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l'editoriale dell'elefantino

Netanyahu di pura logica: la deradicalizzazione palestinese può far iniziare una nuova storia

Giuliano Ferrara

Il premier israeliano ha consegnato al Wall Street Journal tre punti di etica e politica inattaccabile: distruggere Hamas, demilitarizzare Gaza, sconfiggere il radicalismo. Niente a che fare con l’immagine facilona dell’uomo nero. E poi l’Iran

Chiedete a chiunque un’opinione su Netanyahu. Risposta universale o quasi: uomo pessimo, uomo nero, ha imbarcato la peggiore destra nazionalista e suprematista al governo, agisce per salvare sé stesso se non il suo ego, se ne frega degli ostaggi, incoraggia i più estremisti tra i coloni della Cisgiordania, snatura la democrazia israeliana, ha lasciato indifeso Israele nel sud per perseguire un sogno di Realpolitik mostruoso, fondato sugli accordi di Abramo, la negazione della questione palestinese, il contenimento corrivo di Hamas a Gaza, e ora è un bombardiere e un massacratore di civili innocenti, oltre che un politico corrotto in attesa di giudizio. Può darsi. Lasciamo che le opinioni seppelliscano le opinioni, niente è più facile e consolante. 

Ma vediamo che cosa dice e fa Netanyahu esaminando parole e comportamenti come si desumono dai primi due mesi di guerra contro Hamas e dal suo manifesto politico pubblicato sul Wall Street Journal. La decisione e la lucidità impressionano, visto che Bibi fa il mestiere più difficile e ingrato del mondo nel momento peggiore. In paragone alle chiacchiere di un Blinken, alle remore di un Biden, che pure sono suoi solidi alleati, per non parlare dell’Onu e di certe posizioni europee, è un gigante di logica e di razionalità politica, dunque anche il titolare di una posizione etica inattaccabile. Lo si vede da come argomenta le cose che fa contro ogni riluttanza obliqua. Sarà travolto forse, quasi sicuro, da quel che accadrà dopo la fine delle ostilità a Gaza. Israele non gli perdonerà, al di là di tutto, la mancata protezione dei kibbutzim investiti dalla furia barbarica del 7 ottobre. Non è questione di destra o di sinistra, è questione di fiducia. Ma per il momento, come comandante in capo di un esercito di riservisti che svuota il paese nell’appello alla difesa della propria esistenza fisica e statuale rivolto a un’intera generazione di combattenti, per il momento la posizione di Netanyahu è chiaramente senza alternative.

Primo: distruggere Hamas. Hanno giurato che lo rifaranno, sono devoti della scomparsa di Israele, sono nemici assoluti, efferati, privi di ogni scrupolo, fanatici della prima specie. Questa è l’unica risposta proporzionata a quel che è successo il 7 ottobre. Punto. Va fatto, e Israele per quanto possibile lo fa, rispettando la legge di guerra e umanitaria, cercando di evitare il carnaio dei civili. 

Non è facile perché Hamas punta al massacro dei civili, sua arma propagandistica maggiore. Avallare l’idea che Israele e non Hamas è responsabile delle vittime estranee ai combattimenti e delle sofferenze della popolazione intera vuol dire incoraggiare nuove strategie dello scudo umano e tattiche intese a disporre dei civili come oggetti di negoziato o di scontro, ciò che è estraneo alle regole di Israele ed è il cuore della filosofia e della pratica di Hamas. 

Secondo: demilitarizzare Gaza. La Striscia è un serbatoio di armi e miliziani terroristi, è un luogo di superficie e sotterraneo di organizzazione della violenza e di soppressione della libertà e dell’indipendenza dei vicini di oltreconfine, è la palestra del più abietto fenomeno di terrorismo che si ricordi. Hanno fatto qualcosa che non si vedeva dai tempi di Heydrich. Questa è la loro misura. Non possono pretendere, le alte autorità politiche e morali comprese quelle dalla parte di Israele, che Israele accetti nella Striscia una sovranità, men che meno armata, quale minaccia esistenziale alla sua vita e alla sua pace. 

Terzo: deradicalizzare i nemici di Israele. Germania e Giappone sono stati deradicalizzati dopo la loro sconfitta nella guerra mondiale, il fenomeno dura ancora e quelle due democrazie sono pilastri dell’occidente libero. Lo stesso deve accadere nella Cisgiordania, a Gaza. Ci vuole un’autorità politica e morale che oggi non esiste se non nei sogni umanitari più ottusi, non certo l’Autorità palestinese che non ha ancora trovato il modo di condannare il 7 ottobre e nelle cui scuole si insegna l’odio antiebraico e il progetto di distruzione dello stato di Israele. Quando la deradicalizzazione avrà cominciato a sortire i suoi primi e profondi e ravvisabili effetti, solo allora si potranno ricostruire vicinanza e pace tra Israele e i popoli che pretendevano un tempo di distruggerlo. 

Chi vuole ora si riveda la didascalia iniziale sull’uomo nero e ci rifletta sopra. Può essere che resti di quell’opinione e la disseppellisca. Può essere che capisca meglio come mai il premier nero è tutt’ora il capo di un paese in guerra, che fa drammatiche rinunce, che tenta di liberare sé stesso e gli ultimi ostaggi con la pressione bellica contro i predoni di Hamas, che ha incamerato nel gabinetto di guerra il generale e politico più rappresentativo dell’opposizione, che sta esaminando (è convinzione di chi scrive) se sia davvero evitabile l’estensione del conflitto al suo mandatario per castigare le sue ambizioni. E si parla dell’Iran e del suo asse della resistenza.
 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.