Forze speciali americane e danesi (foto di Salwan Georges per il Washington Post)

La guerra nell'estremo nord

Alex Horton

Nell’Artico il rischio di un conflitto fra grandi potenze è alto. Come funzionano le esercitazioni  più difficili di America e Nato, dove Navy Seal e berretti verdi fanno i conti con freddo e sacche di sangue che si congelano 

Per un profano poteva sembrare una follia. Da un’altitudine di 2 mila quattrocento metri, sei Navy Seal stavano per paracadutarsi su Marmot Bay, dove la temperatura dell’acqua era appena sopra lo zero.

   

Foto di Salwan Georges per il Washington Post
      

Il loro gommone parte per primo, precipitando lungo la rampa di questo aereo da trasporto MC-130, per poi schizzare fuori dal retro. Queste fusoliere robuste e anonime sono state progettate appositamente per consentire operazioni a “bassa visibilità”, un segno distintivo delle forze clandestine dell’esercito americano. Quando uno dei Seal si sveglia dal suo pisolino, l’aereo si stabilizza.

E’ tempo di andare.

Uno dopo l’altro, si avvicinano all’uscita, voltano le spalle al vivido panorama verde-blu  ed escono, sfrecciando verso un ammaraggio di ghiaccio. Le Forze speciali americane stanno attraversando un periodo di grande trasformazione. Con i potenti eserciti comandati da Russia e Cina che competono con gli Stati Uniti per il dominio nell’Artico ricco di risorse, il Pentagono ha concentrato la sua attenzione su come sarebbe una guerra qui, in uno degli scenari più insidiosi del pianeta – e su come le sue unità più avanzate potrebbero essere impiegate per contrastare una minaccia diretta al territorio degli Stati Uniti o degli alleati della Nato che popolano il territorio più freddo d’Europa.

   

Foto di Salwan Georges per il Washington Post  
   

Le truppe speciali sono distinte dalle forze militari convenzionali, e devono affrontare compiti segreti, delicati e pericolosi come missioni di cattura ed eliminazione, salvataggio di ostaggi e sabotaggi. Quest’inverno, al Washington Post è stato concesso un accesso ad alcune squadre di Seal, i berretti verdi, 160esimo reggimento di aviazione per le operazioni speciali e altro personale d’élite, mentre cercavano di capire le innumerevoli limitazioni imposte dalla vasta e spietata natura selvaggia dell’Alaska, inclusa Kodiak, una zona al largo della costa meridionale dello stato e in aree di addestramento fuori dalla città centrale di Fairbanks.

La conclusione più seria – ed è stato subito chiaro – è che qualsiasi conflitto nell’estremo Nord sarebbe un incubo assoluto per chiunque sia inviato a combatterlo. Il capitano Bill Gallagher, che comanda l’unità Seal coinvolta nell’esercitazione, ha definito l’Artico come forse il luogo più duro ed estremo in cui qualsiasi militare possa operare, e ha affermato che pure le funzioni più di routine possono essere una minaccia esistenziale.

Le truppe che sono sbarcate a Marmot Bay sotto le uniformi indossavano mute stagne che le isolavano dagli inevitabili effetti dell’immersione nell’acqua a 2 gradi. Senza certa attrezzatura, una persona che incontra condizioni simili si troverebbe in pericolo di vita. Qui, dice Gallagher, “l’ambiente può ucciderti più velocemente di qualsiasi nemico”.

L’Artico, che si sta riscaldando quattro volte più velocemente rispetto al resto del mondo e si sta aprendo ad attività commerciali e militari come mai prima d’ora, è un’area che si evolve rapidamente e sta costringendo il Pentagono a tenere il passo, dicono i funzionari, creando il potenziale per una maggiore competizione e un conflitto tra Washington, Mosca e Pechino.

Gli Stati Uniti potrebbero essere sfidati più probabilmente da uno dei due. La Russia, ferita ma in ripresa in Ucraina, ha acquisito un’utile esperienza di combattimento contro un nemico esperto, e sta aumentando la sua competenza in settori come la guerra elettronica, ha detto Mark Cancian, consulente senior del Center for Strategic and International Studies. Il Pentagono, che viene fuori da una forma di combattimento più limitata in medio oriente, può solo studiare e teorizzare ciò che Mosca ha imparato dalla sua guerra su larga scala, dice Cancian.

La Cina, nel frattempo, sta superando gli Stati Uniti nel settore tecnologico, per esempio con i missili ipersonici. E la vastità delle sue Forze armate pone un’enorme preoccupazione, dice Cancian. “Il grande vantaggio cinese è nei numeri. La loro flotta è grande e sta diventando sempre più grande”.

Foto di Salwan Georges per il Washington Post  
       

La doppia sfida ha costretto il dipartimento della Difesa americana a guardare dentro di sé e alle proprie carenze, alcune delle quali vengono proprio dall’Artico. Per esempio, molti dei satelliti che monitorano l’attività a nord del Circolo polare artico hanno dei cosiddetti “punti ciechi”, che limitano la capacità del governo degli Stati Uniti di monitorare le minacce in arrivo, ha spiegato Iris Ferguson, sottosegretario del dipartimento della Difesa per la Politica artica, un ufficio istituito solo due anni fa. L’erosione della costa e lo scioglimento del permafrost, tra i segni più visibili dei cambiamenti climatici, hanno distrutto siti radar e campi di aviazione americani.

Negli ultimi anni la Russia ha riacceso le luci delle strutture militari di èra sovietica in tutta la regione, ristrutturando una rete di basi che supera in numero la presenza collettiva della Nato nell’area. Considerata l’annessione illegale della Crimea da parte della Russia dieci anni fa e il suo tentativo ora di sottomettere completamente l’Ucraina, le mosse di Mosca nel Nord hanno sollevato alcuni interrogativi sulle sue ambizioni più ampie, spiega Ferguson. “A volte ci preoccupiamo della potenziale natura offensiva di alcuni dei loro investimenti”, ha aggiunto. “E in realtà, la loro invasione dell’Ucraina è stata un campanello d’allarme per la comunità internazionale in generale, ma certamente lo è stata per i nostri partner artici”.

A marzo, due bombardieri russi hanno attraversato un punto strategico tra Groenlandia, Islanda e Regno Unito. Si tratta della prima volta da quando è iniziata la guerra in Ucraina, due anni fa, e l’evento ha reso più deboli le ipotesi sostenute da alcuni al Pentagono secondo i quali l’impegno nella guerra in Ucraina di Mosca avrebbe indebolito la sua presenza in altre parti del mondo.

Una parte sostanziale degli interessi petroliferi e del gas che rendono la Russia una potenza energetica si trova al di là dell’Artico, in un’area pattugliata da sottomarini con capacità nucleare sbarcati nel Mar Bianco. Anche la Cina ha detto che il suo status di “nazione vicino all’Artico” gli garantisce voce in capitolo nella  regione, poiché anche le nazioni asiatiche hanno una partecipazione nelle merci trasportate attraverso la rotta del Mare del Nord.

I legami sempre più profondi tra le due potenze, messi ancor più in evidenza dopo l’invasione dell’Ucraina, si sono manifestati anche nell’estremo Nord. L’estate scorsa, per esempio, Russia e Cina hanno inviato una pattuglia navale congiunta oltre le Isole Aleutine dell’Alaska, sorprendendo alcuni osservatori.

Anche l’occidente ha intensificato la propria attività nella regione. Secondo i funzionari, i circa 400 soldati americani e Nato inviati in Alaska, parte di una più ampia esercitazione annuale, sono stati il più grande contingente di truppe per operazioni speciali mai addestrato lì. Altre truppe statunitensi si sono addestrate allo stesso tempo nella regione artica della Norvegia come parte della più grande esercitazione dell’alleanza militare dai tempi della Guerra fredda. Nel frattempo, mentre gli analisti militari statunitensi valutano le potenziali conseguenze di un temuto assalto cinese a Taiwan – un alleato  chiave nel Pacifico che il presidente americano Joe Biden si è impegnato a difendere – secondo i funzionari sta aumentando la preoccupazione per la minaccia un cosiddetto “spill over”.

Il colonnello Matthew Tucker, che supervisiona le Forze speciali   nel Nord America, ha detto che una tale eventualità potrebbe innescare l’attivazione di piani di Difesa nazionale, compresi quelli per l’Alaska. “La probabilità che (una guerra Cina-Taiwan( rimanga isolata nel Mar cinese meridionale”, ha aggiunto, “è qualcosa su cui… non contiamo”.

In un campo d’addestramento fuori Fairbanks la temperatura è di circa - 6 gradi centigradi. Sembra quasi mite per i berretti verdi che, in un altro momento delle esercitazioni, avevano sopportato un minimo di meno 40.

A tali estremi, tutto è spinto al limite della sopportazione. Le batterie perdono energia. L’umidità che si accumula all’interno del fucile può bloccare l’otturatore dell’arma, rendendola inutilizzabile. La plastica si frantuma facilmente. E tutto si congela. Comprese le sacche di sangue e le soluzioni endovenose, che richiedono ai medici militari di fare affidamento sul calore corporeo per proteggere i preziosi liquidi.

Per qualsiasi ferito in questo ambiente, l’ipotermia può insorgere in pochi minuti. Una significativa perdita di sangue peggiora la situazione. Se un medico deve fornire una trasfusione, deve tenere conto del fatto che così facendo ridurrà ulteriormente la temperatura del paziente.


Le minacce si nascondono ovunque, anche sotto i piedi. Alcuni soldati sono addestrati a navigare sui ghiacciai, dove un passo falso può significare precipitare in una profonda fessura ghiacciata, rendendo necessario un pericoloso recupero. “Tutto è già più difficile quando sei in montagna”, dice  un comandante, “perché le montagne cercano sempre di ucciderti”. Come altri intervistati per questo reportage, ha deciso di parlare a condizione dell’anonimato, seguendo le severe linee guida imposte dall’esercito.

In Afghanistan e in Iraq, dove il Pentagono aveva mantenuto una rete di basi militari e poteva contare su un passaggio sicuro degli elicotteri per le evacuazioni, l’aspettativa era che il personale ferito avesse buone possibilità di sopravvivere se riceveva cure mediche entro 60 minuti. I soldati la chiamavano “l’ora d’oro”.

Ma la vastità dell’Artico e le avanzate capacità di puntamento delle forze armate russe e cinesi hanno sollevato dubbi sulla fattibilità di un piano simile. “Allora c’era l’ora d’oro”, dice un sergente medico delle forze speciali. “Ora è come se aveste un giorno d’oro?”.

Un comandante di compagnia del Decimo gruppo di Forze speciali dell’esercito spiega che il tempo, il fattore più limitante in qualsiasi missione, è ancora più importante in condizioni così difficili da sopportare. “Devi raggiungere le tue vittime più velocemente, devi curarle più velocemente, devi raggiungere una tenda di riscaldamento più velocemente”, dice il comandante. “Tutto è accelerato”. A tal fine, una squadra di Berretti verdi ha trascorso un pomeriggio imparando a guidare le motoslitte fin dentro un elicottero con i motori al minimo, simulando l’esecuzione di un “carico e partenza” rapidi. E’ un’abilità cruciale, eppure hanno capito subito quanto possa essere difficile.

L’elicottero  è dotato di un cuscinetto che afferra i cingoli della motoslitta e aiuta a tirarla a bordo, ma gli sci anteriori del veicolo si attorcigliavano perpendicolarmente, facendo impigliare i bordi d’acciaio del velivolo e fermando lo slancio. Alla fine l’esecuzione è diventata più fluida. Quando all’orizzonte è spuntata la luna piena, i membri di un commando danese, tra i membri della Nato più specializzati nella tundra, hanno inforcato gli occhiali per la visione notturna. Un soldato è entrato con la sua motoslitta nella pancia del Chinook, seguito da un altro. L’elicottero si è sollevato e ha girato un’ultima volta intorno all’area di addestramento.

Il comandante della compagnia spiega che oggi il Decimo gruppo delle Forze speciali – con sede in Colorado e focalizzato sulle operazioni in Europa – è il centro di smistamento dell’esercito per le operazioni clandestine in condizioni di freddo. Ma negli ultimi due decenni, gran parte dell’attenzione era concentrata altrove. Vedere i suoi soldati imparare dai danesi, dice il comandante, è stato incoraggiante. “Ci siamo concentrati sul Centcom”, dice riferendosi al comando militare statunitense che supervisiona le operazioni in medio oriente. “Ci siamo concentrati anche sull’Europa. Ma abbiamo ignorato gran parte dell’Artico”.

Negli anni successivi all’11 settembre, il Pentagono ha trasformato le sue forze speciali in unità agili in grado di portare a termine obiettivi antiterrorismo americani senza i rischi politici che accompagnano i dispiegamenti militari. Questo approccio ha notevolmente ampliato il numero del personale – da 38.000 nel 2001 a 73.000 nel 2020 – e ha conferito al Comando delle operazioni speciali degli Stati Uniti un potere che lo ha slegato dall’esercito convenzionale.

I funzionari della Sicurezza nazionale sono sempre più preoccupati dalla prospettiva di un conflitto con la Russia o la Cina, e hanno sostenuto che, invece di essere pronti a combattere da soli, facendo affidamento su altre parti dell’esercito per coadiuvare le loro missioni, le Forze speciali devono iniziare a integrarsi nelle forze armate. “Ci siamo abituati a essere l’entità che va supportata”, dice Gallagher, il comandante del Seal Group 2. “Ora, se guardiamo alla competizione strategica, il nostro focus è… come possiamo  fornire supporto”.

Alcuni osservatori, tuttavia, sono scettici sul fatto che Forze speciali siano davvero in grado di rinnovare la loro filosofia. Richard Hooker, ex funzionario della Sicurezza nazionale in diverse amministrazioni presidenziali e ora all’Atlantic Council, ha detto che certi cambiamenti dovrebbero riflettersi in nuovi requisiti di bilancio e in una riprogettazione organizzativa, ma “in realtà non abbiamo visto molto di tutto ciò”.

Cancian, del Center for Strategic and International Studies, la vede così: “In passato tendevano a essere una specie di primedonne. Quindi il fatto che il Comando delle operazioni speciali sia lassù è indicativo del loro sforzo di spostare l’organizzazione maggiormente verso un conflitto fra grandi potenze”.

Al di fuori di Fairbanks, il potenziale è a dir poco evidente: i riservisti del Corpo dei Marines usano veicoli di artiglieria Himars simulando una missione sulla catena montuosa Hayes. A miglia di distanza, due Chinook atterrano e scendono una squadra di berretti verdi e soldati danesi con fucili e sci. I comandanti hanno chiesto ai soldati di scivolare ai piedi delle colline, identificare discretamente le coordinate di attacco e trasmetterle via radio ai Marines, che dovrebbero lanciare una raffica di razzi, risalire sui loro veicoli e scappare immediatamente, per non diventare loro stessi un bersaglio.

I Marines ne sparano 16 in tutto, ognuno dei quali attraversa l’area di addestramento prima di schiantarsi al suolo e di sollevare sbuffi di neve. Le munizioni sono prive di carica esplosiva, il che le rende, come ha detto un marine, pali telefonici di cemento riempiti di carburante per missili. I razzi standard che avrebbero voluto utilizzare non erano disponibili, ha detto il marine, riferendosi agli aiuti dati all’Ucraina.

Il comandante della compagnia dei Berretti Verdi è ansioso di vedere svolgersi questa parte dell’esercitazione. La sua squadra non solo ha dovuto sopportare le intemperie, ma ha anche un ruolo di supporto essenziale da svolgere. “E’ lì che sono sempre state le nostre radici”, dice. “E stiamo cercando di tornare a quello”.

 

foto di Salwan Georges
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