Dei bambini con armi finte durante una manifestazione in sostegno di Hamas a Sana's (foto Getty)

Scuola di jihad

L'altra guerra degli houthi per reclutare i più giovani nella guerra a Israele

Luca Gambardella

I terroristi islamici di Ansar Allah puntano a un conflitto di lungo periodo contro lo stato ebraico. Così, oltre ai missili nel Mar Rosso, vogliono conquistare le menti di ragazzi e ragazze indottrinandoli all'odio per i sionisti e l'occidente

C’è la guerra che gli houthi combattono con i missili nel Mar Rosso, e poi ce n’è un’altra, combattuta sotto traccia per plasmare il jihad del futuro contro Israele e l’occidente e che nei piani del gruppo terroristico non ha scadenza e dovrà durare decenni. “Un tempo erano gli israeliani e gli americani ad assediare il nostro leader e martire, Abdel Malik al Houthi. Oggi invece siamo noi ad assediare l’America e Israele nel Mar Rosso. Dico al mio maestro, Abdel Malik al Houthi: siamo i tuoi soldati, siamo la tua spada sfoderata, i tuoi missili balistici, i tuoi droni. Usaci per colpire al collo gli infedeli!”. A pronunciare l’urlo di battaglia è un bambino di una decina d’anni o poco più che indossa la kefiah. Si rivolge alla telecamera dell’emittente filo houthi al Masirah e si fa riprendere mentre parla con l’indice alzato, come d’uso per indicare l’unicità di Allah. Insieme a lui, centinaia di altri bambini sfilano durante una delle periodiche manifestazioni oceaniche in sostengo di Hamas organizzate dai combattenti di Ansar Allah nella capitale Sana’a. Imbracciano lanciarazzi e kalashnikov fatti di cartone e vestono in mimetica, sorridenti. E’ la nuova generazione del jihad, che gli houthi chiamano mutahawith, giovani o giovanissimi combattenti la cui formazione è ancora da completare, ma che è curata scientificamente per farne le nuove leve della guerra ai sionisti.

 

 

Abdel Malik al Houthi, il leader della rete di tribù guidata da Ansar Allah e che oggi controlla metà del territorio yemenita tra cui Sana’a e il porto strategico di Hodeidah, non mira solamente a sabotare il commercio marittimo internazionale nello stretto di Bab el Mandab. Bensì, punta al lungo periodo e per farlo ha bisogno di mobilitare i più giovani educandoli all’odio per Israele. “Con la guerra del 7 ottobre si è aperta la possibilità di collegare direttamente la causa palestinese a quella degli houthi”, spiega al Foglio Adnan al Gabarni, giornalista yemenita che segue da vicino l’ascesa del movimento. “Per capire quanto sia al cuore del suo piano complessivo, basti pensare che Abdel Malik supervisiona direttamente questa operazione, a differenza di quelle militari nel Mar Rosso, per le quali delega ai comandanti e ai consiglieri iraniani. Il leader houthi rivolge un discorso pubblico ogni giovedì in cui invita tutti a unirsi alla guerra di Ansar Allah, presentato come unico vero sostenitore della causa palestinese”. La sfida di conquistare le menti di quanti più ragazzi possibili è l’ossessione di Abdel Malik, che ha selezionato personalmente il team responsabile di questa offensiva culturale. Fra questi c’è Nasser al Lakoumi, che dirige il dipartimento per la Mobilitazione generale che fa parte del ministero della Difesa. Gli houthi hanno creato anche  una Commissione suprema per la campagna nazionale in supporto di al Aqsa, un organo che si propone di diffondere “l’importanza di unirsi al jihad contro americani e sionisti favorendo la mobilitazione collettiva religiosa e morale”. Al Lakoumi presiede a tutte le manifestazioni nazionali pro Hamas in qualità di supervisore per conto di al Abdel Malik.  “Il governo ha stanziato molto denaro per organizzare eventi pubblici e corsi che si tengono nelle scuole e nelle moschee per raccontare ai più giovani la guerra di Gaza e quella nel Mar Rosso”, dice al Gabarni. 

 

Il processo di reclutamento di nuove leve nelle brigate ispirate all’operazione al Aqsa Flood è condotto sul terreno dai capi militari finora non coinvolti nelle operazioni nel Mar Rosso. Girano il paese e fanno proseliti villaggio per villaggio, fra le tribù locali. Chi oppone resistenza è punito con la vita. La settimana scorsa, in un villaggio a sud-est di Sana’a, nove persone sono state uccise dagli houthi facendo esplodere l’abitazione in cui vivevano come vendetta per l’uccisione di due soldati di Ansar Allah a cui era stata tesa un’imboscata il giorno precedente. Il ministero dell’Interno ha condannato l’episodio definendolo “un uso della forza eccessivo da parte delle forze di sicurezza”, ma la verità è che si tratta di una pratica intimidatoria abituale per punire chi non si vuole piegare alla causa dei terroristi islamici. Ansar Allah usa la causa palestinese come carburante per alimentare la sua macchina da guerra, e i proseliti pro Hamas sono spesi per guadagnare consensi, coinvolgendo altre tribù a schierarsi al loro fianco. Per Gregory Johnsen, ex membro della commissione di esperti dell’Onu per lo Yemen, “è la dimostrazione che gli houthi non cercano un compromesso, ma anzi hanno tutto l’interesse a che la guerra continui per aumentare il proprio potere nel paese”. 

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.