prima del ramadan

Le morti palestinesi e israeliane per fare pressione su Israele

Micol Flammini

Mentre i negoziati si bloccano, si studia come aumentare gli aiuti nella Striscia. Dopo i morti in fila per la farina, Hamas pubblica un video sugli ostaggi uccisi

Le negoziazioni tra Israele e Hamas annaspano, la morte dei civili palestinesi a Gaza City in fila per la farina pesa sul futuro di un accordo già immobile, ieri compromesso ancora di più da un nuovo video di Hamas che racconta, come in un gioco a premi, la morte degli ostaggi israeliani. Hamas chiede a chi guarda il video di indovinare chi è vivo e chi è morto, poi conclude che tutti sono stati uccisi dai bombardamenti di Israele. Hamas  vuole mettere fretta, non è un caso che abbia pubblicato il video dopo l’incidente mortale di Gaza City: i terroristi hanno detto che i morti tra gli ostaggi sono più di settanta e hanno sottolineato che il numero non cambia le condizioni per la liberazione dei vivi. Il destino degli ostaggi e  i loro video in prigionia aumentano la pressione interna in Israele; quello che è accaduto a Gaza City aumenta quella internazionale su Israele. Gli alleati dello stato ebraico adesso chiedono il cessate il fuoco, che gli aiuti umanitari passino e un’indagine indipendente sulle morti in fila per la farina. La versione di Gerusalemme: alcuni soldati erano dietro al convoglio, dei  civili si sono avvicinati, hanno continuato ad avvicinarsi nonostante l’ordine di fermarsi, hanno continuato ad avanzare dopo gli spari in aria. I soldati israeliani hanno poi  puntato alle gambe colpendo una decina di feriti, il resto è stato causato dal panico, con i camion che sono ripartiti appena hanno sentito i colpi. La versione di Hamas: i soldati israeliani hanno sparato sulla folla. 

 

Come entrano gli aiuti a Gaza


Nella Striscia manca tutto e a nord la situazione è peggiore. Nel settore settentrionale di Gaza vivono circa settecentomila persone, alcuni sono tornati dal sud, ma hanno trovato una situazione di devastazione. I convogli che arrivano a nord partono dall’Egitto e spesso non riescono neppure a oltrepassare Wadi Gaza, la riserva che taglia in due la Striscia. Dopo essere partiti, i convogli vengono controllati nei valichi di  Nitzana e Kerem Shalom, poi entrano nella Striscia, dovrebbero arrivare fino ai centri di distribuzione dell’Unrwa, ma vengono presi di assalto prima. Israele lavora all’apertura di un valico a nord, attraverso Karni, che incrementerebbe il numero dei camion che possono passare, li libererebbe dai rischi legati al transito nella parte sud. Gaza nord è diventata lo specchio di tutti i rischi legati al futuro del territorio se Israele e i suoi alleati non metteranno subito a punto un piano per coprire il caos. I terroristi spingono sul tavolo dei negoziati esponendo le vittime. Israele invece spinge parlando dell’offensiva a Rafah, che Hamas vuole evitare. Rafah è l’ultimo posto in cui si sono rifugiati i palestinesi. Dopo Rafah c’è un muro e poi l’Egitto, che non è intenzionato ad accogliere i rifugiati. A Rafah rimangono quattro battaglioni di Hamas: “Non c’è alternativa all’invasione di Rafah – spiega Kobi Michael, analista del’Inss e del Misgav Institute – se i colloqui si interrompono potrebbe anche partire prima del Ramadan”, che inizia il 10 marzo. E’ stata un’idea degli americani provare a mettere il Ramadan tra le clausole del negoziato, dicendo che Israele era pronto a fermare la guerra. “L’accordo può includere una pausa di due settimane, ma non sono sicuro che si fermi per il Ramadan, che ha una dinamica tutta sua. Bisogna ricordare che l’operazione Guardiani delle mura che iniziò dopo l’attacco di Hamas di maggio del 2021, fu proprio durante il Ramadan:  il gruppo era sicuro che in quel periodo avrebbe convinto più forze a unirsi. Si innescano dinamiche diverse, anche di rabbia e di violenza, c’è una logica negli attacchi che avvengono in questo periodo ed è la stessa che ha portato a colpire il 7 ottobre: Hamas voleva un effetto a catena. Non si può escludere che il Ramadan venga usato anche da questi gruppi per attacchi importanti, per cercare un collante religioso che finora non c’è stato e non fermerà sicuramente gli attentati in Cisgiordania”.  L’operazione a Rafah non sarà rimandabile se questi ultimi negoziati falliranno, il piano di evacuazione dei civili, dice Michael, assomiglierà molto a quello di Khan Younis: “Il territorio sarà diviso in poligoni, parti di territorio molto piccole, da cui, volta per volta, sarà chiesto ai civili di andare via. Si procede smantellando le infrastrutture di Hamas che si trovano in quel poligono e si procede in un altro”. Se a Gaza nord non è stato possibile applicare lo stesso modus operandi è perché lì si trovava il cuore di Hamas e l’esercito non aveva le informazioni di cui dispone adesso.  

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.