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l'intervista 

Il progetto storico sull'Ucraina “per non rispondere ai deliri di Putin”

Francesco Chiamulera

Yaroslav Hrytsak ci racconta l’iniziativa globale che vuole sottrarre il paese “dall’ombra della storia russa”

Sarà vero quello che dice Paolo Mieli, e cioè che quando Sergei Lavrov decreta che i cinquecento anni di dominio occidentale sono agli sgoccioli, che la vittoria imminente della Russia contro l’Ucraina ricorda quella contro Hitler del 1941-’45 e perfino la gloriosa sconfitta di Napoleone nel 1812, in realtà il ministro degli Esteri russo stia esagerando volutamente, le stia sparando grosse allo scopo di sfottere in modo neanche tanto implicito la roboante retorica putiniana? Chissà. Certo è che, come spesso accade con i totalitarismi, all’inizio dell’invasione su vasta scala dell’Ucraina del 2022 da parte russa c’è stato un discorso di storia. Più di uno, a dire il vero: dal saggio-fiume di Vladimir Putin “Sull’unità storica di russi e ucraini”, uscito nell’estate del 2021, che spaziava in mille anni di riscrittura del passato nel tentativo di dimostrare che i due paesi sono “un solo popolo”, ai discorsi televisivi pronunciati nei giorni che precedevano l’invasione, con dovizia di rivendicazioni pluridecennali e di farneticazioni sul presunto carattere artificiale, risalente all’era sovietica, della nazione ucraina. “Ecco, è proprio per non rispondere ai deliri di Putin che lanciamo questa iniziativa”, dice Yaroslav Hrytsak, storico ucraino, all’indomani della presentazione della Ukraine History Global Initiative, progetto che riunisce oltre novanta storici di tutto il mondo (a partire da Timothy Snyder, che l’ha presentata al British Museum), nel tentativo di “strappare la percezione globale dell’Ucraina dall’ombra della storia russa”.

L’iniziativa, finanziata dall’oligarca Victor Pinchuk, promuoverà sull’arco di tre anni una serie di pubblicazioni, più di una conferenza accademica annuale e anche scavi archeologici. Perché, se come diceva Wilde l’unico dovere che abbiamo verso la storia è di riscriverla, be’, c’è un gran lavoro da fare, tanto più in mezzo a una guerra feroce di aggressione la cui cornice è l’eliminazione sistematica del concetto di Ucraina indipendente. “Leggi la gran parte dei libri che trattano la storia di Kyiv”, dice Hrytsak, “e anche se la presenza russa è stata relativamente recente nelle vicende ucraine, tant’è vero che per gran parte del suo passato, fino alla fine del XVIII secolo, l’Ucraina si collocava semmai nel contesto europeo, nei libri c’è scritta un’altra storia”. Il primo campanello d’allarme è terminologico, e non è una questione di pignoleria. Accade anche agli storici più sofisticati. “Un libro di uno che apprezzo, 1492. L’anno in cui iniziò il mondo, di Felipe Fernández-Armesto, inizia confondendo la Rus’ di Kyiv con la Russia di oggi: è come dire che la Romania del 2023 è un’estensione dell’Impero romano. La ragione di tali grossolani errori è che la versione russa ha prevalso presso gli studiosi occidentali a causa delle ondate di emigrati russi in Europa negli anni ’20, che influenzarono gli ambienti accademici. Ma chiamare ‘Russia’ l’entità medievale detta ‘Rus’ significa infrangere la regola d’oro del buono storico: il passato è un paese straniero, non è possibile definirlo con i termini attuali”. Che invece è proprio quello che fa Putin. “Anche se Putin non avesse commesso tutti i suoi crimini, andrebbe comunque punito per il modo in cui riscrive la storia”, dice Hrytsak, e non si riesce a non pensare alle lunghe recriminazioni pseudostoriche hitleriane, “non ha alcun senso rispondere alle sue argomentazioni, perché sono chiaramente stupide, è come giocare a scacchi con un piccione. Lo scopo di questo progetto non è rispondere a Putin, ma comprendere meglio la storia e disegnare possibili scenari futuri”. 

Tra le questioni che nella storiografia sull’Ucraina causano maggiore dibattito, Hrytsak ne nomina almeno due. “Politicamente, la più ovvia è se il conflitto attuale richiami o meno la Seconda guerra mondiale. Ma in fondo io credo che ci siano questioni più importanti, che richiamano fattori a lungo termine. Per esempio, l’Ucraina è una terra di confine, importante ma vulnerabile: quanto e a che livello e in quale periodo storico essa è stata una colonia russa?”. Nel suo ultimo libro edito dal Mulino Hrytsak scrive che l’Ucraina è stata anche una colonia, “ma unica nel suo genere. Le élite irlandese, canadese, boliviana o di Singapore non ebbero accesso al governo dell’impero e il loro influsso sulla lingua imperiale era minimo, invece gli ucraini riuscirono a entrarci per due volte: la prima nel XIII secolo e la seconda dopo la morte di Stalin. Sotto questo punto di vista il caso ucraino è più simile a quello scozzese. D’altra parte però nell’impero russo e nell’Urss la lingua ucraina è stata sottoposta a sistematiche repressioni ed è stata scalzata dalla sfera pubblica. Da questa prospettiva il caso ucraino è più simile a quello irlandese, anche se a differenza della lingua irlandese quella ucraina resistette e rimase una lingua di comunicazione di massa”. Insomma, “nell’impero prima russo e poi sovietico gli ucraini avevano cominciato come gli scozzesi ed erano finiti come gli irlandesi”.  Il pendolo vacilla ancora adesso per l’Ucraina, mentre i giornali occidentali si esercitano i giorni pari a vaticinare l’inevitabile spaccatura del paese sull’onda del dissenso verso Zelensky e i dispari a intervistare il sindaco di Kyiv Vitali Klitschko che prevede una deriva autoritaria. Per Hrytsak i rischi ci sono, da una parte e dall’altra, ma resta fiducioso.

“L’accentramento di potere è un rischio costante per qualsiasi stato giovane, e l’Ucraina è uno stato molto giovane. Non possiamo ignorarlo. Però lo abbiamo affrontato già almeno due volte, ed entrambe l’abbiamo superato, nelle due Maidan del 2003 e del 2013/14. Di fronte al pericolo di autoritarismo gli ucraini si sono ribellati. Ugualmente il dissenso che vediamo in Ucraina fa parte del carattere storico del dibattito nazionale, improntato alla libertà, ma certo la democrazia può rischiare di andare verso l’anarchia. La questione cruciale è che gli ucraini si divideranno sempre, lo hanno sempre fatto, non siamo mica la Bielorussia o la Corea del nord, e questo direi che non è un male. L’importante è che il dibattito pubblico resti tale, che non diventi la discussione sterile sulla guerra che i social network animano”. Secondo Hrytsak l’idea di tenere delle elezioni l’anno prossimo, in un paese in guerra, più che buona o cattiva è semplicemente impossibile, “qualcuno deve spiegarmi come tenere elezioni eque e valide quando centinaia di migliaia di donne sono all’estero con i bambini, quando migliaia di soldati sono in prima linea: è semplicemente impraticabile, e politicamente sarebbe dannoso, perché le campagne elettorali enfatizzano le divisioni e aumentano l’instabilità. Credo che Zelensky abbia ragione nel dire che non possono tenersi nel 2024. Naturalmente le elezioni si devono tenere, ma dopo la guerra”. 


Non osiamo nemmeno parlare a Hrytsak della “stanchezza” delle opinioni pubbliche occidentali che dal divano, mentre fanno zapping tra Netflix e il talk show delle 21, si stufano di sentire le notizie di questi ucraini che lottano per la propria indipendenza ai confini dell’Europa. Forse la domanda giusta è quella contraria: gli ucraini si fidano ancora dell’occidente che vacilla e tentenna e sbadiglia mentre cammina sul ciglio dell’abisso? “Gli ucraini hanno lottato negli ultimi cent’anni, ma hanno fallito. Perché non avevano alcun sostegno straniero. L’unicità di questo momento è che per la prima volta nella storia l’Ucraina ha un sostegno geopolitico, che significa anche sostegno militare. Ciò è di cruciale importanza per la vittoria. Ricordiamo ancora e ancora che questa è una guerra di logoramento, e che le guerre di logoramento riguardano quasi esclusivamente le risorse. Se fossimo lasciati alle nostre risorse saremmo spacciati, perché è un dato di fatto che Russia e Ucraina in questo sono incomparabili, anche se la Russia è un paese arretrato e molto povero, tutto il pil della Russia non raggiunge quello dell’Italia. Certo, abbiamo bisogno di un occidente forte. Le preoccupazioni dei miei connazionali verso l’occidente le ritengo legittime. Forse è stato troppo a lungo in pace per ricordarsi che cos’è la guerra, certo credo che l’Ue abbia un disperato bisogno della crisi scatenata da questa guerra per riformarsi”. Ci riuscirà? L’occidente avrà la volontà e la capacità di rimodellarsi? “Questa è una domanda che non va posta a me. Ma a voi”.

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