Su X e Facebook aumentano i post negazionisti del 7 ottobre. Un report

Priscilla Ruggiero

Dopo più di tre mesi ancora non ci sono policy specifiche per regolamentare i contenuti antisemiti e cospirazionisti sulle principali piattaforme di social media. "È allarmante come la negazione dell'attacco di Hamas venga pubblicizzata" sui social, dice la ceo e fondatrice di CyberWell

Nel documento di sedici pagine pubblicato questa settimana da Hamas, “La nostra narrativa: diluvio di al Aqsa”, il gruppo nega di aver commesso il 7 ottobre scorso, nell’incursione dalla Striscia di Gaza al territorio israeliano che ha causato circa 1.200 morti, atrocità contro i civili e sostiene che l’operazione “aveva come obiettivo i siti militari israeliani”. Le incursioni nelle case  nei kibbutz nel sud di Israele  non vengono menzionate nel documento, secondo il gruppo terroristico non sarebbero mai avvenute nonostante siano state filmate dagli stessi miliziani con telecamere e GoPro per poi essere pubblicate sui gruppi telegram sin dalle prime ore dell’attentato. Questa narrativa che nega o distorce i fatti del 7 ottobre non è propria solo della propaganda del gruppo ma viene pubblicata e visualizzata milioni di volte ogni giorno  sulle principali piattaforme di social media:  secondo alcuni report e analisti questi post sono in aumento e dopo più di tre mesi ancora non ci sono policy specifiche per regolamentarli e vietare che si diffondano sul web. 

 

CyberWell, un’organizzazione no profit che si occupa di tracciare la diffusione dell’antisemitismo sui social media, ha pubblicato un report alla vigilia del Giorno della Memoria sul negazionismo del massacro del 7 ottobre: da un’analisi condotta  su oltre 900 post su Facebook, Instagram, Tik Tok, YouTube e X considerati dall’intelligenza artificiale “potenzialmente antisemiti”, ha rilevato che 313 negano o distorcono i fatti di quel sabato mattina. Per la maggior parte sono apparsi su X e Facebook, negano le atrocità sui civili, come nel documento di Hamas, e avanzano la teoria cospirazionista di una operazione “false flag”, cioè che l’attacco del 7 ottobre sia stato organizzato da Israele stesso, probabilmente con l’aiuto degli americani, per giustificare il “genocidio” a Gaza e trarne profitto economico. La negazione del 7 ottobre, secondo Tal-Or Cohen Montemayor, fondatrice e ceo di CyberWell, “è la forma più recente di antisemitismo. Lo scopo è lo stesso della negazione dell’Olocausto: diffondere l’antisemitismo”. Montemayor, mentre presenta il report , illustra come  Facebook abbia registrato il livello più elevato di contenuti antisemiti dopo il 7 ottobre, con un aumento del 193 per cento, mentre su X sono aumentati dell’81 per cento. X, l’ex Twitter,   rimane però la piattaforma con “il livello più elevato di contenuti antisemiti” poiché non ha alcuna policy di rimozione sull’incitamento all’odio.

 

I post analizzati   dall’organizzazione hanno raggiunto in poche settimane quasi 26 milioni di visualizzazioni e secondo la ceo “questo è il dato più allarmante”: non indica solo come “le policy non vengano applicate dopo la negazione del 7 ottobre. Ma anche che i contenuti stanno guadagnando molta popolarità sulle piattaforme di social media. Questo è ciò che differenzia  la negazione del 7 ottobre da quella dell’Olocausto. La negazione dell’Olocausto ha guadagnato popolarità in circoli marginali, mentre la negazione del 7 ottobre viene pubblicizzata dalle principali piattaforme di social media”. 

 

L’analisi di Cyberwell conferma i dati dei numerosi report pubblicati negli scorsi mesi, cioè che le piattaforme con maggiori visualizzazioni ed engagement su post negazionisti  sono X e Facebook. I due social, insieme a TikTok, sono anche quelli con il minor tasso di rimozione dei post: X ha rimosso in quasi quattro mesi solo il 2 per cento di tutti i contenuti segnalati.  Meta, la società di Mark Zuckerberg proprietaria di  Facebook  e Instagram,  nelle ultime settimane è stata  criticata per aver fallito nella gestione dell’antisemitismo sulle sue piattaforme, il suo Consiglio di sorveglianza  ha affermato che l’azienda  non sarebbe  riuscita a rimuovere i post che negano l’Olocausto e anche secondo Cyberwell solo il 20 per cento dei 134 post negazionisti dell’Olocausto segnalati dalla sua organizzazione  sono stati rimossi. L’unico dato positivo arriva da YouTube,  che tra tutte le piattaforme ha la policy migliore e “più aggressiva” sul  tema, e infatti è il social che lascia pochissimo spazio a contenuti cospirazionisti sia sull’Olocausto sia sul 7 ottobre, dice Montemayor.  

 

Il risultato dei post antisemiti, cospirazionisti e che incitano all’odio mostrano già il loro impatto anche nella realtà: secondo i sondaggi   un americano  su cinque sotto la soglia dei trent’anni anni crede che l’Olocausto non sia mai avvenuto,  e nuovi dati dell’Anti Defamation League segnalano un aumento del 360 per cento di episodi  antisemiti negli Stati Uniti  nei tre mesi successivi all’attacco di Hamas contro Israele. Anche secondo il Network Contagion Research Institute, un’organizzazione no profit di monitoraggio della disinformazione online, in America le teorie del complotto sul 7 ottobre sono in aumento e “gli hashtag che collegano l’attacco a Israele a una ‘false flag’  sono triplicati su servizi come TikTok, Reddit e 4chan nelle settimane successive agli attacchi”, mentre Newsguard, il programma di monitoraggio informatico sulle fake news  che ha sede anche in Italia, ha tracciato la stessa teoria cospirazionista sull’attacco del 7 ottobre  su 22 siti in lingua francese, italiana e tedesca.
 

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