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a Bruxelles

Il gran “no” di Orbán sul budget europeo non spaventa più: l'Ue può procedere a 26

David Carretta

Non ci sono possibilità di cacciare Budapest dall’Ue, al massimo di attivare l’articolo 7 del trattato che permette di togliere il diritto di voto ai paesi che violano i princìpi fondamentali. Isolato, il presidente ungherese inizia a mostrare segnali di nervosismo

Bruxelles. Il veto di Viktor Orbán sulla revisione del bilancio pluriennale dell’Unione europea, che comprende un pacchetto da 50 miliardi di euro per Kyiv, non è riuscito a rovinare la festa per la decisione di aprire i negoziati di adesione con l’Ucraina. Il via libera del Consiglio europeo è “un segnale di speranza e fiducia. L’allargamento è un investimento nella pace, nella sicurezza e nella prosperità”, ha detto il suo presidente, Charles Michel, minimizzando le conseguenze del blocco dell’Ungheria. “Saremo in grado di rispettare la nostra promessa di sostenere l’Ucraina con mezzi finanziari”, ha spiegato Michel, che ha convocato un vertice straordinario per gennaio o febbraio per convincere Orbán a unirsi all’accordo. Altrimenti lo farà l’Europa a 26, senza l’Ungheria, con una soluzione alternativa, che permetterà a Kyiv di continuare a pagare stipendi e pensioni. I 50 miliardi sono “una chiara promessa sostenuta da 26 stati membri”, ha detto Michel. “L’Ucraina non resterà senza sostegno: 26 paesi sono determinati ad aiutare l’Ucraina”, ha confermato la premier estone, Kaja Kallas.

Dopo aver trascorso settimane ad annunciare il veto sull’adesione dell’Ucraina, giovedì mattina Orbán era arrivato al Consiglio europeo, spiegando che quello per lui non era il posto giusto per “fare business”: nessun accordo sottobanco, nessuno scambio con la Commissione che aveva appena scongelato 10,2 miliardi di euro bloccati per lo stato di diritto. Orbán ha rifiutato il sospetto che l’Ungheria stava ricattando l’Ue per ottenere in cambio lo sblocco di altri fondi. Alla fine se n’è andato dalla sala del vertice per non partecipare alla decisione sui negoziati sull’Ucraina e poter denunciarla come “pessima”, malgrado il fatto che vincoli anche l’Ungheria. Poche ore dopo ha bloccato l’adozione della revisione del piano finanziario pluriennale. Ieri mattina la maschera è venuta giù. Il suo veto sulla revisione del quadro finanziario pluriennale in realtà serve proprio per “fare business”. La necessità dell’unanimità sul bilancio è “l’occasione per rivendicare chiaramente ciò che (l’Ungheria) merita. Non la metà, non un quarto, ma la totalità” dei fondi dell’Ue, ha detto Orbán nella sua consueta intervista radiofonica del venerdì. L’Ungheria ha “due linee rosse”, ha spiegato al Foglio il suo principale consigliere politico, Balázs Orbán. Primo, il pacchetto da 50 miliardi di euro per l’Ucraina deve essere fuori dal bilancio dell’Ue, perché Budapest non vuole finanziare una strategia sbagliata (sostenere Kyiv di fronte all’aggressione della Russia). Secondo, “c’è un legame diretto” tra la revisione del quadro finanziario pluriennale e i fondi congelati dell’Ungheria, ha detto il consigliere di Orbán: Budapest non vuole mettere mano al portafoglio per l’aumento dei tassi di interesse di Next Generation Eu se non può avere accesso ai fondi del suo Pnrr perché non rispetta le ventidue condizioni legate allo stato di diritto. Se nel vertice di inizio 2024 gli altri leader vogliono un accordo sulla revisione del quadro finanziario pluriennale, “deve includere ovviamente i problemi di bilancio ungheresi”, ha detto il consigliere di Orbán.

Il ricatto permanente di Orbán ha esasperato gli altri leader. Al punto che molti di loro non trattengono più le critiche in pubblico. I fondi “sono congelati perché servono riforme su stato di diritto e lotta alla corruzione”, ha detto il premier belga, Alexander De Croo: “Non vedo ancora progressi e possono essere scongelati solo con progressi”. La presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, dopo essersi mostrata generosa sui 10,2 miliardi, ha ricordato che “se ci sono passi avanti” sulle riforme, “arrivano i pagamenti”. Il presidente francese, Emmanuel Macron, ha detto di aspettarsi che nei prossimi mesi Orbán “si comporti da europeo e non prenda in ostaggio i nostri progressi politici”. La quantità di volte che Michel e gli altri leader hanno usato la parola “a ventisei” (accordo, sostegno, promessa) mostra che i ricatti del premier ungherese non saranno più tollerati. Non ci sono possibilità di cacciare Budapest dall’Ue, al massimo di attivare l’articolo 7 del trattato che permette di togliere il diritto di voto ai paesi che violano i princìpi fondamentali. Isolato, Orbán inizia a mostrare segnali di nervosismo. “Non vogliamo lasciare l’Ue. Come stato membro abbiamo i nostri interessi. Abbiamo problemi da risolvere”, ha detto il suo consigliere Balázs Orbán. In ogni caso, qualunque cosa deciderà di fare il premier ungherese, per l’Ucraina “non ci saranno problemi finanziari”, dice al Foglio un diplomatico. Le soluzioni alternative sono diverse: prolungare l’attuale programma di assistenza macrofinanziaria (1,5 miliardi al mese versati nelle casse di Kyiv) o creare una Facility per l’Ucraina a livello intergovernativo fuori dal bilancio dell’Ue finanziata direttamente da ventisei stati membri. “Ci sono soluzioni per aggirare il problema” Orbán, ha spiegato il premier irlandese, Leo Varadkar. Von der Leyen ha promesso “una soluzione operativa nel caso in cui un accordo a ventisette non sia possibile”.

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