elezioni in russia

Come è andato il mezzogiorno contro Putin

Micol Flammini

E' l'ultimo giorno per votare. In Russia e davanti alle ambasciate si sono formate delle lunghe code: la protesta dell'opposizione è un appuntamento per contarsi

In Russia è stato mezzogiorno per undici volte, una per ogni fuso orario del paese. E mezzogiorno oggi non è un orario qualsiasi, è l’orario della protesta, è l’orario del “Polden' protiv Putina”, mezzogiorno contro Putin, la parola d’ordine dell’’opposizione per dimostrare che anche se di queste elezioni si conosce già il risultato, anche se Vladimir Putin otterrà il suo quinto mandato per il quale ha fatto cambiare anche la Costituzione, esiste una Russia contraria alle sue politiche, al suo rimanere al potere dopo avere stravolto la legge del paese, alla guerra contro l’Ucraina, alla repressione del dissenso, all’isolamento della Russia.

A mezzogiorno la protesta si è estesa per tutto il paese, era stato Alexei Navalny a esortare i russi a incontrarsi a un orario preciso, in un giorno preciso per dimostrare unità e resistenza. Dopo la morte dell’oppositore, Maksim Reznik, ex deputato, ha rilanciato l’appello. Non è una protesta di illusi, nessuno crede che alla fine della giornata non sarà quello di Vladimir Putin il nome del vincitore delle elezioni, ma è un modo per contarsi, per incontrarsi, per uscire dalla solitudine del dissenso. Per anni il ruolo del regime è stato isolare chi la pensava in modo diverso, adesso il ruolo dell’opposizione è quello di mostrare che i contrari non sono soli. A Mosca si è formata una fila all'improvviso, allo scoccare di mezzogiorno e un elettore ha detto a Steve Rosenberg, corrispondente della Bbc: “Per me era importante vedere i volti delle altre persone qui, vedere che non sono solo nelle mie opinioni politiche”.

 

Oggi si vota anche nella maggior parte delle ambasciate russe in giro per il mondo e la partecipazione è stata grande. A Erevan in Armenia, a Tashkent in Uzbekistan, ad Almaty  e Astana in Kazakistan molti dei russi  fuggiti in questi due anni dall’inizio della guerra contro l’Ucraina si sono messi in fila per votare a mezzogiorno. A Praga invece si votava soltanto venerdì, l’ambasciata si trova tra le vie dedicate a Boris Nemcov, l’oppositore ucciso nel 2015 a due passi dal Cremlino, e agli Eroi dell’Ucraina, e il picco delle persone in fila è arrivato a mezzogiorno. 

 

Vladimir Putin non cerca una vittoria, ma un'incoronazione, vuole mostrare che questo quinto mandato è largamente condiviso dalla maggior parte della popolazione, per farlo ha bisogno anche dell'affluenza alta: il voto è stato distribuito su tre giorni, da venerdì 15 a oggi. L’Ucraina ha fatto sentire la sua presenza, ci sono state incursioni nel territorio russo durante la settimana, attacchi con droni, attacchi alle raffinerie – circa il 10 per cento delle raffinerie russe sono state danneggiate da questi attacchi dall’inizio della guerra – e gli ucraini non condividono la strategia dell’opposizione che finirà con l’aumentare l’affluenza. La risposta dei russi è chiara: nulla cambierà il risultato di questo voto, l’importante ora è dare il segnale che esistiamo. 

 

L’opposizione non ha dato indicazioni su come votare, la maggior parte non ritiene valido nessuno dei nomi sulla scheda, una minoranza ha suggerito di far convergere le preferenze su Vladislav Davankov, il più giovane dei candidati, leader di Popolo nuovo. Alcuni elettori hanno preferito invalidare le schede, scrivendo “net vojne” o altri slogan contro Putin e contro la guerra. 

 

 

La commissione elettorale, prima del voto, ha escluso Boris Nadezhdin e Ekaterina Duntsova, che avevano raccolto le firme per presentarsi come candidati. Nadezhsin ieri davanti a un seggio alla domanda se crede nella serietà delle elezioni ha risposto: “Credo che il popolo russo oggi abbia la possibilità di mostrare il proprio atteggiamento nei confronti di ciò che sta accadendo votando per qualcuno che non sia Putin”.

 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.