suo vice, il verde Robert Habeck, ben più falco di lui su questa crisi (due giorni fa gli è stato chiesto: qual è il tuo messaggio per la Russia? Ha risposto: “Metti fine alla guerra e vai a casa”), chiudevano la due giorni ritiro del governo al castello di Meseberg, fuori Berlino, sottolineando la straordinaria compattezza politica e vicinanza personale fra i membri del governo. Secondo il politologo, Merz è impegnato “a consolidare la sua posizione all’interno del partito, a dimostrare che è un leader, che può fissare i temi, che con lui si può guardare avanti, e vincere le elezioni”. Lo scorso 27 marzo la sua Cdu in realtà ha incassato una sberla nella piccola regione della Saarland: il partito ha perso 12,2 punti percentuali e la guida del governo di grande coalizione. Non vuole certo che vada così alle elezioni di domenica nello Schleswig-Holstein (la Cdu sta andando bene) né tantomeno nel land più popoloso di Germania, il Nord-Reno Vestfalia, dove si vota il 15 maggio. Merz si propone come un leader volitivo, senza aver ancora chiarito se vuole portare la Cdu verso destra, come annunciato tempo fa, o se preferisce lasciarla al centro, dove l’ha spinta un pezzo alla volta Angela Merkel. Che si tratti del capo del governo o di quello dell’opposizione, conclude il politologo Faas, “penso che ognuno stia ancora cercando la propria posizione: di conseguenza stiamo vivendo una fase eccitante” e fluida “della politica interna tedesca”.

 

Scholz crea troppi vuoti di comunicazione e Merz se ne approfitta. Soprattutto ora, con due elezioni in calendario


Cosa ha fatto la Germania in Ucraina. Scholz non riesce a levarsi di dosso l’immagine del leader riluttante e gli ucraini non perdono occasione per ribadire quanto pesa questa inerzia tedesca, ma la Germania è cambiata più negli ultimi sessanta giorni che negli ultimi dieci anni. A fine aprile, il Bundestag ha votato a favore dell’invio di armi pesanti all’Ucraina: soltanto la  Linke, sinistra radicale, e l’AfD, destra estrema, hanno votato contro. Berlino ha inviato i carri armati antiaerei Gepard, mille armi anticarro, 500 missili Stinger, 2.700 missili Strela, munizioni, mitragliatrici e granate. Si deve ancora aprire il dibattito parlamentare sullo stanziamento di 100 miliardi di euro per le Forze armate e la Difesa tedesca che Scholz aveva annunciato a marzo: la coalizione che si è formata per le armi probabilmente non sarà altrettanto salda su questo stanziamento. Scholz ha anche congelato le attività di Nord Stream 2, il gasdotto più controverso del decennio, ha rimosso le proprie riluttanze sull’embargo del carbone e del petrolio (anche se spinge perché quest’ultimo si faccia a fine anno) e dichiara di aver già avviato il piano strategico per costruire l’indipendenza energetica dal gas russo. Secondo i dati, la Germania ha abbassato la sua fornitura di gas russo dal 55 per cento al 35 per cento del totale, ma pure il vicecancelliere Habeck dice che una indipendenza completa sarà raggiungibile solo nel 2024: l’Ucraina non ha tutto questo tempo, soltanto le casse di Putin guadagnano dai ritardi. Kyiv continua a essere estremamente critica con Scholz, tranne che su un punto: l’accoglienza dei rifugiati. Secondo i dati ufficiali, sono stati accolti in Germania 400 mila ucraini (compresa la suocera dell’ambasciatore Melnyk), ma il numero sembra essere molto più alto: non c’è controllo alla frontiera per gli ucraini, che possono rimanere 90 giorni in Germania senza visto. 


Poiché la strada non è affatto dritta e scorrevole per il motore lento della Germania, c’è anche un’altra querelle: riguarda la città di Berlino, guidata da Franziska Giffey, socialdemocratica e già ministro della Famiglia nel governo Merkel (si era dimessa perché accusata di aver copiato la sua tesi di dottorato). Berlino è gemellata con Mosca dal 1991 e la Giffey non vuole interrompere il gemellaggio, come invece hanno fatto altre città. Dice che l’invasione dell’Ucraina è stata voluta da Putin e non dal popolo russo e che anzi in questo momento mantenere collaborazione e comunicazioni con Mosca è importante. I gemellaggi però non sono soltanto una questione simbolica: la Giffey collabora con il sindaco di Mosca, Sergei Sobyanin, un alleato di Putin attualmente sanzionato dal Tesoro americano. Gli ucraini chiedono anche alla Giffey: con noi o con Putin, la domanda è semplice. La Germania non ha dubbi sulla risposta, conosce il suo posto in occidente e nella storia, vorrebbe soltanto più tempo per imparare a vivere in questo nuovo mondo. Ma tempo non ce n’è. 

(ha collaborato Daniel Mosseri)