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L'editoriale del direttore

Il coraggio di difendere Israele

Claudio Cerasa

Dodici storie poco raccontate di cui dovrebbe andare orgoglioso chiunque consideri la difesa dello stato ebraico un passaggio necessario per la difesa della nostra libertà. C’è vita oltre Harvard

Sono passati tre mesi dal giorno in cui la libertà di un ebreo di essere ebreo è stata nuovamente violata, come ai tempi dei rastrellamenti nazisti, come ai tempi dei pogrom russi. Sono passati tre mesi dal giorno in cui un gruppo di terroristi ha compiuto con orribile ferocia un attacco senza precedenti contro centinaia di bambini inermi, donne, uomini, anziani d’Israele, “ignobile oltre ogni termine, nella sua disumanità”, come ha ricordato Sergio Mattarella. Sono passati tre mesi dal giorno in cui Israele ha dovuto ricordare al mondo perché difendere il diritto dello stato ebraico a esistere, a resistere, a difendersi e a reagire significa difendere la libertà non solo di Israele ma dell’intero occidente.

Sono passati tre mesi, da quel 7 ottobre, e con il passare del tempo le cronache dei giornali internazionali si sono adattate a uno spirito del tempo oscurantista, che ha spinto molti osservatori a concentrarsi prevalentemente sulle manifestazioni di dissenso, sulle università in ebollizione contro Israele, sulle accademie pro Hamas, sulle star televisive desiderose di dare il proprio contributo alla causa di chi chiede di liberare la Palestina from the river to the sea. Sono passati tre mesi, da quel 7 ottobre, e quel che è stato raccontato poco in questo arco temporale è la testimonianza di chi, fuori da Israele, ha scelto di difendere la causa del popolo ebraico, il suo diritto a esistere, a resistere, a difendersi e a reagire, nonostante il rumore di fondo, sfruttando la propria notorietà per provare a combattere la propaganda anti Israele, nei propri campi da gioco, e sensibilizzare costi quel che costi l’opinione pubblica. Negli ultimi tre mesi, lo sappiamo, ci sono state scene imbarazzanti come quelle di Claudine Gay, l’ormai ex presidente di Harvard che due giorni fa ha scelto di rinunciare al suo incarico dopo infinite polemiche successive alla sua clamorosa audizione di fronte al Congresso: un mese fa, infatti, Claudine Gay si rifiutò di condannare le manifestazioni degli studenti dell’università a sostegno di Gaza e contro Israele.

Ma negli ultimi tre mesi ci sono state anche scene poco raccontate di cui dovrebbe andare orgoglioso chiunque consideri la difesa di Israele un passaggio necessario per la difesa della nostra libertà. Ne abbiamo selezionate alcune, per avvicinarci insieme al 7 gennaio, ai tre mesi dall’attacco barbarico contro Israele. C’è vita oltre Harvard. Scena numero uno: i tifosi del Werder Brema, squadra della Bundesliga tedesca,  che da tre mesi non perdono occasione, allo stadio, per rendere omaggio alle vittime degli attentati del 7 ottobre. Scena numero due: la cantante Madonna che durante i suoi concerti, come è successo a fine ottobre alla O2 di Londra, si è chiesta, parlando degli attentati di Hamas, “come possono gli esseri umani essere così crudeli gli uni con gli altri?”, affermando quanto segue: “Il mio cuore è rivolto a Israele. Alle famiglie e alle case che sono state distrutte. Ai bambini che si sono persi. Alle vittime innocenti che sono state uccise”.  Scena numero tre: a ottobre gli U2, poco dopo la strage in Israele, hanno modificato una loro canzone per rendere omaggio ai ragazzi e alle ragazze israeliani trucidati durante il festival musicale del 7 ottobre. Scena numero quattro: la Nba e la Mlb, le leghe professionistiche di basket e di baseball in America, che inviano grandi segnali di sostegno a Israele, pubblicando dichiarazioni dagli account ufficiali per condannare il terrorismo e piangere la perdita di vite umane in Israele (l’ex stella dei New York Knicks Amar’e Stoudemire, convertitosi all’ebraismo e cittadino israelo-americano, ha pubblicato un video su Instagram per denunciare coloro che sono rimasti in silenzio di fronte agli attacchi di Hamas contro gli ebrei). Scena numero cinque: le principali agenzie di talent di Hollywood – Uta, Caa e Wme – che prendono posizione pubblica per schierarsi con Israele e sostenere gli ebrei.

Scena numero sei: Kris Jenner, Khloé Kardashian e Kourtney Kardashian, star americane, che pubblicano dichiarazioni sulle loro storie su Instagram in cui condannano gli attacchi in Israele, ricordando che “Hamas è un’organizzazione terroristica che attacca i civili via terra, aria e mare” e ricordando quanto gli ebrei di tutto il mondo “anche se non sono in Israele soffrono e hanno paura quando accadono cose come queste e quando i non ebrei tacciono”. Scena numero sette: Rasha Nabil, una formidabile giornalista di Al Arabiya, emittente televisiva degli Emirati con sede a Dubai, che incalza, mettendolo in imbarazzo, uno dei leader di Hamas, Khaled Meshal, con domande perfette sull’attacco di Hamas, “una dichiarazione di guerra” contro Israele. Scena numero otto: l’attore e comico Brett Gelman, diventato famoso per “Stranger Things”, che pubblica da mesi post sulla guerra, per ricordare perché quello che Israele ha vissuto il 7 ottobre è come un nuovo Olacausto, e che giusto pochi giorni fa ha scelto di partecipare a un altro sketch formidabile dei magnifici comici di Channel 12 interpretando un professore che disinforma gli studenti sul “potere colonialista” ebraico e che insiste sul fatto che Gesù fosse palestinese. Scena numero nove: la scelta del regista Steven Spielberg, autore di “Schindler’s List”, di realizzare un documentario sull’attacco dello scorso 7 ottobre raccogliendo centotrenta testimonianze di ebrei sopravvissuti.

Scena numero dieci: la leggenda della boxe americana Floyd Mayweather che non si limita a esprimere il suo sostegno a Israele ma che sceglie di inviare una spedizione di due tonnellate di aiuti per civili e soldati israeliani con il suo jet privato. Scena numero undici: il grande imam francese Hassen Chalghoumi che durante una visita in Israele, condotta pochi giorni fa, esalta il “magnifico mosaico” di Israele, elogia Israele per essere un modello di convivenza pacifica, ammette che “se non fosse per i Fratelli musulmani, tutti i musulmani sarebbero fratelli”, denuncia “il regime iraniano di essere un regime diabolico che sta facendo dell’islam uno strumento per ragioni politiche”. Scena numero dodici: il senatore democratico John Fetterman, un tempo paladino del modello Sanders, che ora si autodefinisce “a favore di Israele senza condizioni”, che dice di essere pronto ad appoggiare in tutte le sedi possibili le cause utili a sostenere il rafforzamento e l’incremento della sicurezza di Israele o l’approfondimento delle relazioni tra Stati Uniti e Israele e che è arrivato al punto di sostenere in modo così forte la difesa di Israele da essere stato oggetto di numerosi attacchi sulla rete, al grido di #GenocideJohn, per il suo forte sostegno alle azioni di Israele contro Hamas in risposta agli attacchi terroristici del 7 ottobre.

Tre mesi dopo l’attacco di Hamas a Israele lo sport nazionale è diventato trasformare Israele nel carnefice, non nel bersaglio di un nuovo odio universale, e il popolo ebraico desideroso di difendere i suoi confini complice di un genocidio, non vittima di una nuova forma di Olocausto in miniatura. Le difese della Palestina from the river to the sea fanno notizia ed eccitano i mezzi di informazione che sognano di trasformare Israele nell’aggressore e non nell’aggredito. Le difese di Israele fanno meno notizia ma esistono, sono trasversali, arrivano da posizioni sorprendenti e meriterebbero di trovare più spazio in una cronaca quotidiana che spesso dimentica i fondamentali. Che spesso dimentica che chi difende Israele, senza condizioni, non sta compiendo un atto fideistico, ma sta facendo il necessario per ricordare al proprio mondo di riferimento che per difendere le libertà dell’occidente è necessario continuare a difendere il diritto di Israele a esistere, a resistere, a reagire e a difendersi. Viva i Fetterman.
 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.