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La campagna di seduzione di Macron contro “ok, boomer”

Paola Peduzzi e Micol Flammini

Senza il voto degli over 60 al primo turno delle elezioni francesi, il presidente non sarebbe al ballottaggio. Ecco come cerca di conquistare i giovani

Nella partita di ritorno, se all’andata hai vinto, il tuo più grande problema è l’eccessiva fiducia in te stesso, l’arroganza, la supponenza. Raymond Domenech, ex commissario tecnico della nazionale di calcio francese, ha descritto in poche righe sull’Opinion il secondo turno delle presidenziali francesi, che si terranno il 24 aprile, la partita di ritorno dopo il primo turno finito con una vittoria del presidente centrista Emmanuel Macron sulla leader dell’estrema destra Marine Le Pen, 27,85 per cento dei voti contro 23,15. E’ un doppio ritorno, perché Macron e  Le Pen si erano già scontrati nel 2017, e ora lo fanno di nuovo, lui con cinque anni di governo sulle spalle e lei con una trasformazione d’immagine che l’ha resa agli occhi dei francesi meno estrema, qualcuno azzarda addirittura più moderata, anche se è un trucco – fatto di sorrisi, di divani, di colori pastello e di gatti – che si vede. Domenech dice che la partita di ritorno si gioca prima, nella preparazione, quando lo sconfitto ha tutto l’interesse a provocare e a creare incertezza perché non ha nulla da perdere, mentre il vincitore deve essere vigile, né troppo sicuro di sé né troppo allarmato, in equilibrio. Ed è qui che ci troviamo ora, in questa contesa che è importantissima non soltanto per il futuro della Francia ma che allo stesso tempo è un colossale déjà-vu, pur se di già visto ci sono soltanto gli sfidanti, tutto il resto è cambiato moltissimo. I sondaggi danno Macron in netto vantaggio rispetto alla Le Pen, ma c’è un bacino di elettori indeciso molto ampio e parecchio confuso, che fa capo al candidato che si è classificato terzo al primo turno per pochi voti, Jean-Luc Mélenchon, veterano della politica francese in area sinistra radicale, al contempo ambiguo e chiarissimo nella sua ideologia. E’ Mélenchon che ammaestra gli indecisi, cosicché bisogna stare dietro anche alla sua campagna per il secondo turno, che non punta all’Eliseo ovviamente ma al ruolo di primo ministro sì. Ecco allora come ci si sta preparando al secondo turno, una corsa necessariamente a due in cui s’è dovuto talvolta fare spazio a un terzo. 


I giovani e gli anziani. Il presidente più giovane della storia repubblicana francese – Macron è del 1977 – deve ringraziare i boomer che lo hanno portato al ballottagio. Se fossero stati conteggiati soltanto i voti degli under 60 al primo turno del 10 aprile, il presidente sarebbe arrivato terzo. Nel 2017, quando il progetto macroniano En marche! ha preso piede e si è imposto con la sua natura centrista ed europeista, sia giovani sia anziani si erano appassionati. Oggi, Macron è diventato “il sistema”, ha riunito attorno a sé esponenti del Partito socialista (scomparso) e del partito gollista (mezzo scomparso: ha preso il 5 per cento dei voti, cinque anni fa aveva raggiunto il 20), s’è fatto establishment. Il 36 per cento degli ultrasessantenni gli ha dato il suo voto, in proporzione a un tasso doppio rispetto agli under 25. Secondo i dati raccolti dall’istituto Ipsos, è il 30 per cento dei francesi nella fascia compresa tra i 60 e i 69 anni ad aver votato Macron, percentuale che sale al 41 tra gli over 70. Poiché la partecipazione alla politica aumenta con l’età, sono stati i boomer a creare la mobilitazione tanto sperata da Macron, che gli ha consentito di migliorare il risultato del primo turno del 2017 di quattro punti percentuali. E’ una cosa che ha attirato molte speculazioni, perché ci siamo abituati a pensare, dopo la Brexit e dopo Donald Trump, che l’elettorato più anziano fosse il più propenso a concedersi sbornie sciagurate di estremismo. Non che i giovani fossero esenti e infatti anche in Francia la stragrande maggioranza di loro (tra quelli che si sono presi la briga di andare a votare) ha scelto Mélenchon, che tutto è tranne un politico moderato. L’offerta centrista però, in questi anni di convulsioni che in Francia hanno portato alla scomparsa dei due partiti tradizionali e all’emergere più debole del previsto, anche per errori strategici, del partito ecologista, ha retto e si è rafforzata grazie ai più anziani. Questo ha delle conseguenze sul medio termine rilevanti, per evidenti ragioni anagrafiche ma anche perché tra cinque anni Emmanuel Macron, se dovesse vincere al secondo turno, non potrà più candidarsi. 


Il doppio specchio dell’establishment. “Non è una sorpresa, perché l’elettorato più adulto è solitamente legittimista, dunque tendente a confermare il presidente uscente”, dice al Foglio Mathieu Gallard, direttore di ricerche presso l’istituto sondaggistico Ipsos, che aggiunge: “Allo stesso tempo, questo elettorato ha realizzato che la Francia ha vissuto numerose crisi in questi ultimi anni, i gilet gialli, il Covid, la guerra di Vladimir Putin in Ucraina, che Macron le ha gestite piuttosto bene e che nessuno dei suoi avversari le avrebbe gestite meglio”. I boomer “privilegiano la stabilità, soprattutto quella economica”, continua Gallard, “e in questi anni hanno avuto l’impressione che la Francia, rispetto ad altri paesi, sia stata governata bene”. Il problema del potere d’acquisto colpisce soprattutto i giovani e gli elettori di mezza età, i quali hanno dato più voti alla Le Pen e a Mélenchon che a Macron (il leader della France insoumise ha raccolto il 34 per cento delle preferenze nella fascia tra i 25 e i 34 anni). “Nel 2017, c’era già un clivage generazionale, che si è innegabilmente accentuato in queste presidenziali. Mélenchon ha saputo mobilitare i giovani durante la sua campagna, puntando sulla problematica sociale legata al potere d’acquisto, ma anche sull’aspetto climatico, una delle principali preoccupazioni degli under 35”, dice Gallard. Nel 2017, Macron aveva vinto anche con l’etichetta di “presidente dei giovani” che voleva svecchiare il sistema politico francese, oltre la destra e oltre la sinistra. Lui stesso era giovane, così come i collaboratori che lo attorniavano. Come si spiega allora la sua scarsa popolarità tra gli under 35? “La differenza è che ora è un presidente uscente, che ha passato cinque anni al potere: è più difficile creare un clima di entusiasmo attorno alla propria rielezione. Ma considerando il fatto che i senior sono gli elettori che votano di più durante le elezioni – conclude Gallard – Macron ha grandi possibilità di essere confermato presidente il prossimo 24 aprile”. Poi c’è la questione geografica: se abiti in città o se abiti fuori.
 

Gli arcipelaghi del “no”. Aisne, Bocche del Rodano, Pirenei orientali, Mosella: è in questi dipartimenti dimenticati da Parigi che potrebbe giocarsi il secondo turno delle elezioni presidenziali. Qui i cittadini non hanno più fiducia nei partiti di governo e nell’attuale sistema politico-istituzionale, e il voto di protesta, al primo turno, è stato maggioritario. Il Monde li ha ribattezzati “gli arcipelaghi del no”, luoghi in cui il partito della contestazione elettorale, che aggrega astensionisti, schede bianche, schede nulle e cittadini che hanno votato per candidati fortemente ostili all’ordine costituito (la Le Pen e Mélenchon soprattutto), ha superato il 75 per cento degli iscritti. In questi territori il disinteresse per la politica si somma alla protesta, che può essere di natura sociale, soprattutto nell’elettorato con redditi modesti, o politica, se si sostengono soluzioni più radicali di quelle dei partiti di governo. Con partiti di governo ci si riferisce non soltanto alla République en marche di  Macron e al suo principale alleato, il MoDem di François Bayrou, ma anche al duopolio gollisti-socialisti che si sono alternati al potere in Francia per più di cinquant’anni. La voglia e l’angoscia della protesta potrebbero spingere l’elettorato astensionista del primo turno a votare al secondo: è un elettorato che si sente disprezzato dalle élite e che potrebbe vedere proprio nella Le Pen un’opportunità per riprendere un po’ di potere. Il voto degli “arcipelaghi del no” è anche l’espressione di un sentimento di abbandono, di una Francia nell’ombra che si sente trascurata dalla Francia metropolitana. Uno dei più importanti conoscitori della società francese, Jérôme Fourquet, parla anche di “mappa delle fragilità francesi”, di “dipartimenti della rabbia”, dove il tasso di disoccupazione oltrepassa il dieci per cento, i servizi pubblici sono scadenti o lontani e i luoghi di aggregazione sociale spariscono a velocità impressionanti. Le associazioni di majorette scompaiono, i club di caccia e le fanfare riuniscono sempre meno gente, le chiese si svuotano, le scuole elementari rischiano la chiusura e i bistrot abbassano le saracinesche. Qui covano solitudine e risentimento, sentimenti che hanno già determinato molti sconvolgimenti elettorali nei paesi europei.


La variabile europea. Macron ha ritrovato il suo slancio europeista, la Le Pen ha abbandonato la violenza dell’uscita dall’euro ma si è messa a proporre tanti picconamenti isolati ai pilastri del progetto europeo che messi tutti insieme fanno una uscita dall’Ue di fatto. La campagna per il secondo turno di Macron è diventata martellante su questo punto: votare la Le Pen significa distruggere l’Europa e affidarsi a Vladimir Putin. Il pericolo nei palazzi europei è chiarissimo, ma lo è meno tra gli elettori di Mélenchon, il gran bottino da conquistare. Mélenchon ha detto che non si deve votare la Le Pen per nessuna ragione, ma intanto si è messo già a fare campagna per le prossime elezioni legislative previste a giugno, quelle che lui definisce il “terzo turno”. “Eleggete una maggioranza di deputati insoumis”, ha detto Mélenchon, così io poi posso diventare primo ministro. Ma primo ministro di chi, di Macron o della Le Pen?, gli ha chiesto un giornalista in tv. “E’ del tutto secondario”, ha risposto lui, gettando via la chiarezza con cui aveva escluso la possibilità di dare un voto alla Le Pen. La fotografia di questo elettorato non è cambiata di molto dal 10 aprile a oggi: un terzo potrebbe votare la Le Pen, il resto si divide negli equidistanti né con Macron né con Le Pen, che a oggi sembra anche la posizione dello stesso Mélenchon e che probabilmente non voteranno, e tra chi turandosi il naso voterà per il presidente.


Macron ha cercato di corteggiare i giovani e les travailleurs, i lavoratori, che hanno votato per Mélenchon. Al suo unico grande comizio elettorale prima del 10 aprile, all’Arena della Défence alle porte di Parigi, aveva detto: “Devo dirvi la verità, bisognerà che tutti lavorino di più” e aveva ribadito la volontà di alzare l’età pensionabile a 65 anni. Poi preparandosi per la partita di ritorno, Macron si è fatto candidato, si è immerso tra gli elettori uscendo dal palazzo e dal ruolo di presidente di guerra (ha smesso di telefonare a Putin, anche) e ha ridimensionato la riforma delle pensioni con qualche frase vaga e citando molto i lavoratori e il potere d’acquisto, e si è dedicato anche a parlare di ambiente, di plastica da eliminare nel mare, di pianeta da salvare. L’esito di questo corteggiamento lo scopriremo domenica, al momento non ci resta che concederci qualche frivolezza. Ha a che fare con alcune foto di Macron. La prima è stata pubblicata prima del primo turno: il presidente con la felpa e la barba sfatta dentro al suo ufficio. La seconda è dei giorni scorsi: il presidente sul divano che ride con la camicia slacciata e un petto villosissimo in bella mostra. La terza è stata scattata all’Arena: Macron ringrazia sua moglie Brigitte e quasi si commuove. Ci siamo interrogate a lungo, siamo giunte alla conclusione che: la felpa ci piace, il petto villoso no e l’amore per Brigitte è una delle cose più potenti dell’immagine di Macron. Poi ci sarebbe un’ultima frivolezza, che ha a che fare con il riporto di Macron, ma è una questione complessa: apriremo il dibattito se il 24 aprile potremo applaudire il presidente di Francia rieletto. 


(ha collaborato Mauro Zanon)