Miguel Diaz-Canel / LaPresse

Editoriali

La lunga crisi di Cuba

Redazione

Tra povertà ed emigrazione di massa, la dittatura alza i prezzi con un decretazo

Qual è il paese latino-americano in cui uno stato assistenziale e paternalista che durava da decenni, ma che è ormai diventato insostenibile sta venendo smantellato con un decreto draconiano che promette lacrime e sangue? Sì, è l’Argentina di Javier Milei, ma non solo! Anche la Cuba socialista sta annunciando un quasi contemporaneo decretazo il cui spirito finisce per essere molto simile. Al di là della piccola differenza che Milei  ha ricevuto un ampio mandato democrtico e che gran parte della stampa mondiale sta seguendo quel che accadde preannunciando la protesta della piazza, mentre a Cuba lo fa una dittatura che criminalizza l’opposizione politica e con molta minore attenzione mediatica.

Ma anche la vita a Cuba diventerà molto più cara, in un momento in cui l’emigrazione dall’isola sta battendo un record dopo l’altro. Quasi 425 mila migranti cubani sono arrivati negli Stati Uniti nel 2022 e 2023, e altri 36 mila cubani hanno presentato domanda di asilo in Messico tra gennaio 2022 e novembre 2023. Insieme, queste cifre rappresentano più del 4 per cento della popolazione. Equivale a svuotare intere province dell’isola in soli due anni. A questi numeri vanno aggiunte altre migliaia di persone che nello stesso periodo si sono recate in Brasile, Russia, Uruguay. Il primo ministro, Manuel Marrero, ha comunicato che aumenterà il prezzo della benzina, alcune tariffe dell’elettricità e i trasporti. Verrà tagliato il sussidio al paniere di base, riconoscendo le “difficoltà” con i prezzi e che non è stato fatto abbastanza per lo sviluppo dell’economia. Il presidente Miguel Díaz-Canel ha difeso il piano, confermando per il 2024 uno dei suoi più grandi piani di aggiustamento macroeconomico degli ultimi decenni, che mira a tagliare la spesa statale alzando i prezzi amministrati dallo stato. Cuba sta attraversando un delicato momento politico, sociale ed economico con un deficit vicino al 15 per cento del pil e una forte svalutazione della moneta  che ha lasciato in estrema povertà l’88 per cento della popolazione.