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A Londra

Il rischio politico di Rishi Sunak su Ruanda e immigrazione

Cristina Marconi

Il premier britannico non rinuncia al suo piano di gestione dei flussi migratori, ma intanto aumentano le dimissioni e i dissidi all'interno del suo governo 

Rishi Sunak ha legato tutta la sua strategia sull’immigrazione al fatto che parta o meno il primo volo per il Ruanda, il grande deterrente che, nei piani del governo fin dai tempi di Boris Johnson, farà senz’altro cambiare rotta alle barchette di richiedenti asilo che ogni giorno attraversano la Manica per approdare nel Regno Unito. Solo che il governo perde i pezzi, ultimo dei quali è Robert Jenrick, considerato vicino al premier, esponente dell’ala destra dei Tories e sottosegretario dell’Immigrazione dimissionario secondo cui il progetto di mandare i richiedenti asilo in Ruanda è “un trionfo della speranza sull’esperienza”. E non perché sia troppo estremo, al contrario: “Non va abbastanza a fondo” nell’impedire alla gente di arrivare illegalmente nel paese, visto che non rimuove completamente il rischio di interferenze da parte delle leggi internazionali, pur aggirandole in tutti i modi possibili.

Sunak, che al Ruanda non rinuncia nonostante le ripetute sentenze che ne hanno denunciato fino ad ora l’impraticabilità, ha affidato a un decreto di sette pagine il compito di aggirare le obiezioni dei giudici britannici, secondo i quali Kigali non dà sufficienti garanzie sul trattamento dei migranti e il principio di non refoulement. Alle corti viene ordinato di ignorare lo Human Rights Act britannico ma anche la convenzione delle Nazioni Unite sui rifugiati, oltre che le sentenze provvisorie della Convenzione europea dei diritti umani, con una mossa che secondo l’ala moderata dei Tories – ma non solo – rischia di danneggiare molto la credibilità del Regno Unito. Il governo ha di fatto stabilito per legge che il Ruanda è un posto sicuro, spiegando alla nazione che la sua “è la proposta di legislazione sull’immigrazione più dura mai messa sul tavolo della storia britannica” e che qualunque passo più in là avrebbe fatto venire meno il sostegno essenziale del governo di Paul Kagame, che non ha intenzione di operare al di fuori del rispetto della legge internazionale. Come ha sottolineato Yvette Cooper, ministro dell’Interno del governo ombra, è Londra che si fa riprendere da Kigali sul rispetto delle leggi sui diritti umani. Il “Decreto sulla sicurezza del Ruanda” verrà votato la settimana prossima in quello che a questo punto appare come un voto di fiducia su Sunak stesso, reduce da una serie di dimissioni, rimpasti, figuracce e, soprattutto, fallimenti. Il premier, nel corso di una conferenza stampa ieri, ha difeso il suo piano dagli attacchi di chi sostiene che il primo volo non partirà mai prima delle elezioni, sostenendo di voler “finire il lavoro” e di essere fiducioso di riuscire a “portare a casa il risultato” tanto agognato.

La sua promessa di ridurre l’immigrazione deve vedersela con i dati del 2022, che hanno registrato una migrazione netta di 745 mila persone, contro i 300 mila dell’epoca pre-Brexit, per via di un aumento degli arrivi dall’Ucraina e da Hong Kong. La soluzione messa a punto è quella di dare un tetto minimo di 40 mila euro di stipendio annuo per chi arriva e, nel caso di britannici con mogli e mariti stranieri, di 40 mila euro per nucleo familiare. Ma sono gli sbarchi ad aver il peso politico più grande. “Rifiuto di essere l’ennesimo politico che fa promesse sull’immigrazione al pubblico britannico ma non le mantiene”, ha scritto Jenrick – di cui va sottolineato che pur essendo fedelissimo della prima ora di Sunak è rimasto solo sottosegretario – nella sua lettera di dimissioni, mentre Suella Braverman, ex ministra dell’Interno mandata via di recente per le sue critiche sopra le righe al governo, ha fatto presente il rischio di ricorsi da parte dei richiedenti asilo mandati in Ruanda in mancanza di un taglio netto con la legge internazionale. 


James Cleverley, il ministro dell’Interno, è andato a Kigali per firmare un nuovo trattato e rispondere così alle perplessità della Corte Suprema, secondo cui non è il principio di inviare migranti in un paese terzo a essere discutibile, ma la meta: il paese non dà garanzie sufficienti sul fatto che le persone non verranno rispedite nei paesi d’origine o in altri luoghi non sicuri. Il Regno Unito ha già sborsato 140 milioni di sterline per l’accordo con il governo di Paul Kagame, che secondo quanto stabilito accoglierà i richiedenti asilo e sbrigherà le pratiche, con la possibilità di far restare le persone o di mandarle verso altre destinazioni giudicate sicure. Che questo riesca a far cambiare i piani di chi sfida il mare pur di andare dalla Francia al Regno Unito è tutto da vedere, ma Downing Street è convinta che basti. Soprattutto Sunak ha fatto del Ruanda una questione totemica della sua premiership. Lui, che ha lanciato un appello “unità o morte” al suo partito, si ritrova con molti deputati tentati dalla seconda opzione, visto che il Labour di Keir Starmer, nonostante i grandi dissidi interni sul medio oriente, continua a veleggiare intorno ai 20 punti di vantaggio nei sondaggi. Suella Braverman sostiene che i Tories stanno andando verso “l’oblio elettorale”: senz’altro il partito è spaccato, senz’altro sono tutti scontenti, sia al centro che a destra, ma tentare un cambio di leadership è una consacrazione di queste fratture, non un modo per presentarsi forti e uniti agli elettori. 
 

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