elezioni in russia

Putin si è preso il suo quinto mandato

Micol Flammini

La commissione elettorale dice che il capo del Cremlino è stato riconfermato con l’87,86 per cento dei consensi. Nei prossimi sei anni la Russia sarà più chiusa, repressiva, pericolosa. Le reazioni, gli arresti e l'affluenza

Per tre giorni, il Cremlino e la commissione elettorale hanno curato nei dettagli la messa in scena di un’elezione con seggi trasformati in palcoscenici per concerti o in circhi, con premi e lotterie. L’obiettivo era creare la scena di un’incoronazione, dei sudditi lieti di riconfermare il loro capo che li governa da vent’anni anni. Secondo la commissione elettorale, Vladimir Putin ha vinto queste elezioni con l’87,86 per cento dei voti, toccando addirittura il 90: un plebiscito. In tanti anni di brogli non aveva mai dato risultati del genere, ma basta seguire l’andamento delle ultime elezioni presidenziali per vedere nei numeri l’inasprimento del regime in Russia. Tanto più la percentuale è cresciuta tanto più il Cremlino ha intensificato la repressione del dissenso, la ruspa per eliminare la repressione, il piano di invadere l’Ucraina. L’affluenza ha superato il 70 per cento e anche su questo risultato puntava Putin, perché un’acclamazione deve essere condivisa, vastamente ottenuta.

Dicendo di aver vinto con quasi il 90 per cento e con un’affluenza superiore al 70, il capo del Cremlino, che rimarrà al suo posto per altri sei anni – è stato Putin ad aumentare la durata del mandato presidenziale – vuole dimostrare che l’attacco contro l’Ucraina è una questione condivisa, che i russi hanno bisogno di lui e la guerra non è sua, è di tutti.

L’opposizione si è fatta sentire andando ai seggi a mezzogiorno, in Russia come in giro per il mondo. Ci sono stati settanta arresti. Anche Yulia Navalnaja è andata a votare a mezzogiorno all’ambasciata di Berlino, ha detto di aver scritto sulla scheda elettorale il nome di suo marito Alexei, morto in una colonia penale il 16 febbraio scorso dopo anni di accanimento del potere contro di lui. Nessuno si aspettava un risultato diverso, i russi che hanno partecipato all’iniziativa Polden’ protiv Putina (Mezzogiorno contro Putin) sapevano che le loro code ai seggi avrebbero contribuito a far crescere il dato dell’affluenza, ma sapevano anche, senza illusioni, che qualsiasi decisione avrebbero preso, non avrebbero cambiato il risultato del voto. Così hanno deciso di mostrarsi, di andare ai seggi, di far vedere che chi è contro Putin e contro l’invasione dell’Ucraina non è solo, poi sulla scheda elettorale ciascuno ha preso la sua decisione: qualcuno ha scritto Navalny, qualcuno ha scritto “no alla guerra”, qualcuno “Putin all’Aia”. Le schede scarabocchiate, invalidate, cambiate sono state lo sfogo di cittadini che assistono alla mostrificazione del loro paese, che vogliono cambiare e che sanno che il 90 per cento che Putin dice di aver preso è il sintomo di una situazione volta a peggiorare.

L’Ucraina ha chiesto di non riconoscere l’esito del voto, l’opposizione russa ha ribadito che la vittoria di Putin non è “reale”. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky ha detto: “Il dittatore russo ha simulato un’altra elezione”. La Polonia è stata la prima a dire che non riconoscerà il risultato del voto, la Casa Bianca ha definito le elezioni “né libere né giuste”. La prima a dare sostegno al risultato è stata invece la Bielorussia, quattro anni fa, ancora prima di Putin, il dittatore bielorusso Aljaksandr Lukashenka pretese di aver vinto con oltre l’80 per cento dei voti. Nessuno contò mai le schede.

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  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.