Tecnologia - Foto Unsplash

Un falò tecnologico

Cosa sta succedendo nel mondo tech?

Marco Bardazzi, Pietro Minto e Giulio Silvano

Microsoft e OpenAI si litigano Sam Altman, mentre i dipendenti si scambiano cuori indecifrabili sui social. Gli investitori scappano da Elon Musk in delirio antisemita. E c’è una guerra tra robotaxi

OpenAI non sarà più la stessa. Da quando il consiglio d’ amministrazione dell’azienda (con quattro voti su sei) ha licenziato il co-fondatore e ceo Sam Altman e Greg Brockman, lo scorso venerdì, è successo di tutto: Microsoft ha annunciato l’assunzione di Altman, che ha però fatto sapere di voler lottare per tornare a OpenAI, magari cacciando il board; centinaia di dipendenti hanno minacciato di dimettersi e c’è persino chi parla di una possibile fusione tra OpenAI e Anthropic, altra realtà del settore delle intelligenze artificiali, già nota per aver ricevuto investimenti miliardari da Google e Amazon.

 

 

È una situazione di caos incredibile se si pensa che, fino a pochi giorni fa, OpenAI aveva una valutazione di 86 miliardi di dollari e il suo ceo Altman prometteva nuovi prodotti e servizi rivoluzionari, quando non discuteva di persona con premier globali sul futuro della sua tecnologia. In poche ore tutto è sfumato e, per quanto Altman e un pezzo del consiglio di amministrazione pentito possano provare, è difficile immaginare una ricucitura perfetta e indolore. Perché la società ha dimostrato di avere una struttura inadeguata (una non profit che contiene una macchina miliardaria, con un board piccolo e inadeguato), i dipendenti hanno giurato fedeltà ad Altman e si son detti pronti a migrare in blocco verso Microsoft, che in questo scenario assorbirebbe OpenAI senza bisogno di passare dal via (o dall’Antitrust). 

Già, Microsoft. Il trionfo del suo ceo Satya Nadella, che aveva annunciato di aver assunto Altman e Brockman, oggi sembra meno certo. Nadella aveva effettivamente dato il benvenuto ai due, in quello che sembrava uno scacco matto da manuale, ma nelle ore successive Altman ha comunque cercato di riprendersi OpenAI, snobbando Microsoft. Il tutto ha messo in difficoltà lo stesso Nadella, a capo di un gigante da 2,7 trilioni di dollari, che in un’intervista a Bloomberg TV ha tergiversato: “Sono nel processo di unirsi a noi”, ha detto di Altman e Brockman, per poi tornare a parlare degli sforzi di Microsoft nel settore. Di certo la scommessa di Nadella ha funzionato, almeno in parte: quando venerdì scorso OpenAI ha annunciato l’incredibile uscita di Altman, il titolo di Microsoft era crollato, per via del legame stretto tra le due aziende. In molti prevedevano un bagno di sangue in occasione della riapertura di lunedì ma il gruppo ha potuto cavalcare l’onda della notizia “Sam Altman assunto da Microsoft”, superando ogni record storico in Borsa. 

Non è invece ancora chiaro cosa sia successo dentro OpenAI e anche Ilya Sutskever, membro chiave del consiglio di amministrazione, ha detto di essersi pentito delle sue decisioni e spera di poter riunirsi con Altman. Il tutto, mentre decine di dipendenti dell’azienda si scambiano cuoricini colorati su X, l’ex Twitter, e una scia di giornalisti del settore tenta invano di interpretarne il significato, in mancanza di altre fonti. Nel frattempo OpenAI ha un nuovo ceo ad interim, Emmett Shear, già co-fondatore di Twitch, servizio che con le intelligenze artificiali ha poco a che fare, ed è sempre più difficile immaginare uno scenario in cui la situazione venga risolta, tornando ai fasti del passato – o meglio, della scorsa settimana. 

Manca poco meno di un anno al primo anniversario di ChatGPT, la grande hit di OpenAI. Sembra un’eternità ma sono appena dodici mesi, nel corso dei quali Sam Altman si è imposto come nuovo titano della Silicon Valley, e OpenAI, da astruso laboratorio di ricerca, è diventato il principale alleato di Microsoft, per poi implodere nel corso di un fine settimana, a causa del voto di quattro persone. E dopo giorni, ancora si discute su chi abbia vinto, e su chi ha perso.

Pietro Minto

In fuga da Elon Musk

Se qualcuno ha dimenticato com’era il mondo negli anni di Donald Trump alla Casa Bianca, basta guardare le vicende di Elon Musk per rinfrescare la memoria. Abbiamo rimosso le innumerevoli crisi aperte dai tweet senza filtro che l’allora presidente Trump sparava nelle prime ore del mattino o a tarda sera, mentre guardava i talk show televisivi su Fox News. Erano brevi esplosioni di collera o giudizi taglienti, pieni di maiuscole e punti esclamativi, che facevano ballare le Borse e tremare le diplomazie, costringendo il suo team a faticose retromarce e tentativi di chiarimento

Musk non ha lo stesso potere, ma molto spesso ha lo stesso approccio a quello strumento micidiale che un tempo si chiamava Twitter e che lui ha comprato e ribattezzato X. Da personaggio bizzarro qual è, pieno di problemi psicologici irrisolti, affetto dalla sindrome di Asperger e privo di una serie di freni inibitori (come ha ammesso lui stesso nella biografia che gli ha dedicato Walter Isaacson), molto spesso su X si mette nei guai. Gli è capitato un’infinità di volte ai tempi in cui non possedeva la piattaforma, ma la usava per fare considerazioni di mercato su Tesla o sulle criptovalute, tirandosi addosso reazioni furibonde e inchieste della Sec, l’autorità di vigilanza di Wall Street. Continua a capitargli adesso che avrebbe bisogno di dimostrare al mondo che X è una seria società della Silicon Valley dove le aziende possono investire serenamente per le loro campagne pubblicitarie. 

È una percezione, quella della “normalità” di X, che invece le aziende non riescono ad avere, molto spesso per colpa dei tweet di Musk. L’ultima crisi è nata quando l’imprenditore ha avuto la sciagurata idea – in puro stile Trump – di dare ragione a un tweet antisemita, secondo il quale gli ebrei alimentano l’odio nelle società occidentali per prenderne il controllo. Roba da teorie cospirative che pescano nella melma dei social e che ogni tanto acquistano visibilità per colpa del potente di turno che le rilancia: accadeva con Trump quando sembrava legittimare le organizzazioni ariane del sottobosco americano, accade ora con Musk e le sue scivolate

Il proprietario di X ha provato a fare parziale retromarcia sostenendo che ce l’aveva solo con alcune lobby che lo attaccano, ma il peso principale di gestire l’ennesima crisi è ricaduto sulla ceo di X, Linda Yaccarino, che ha dovuto metterci la faccia – anche in questo caso, come succedeva ai collaboratori di Trump – per garantire che la società non ha alcuna pulsione antisemita e per cercare di trattenere i clienti in fuga. A sospendere gli investimenti pubblicitari sono stati tra gli altri Apple, Disney, Ibm e Warner Bros, dando così un altro colpo ai conti già pessimi di X.

Senza voler ridimensionare le colpe di Musk, c’è da dire che la sua società viene tenuta nel mirino anche con finalità politiche, in un contesto in cui si sta scaldando la corsa alla Casa Bianca che vede l’imprenditore sudafricano simpatizzare per il mondo Maga di Trump. A scatenare l’ultima crisi e le accuse di antisemitismo, per esempio, è stata l’organizzazione Media Matters, di cui da vent’anni non sono certo segrete le idee radicali di sinistra e che spesso fa da braccio armato dei democratici. Media Matters ha sostenuto che l’algoritmo di X mette le inserzioni pubblicitarie a fianco anche di contenuti antisemiti, ma Musk e la Yaccarino hanno contestato duramente l’analisi, ritenendola falsa e promettendo “un’azione legale termonucleare” contro Media Matters. Promessa mantenuta lunedì da X, che ha avviato una causa in Texas chiedendo un gigantesco risarcimento danni.

Marco Bardazzi

L’addio del ceo dei robotaxi

“Gli ultimi dieci anni sono stati incredibili, ringrazio tutte le persone che hanno aiutato Cruise in questo percorso”, è il tweet di Kyle Vogt dopo le dimissioni di domenica dall’azienda specializzata in tecnologie per la guida autonoma. Fondata da Vogt e da Dan Kan nel 2013, Cruise era stata acquistata da General Motors nel 2016 diventando una sua sussidiaria. GM negli ultimi anni aveva investito parecchio in Cruise e lo stato della California aveva dato l’ok per i taxi senza autista. Il primo a usarne uno tra le strade di San Francisco, nel 2021, fu proprio Vogt che seduto dietro dopo le prime curve diceva: “Sono scioccato da quanto sembri normale”. Vogt, 38 anni, aveva già fondato il servizio streaming Twitch, venduto poi ad Amazon per un miliardo di dollari, e un’altra app per video chiamata Socialcam. Nel settembre del 2022 c’erano 100 robotaxi in giro per la città californiana con l’obiettivo di arrivare a cinquemila in un anno, e poi espandersi fuori dallo stato in posti come Phoenix e Austin. Sono auto bianche, compatte, con un tocco arancione sul retro che riprende il colore dei capelli di Vogt. Sembrava tutto pronto per una nuova fase che rendeva reali i sogni della fantascienza. Poi, nell’ottobre di quest’anno, c’è stato un incidente. Una donna, investita da un’altra macchina (con guidatore), è rimasta a terra ed è stata schiacciata da un robotaxi Cruise che l’ha trascinata per sei metri. La California ha sospeso immediatamente il permesso all’azienda. Cruise all’inizio ha cercato di togliersi la responsabilità, ma di fronte a un video che riprendeva la scena ha richiamato tutte le auto in circolazione per controllare i software. Si è iniziato a parlare di un taglio del personale (Cruise ha quattromila dipendenti). E Vogt ora si è dimesso. 

L’incidente mette in pausa il sogno della “driverless revolution”, lo slogan dell’azienda, proprio mentre l’idea delle auto a guida autonoma iniziava a essere accettata come il prossimo passo della viabilità urbana. Non mancavano certo le critiche, che non provenivano dalla lobby dei taxi (non siamo in Italia) ma da funzionari locali addetti alla sicurezza delle strade. In alcuni momenti i taxi Cruise hanno bloccato la carreggiata a camion dei pompieri e ambulanze, o si sono fermati senza motivo intasando strade molto trafficate nel quartiere di North Beach. In un’occasione una macchina Cruise è finita nel cemento fresco di una strada in costruzione. Vogt aveva risposto che ci sarebbero stati degli update ai software per evitare questi errori, ma di fronte alla donna investita, che Cruise ha definito “un evento estremamente raro”, si è messo in pausa tutto il progetto. L’autorità municipale sui trasporti ha fatto sapere che l’industria delle auto a guida autonoma “non è sicura ed è immune a qualsiasi supervisione governativa”. Waymo, l’azienda rivale di Cruise, parte di Google, continua però ad avere i suoi robotaxi tra le strade della città (circa trecento), avendo evitato fino ad ora incidenti seri. 

GM dal 2017 ha perso circa 8,2 miliardi di dollari investendo in Cruise, oltre un miliardo e mezzo solo nell’ultimo anno. La ceo di GM, Mary Barra, ha ringraziato Vogt e ha detto che ora l’obiettivo è ricostruire la fiducia nell’azienda, fiducia che insieme “a sicurezza, trasparenza e affidabilità, sarà la nostra stella polare”. Il millennial Vogt continua a essere ottimista. “Passerò più tempo con la famiglia ed esplorerò nuove idee”, ha detto, “Cruise è appena all’inizio, e credo che abbia un grande futuro davanti”.

Giulio Silvano