Hnery Kissinger - foto Ansa 

1923-2023

L'ultima intervista di Kissinger e il 1973

Giulio Silvano

Poco prima del 7 ottobre al Jerusalem Post aveva ricordato la guerra dello Yom Kippur e la sua visione di Israele

Fino all’ultimo, il bavarese diventato il volto della Realpolitik, eminenza di mezzo secolo di geopolitica americana, è rimasto lucido, attivo, influente. Nella sua ultima intervista, rilasciata al Jerusalem Post poco prima dell’attacco di Hamas, Henry Kissinger ricorda la mattina del 1973 quando scoppiò la guerra dello Yom Kippur, quando truppe egiziane e siriane attaccarono a sorpresa lo stato di Israele.

L’Egitto era guidato da Anwar al-Sadat, la Siria dal dittatore Hafiz al-Assad. Kissinger da due settimane era diventato segretario di stato nell’amministrazione Nixon, dove già ricopriva anche il ruolo di consigliere per la Sicurezza nazionale. “Alle sei e mezzo del mattino mi chiama il sottosegretario Joseph Sisco e chiede di vedermi urgentemente. ‘C’è una crisi in Medio Oriente’, mi dice. ‘E se agisci immediatamente puoi ancora fermarla”. Davvero gli ebrei combatteranno il giorno dello Yom Kippur, la festa più santa dell’anno?, si chiede Kissinger. “A metà giornata era chiaro che fosse diventata una guerra normale, che si trattava di un attacco su larga scala. La nostra squadra era certa che gli israeliani li avrebbero distrutti in poche ore”. Ma non è andata così, al dipartimento di Stato l’hanno capito il giorno dopo. “Fin dall’inizio volevamo evitare la vittoria araba, perché la vedevamo come una vittoria sovietica. Eravamo convinti, dal primo istante, che avremmo riportato la situazione allo status quo, ma dopo un giorno era chiaro che gli eserciti nemici erano avanzati notevolmente. La situazione militare era completamente diversa da come si aspettavano gli esperti”. Quando è iniziata la battaglia, gli egiziani sono riusciti a entrare con oltre 100 mila soldati e 400 carrarmati nel Sinai. Nei primi giorni Israele perdeva fino a 200 soldati al giorno. In tre giorni perse 49 aerei. Il ministro della Difesa Moshe Dayan e il primo ministro Golda Meir erano sull’orlo della disperazione. Erano certi che Israele avesse un vantaggio militare, dice Kissinger, “non avevamo mai pensato di trovarsi davanti a un’avanzata in Medio Oriente sostenuta dai sovietici, ma quando l’abbiamo capito abbiamo iniziato a discutere di come rifornirli militarmente. Il Pentagono si opponeva fermamente al farlo direttamente. E così abbiamo fatto venire gli aerei israeliani e li abbiamo riempiti di equipaggiamento. Allora si trattava di equipaggiamento hi-tech che poteva essere usato immediatamente”. 

Quando l’ambasciatore israeliano Simcha Dinitz è andato a chiedere aiuto a Kissinger, “era il giorno in cui il vicepresidente Spiro Agnew si è dimesso e Nixon doveva gestire quella crisi costituzionale. Lui stesso era sotto attacco. Era il momento clou dell’investigazione Watergate”. Dopo esser riuscito a parlare con Nixon, Kissinger racconta di aver detto a Dinitz: “Ci sono due problemi separati: lo scontro immediato, e quello a lungo termine. In quello immediato Israele deve fermare l’avanzata del nemico prima che ci possa essere un significativo intervento diplomatico americano, e così li ho incoraggiati a iniziare un’offensiva su alcuni fronti, dicendogli che potevamo agire diplomaticamente dopo aver ottenuto dei successi militari. Nel frattempo, avremmo immediatamente organizzato un ponte aereo civile verso Israele”. Ma il ponte aereo civile non era sufficiente, e così Kissinger convinse Nixon a farlo diventare militare. “Gli israeliani avrebbero iniziato un’offensiva sulle alture del Golan, e nello stesso tempo avrebbero discusso un’offerta di cessate il fuoco. Io ero contrario a raggiungere un cessate il fuoco finché la battaglia la stavano vincendo gli eserciti aggressori”. A chi si lamentava di un intervento americano non abbastanza rapido Kissinger rispondeva così: “Ci sono voluti tre giorni per mobilizzare il ponte aereo militare americano in modo da sostenere Israele. Qualsiasi alleato dovrebbe considerarsi estremamente fortunato davanti a una nostra azione come quella! Non accetto l’idea del ritardo nell’appoggio a Israele, perché fino a martedì mattina avevamo l’impressione che gli israeliani avrebbero facilmente sconfitto l’attacco arabo. Ed è per quello che da sabato mattina eravamo andati avanti con la proposta del cessate il fuoco, da presentare alle Nazioni Unite, ma non da parte degli Stati Uniti, ma da parte di qualche altro paese, e abbiamo provato a convincere l’Australia e poi l’Inghilterra a sottoporre la proposta. Sadat si è opposto perché pensava che stessero vincendo, e ha ordinato a due divisioni armate di attraversare il Canale, pensando di poterlo fare perché lì Israele non aveva una superiorità aerea. Però, appena sono usciti dall’area di protezione dell’artiglieria antiaerea sovietica, sono diventati molto vulnerabili davanti all’aeronautica israeliana, e Sadat nella battaglia di quella domenica ha perso centinaia di carrarmati. E’ stato lì che la battaglia ha cambiato direzione e le forze israeliane, credo fosse martedì, hanno attraversato il Canale di Suez. Da parte nostra non ci sono stati ritardi, abbiamo iniziato la prima sera”.

In quel momento Israele ha iniziato a vincere e, nel giro di pochi giorni le forze militari israeliane erano a 100 chilometri dal Cairo e a 40 da Damasco. Secondo Kissinger il momento di svolta c’è stato quando “la Siria ha richiesto all’Egitto di aumentare i combattimenti a sud in modo da togliere pressione dal Golan. Gli egiziani ci hanno provato ma hanno fallito. Poi è stato attraversato il Canale e la terza armata egiziana è stata circondata. Sadat mi ha invitato a Mosca. Allora le forze israeliane avevano già superato il Canale di Suez e quando sono arrivato lì ho insistito per un immediato cessate il fuoco. Da quando ho chiesto il cessate il fuoco a Breznev”, il leader sovietico, “a quando è stato implementato ci sono volute altre 48 ore e questo ha migliorato la situazione israeliana sul campo di battaglia”. Con la guerra in corso, una delegazione di ministri degli Esteri arabi proposero al segretario di stato un ritiro israeliano ai confini del 1967, dicendo che l’embargo sul petrolio non sarebbe stato tolto fino a un ritiro di Israele. “Con questa argomentazione”, dice Kissinger, la guerra non si sarebbe potuta fermare con un semplice impegno a ritirarsi, doveva avvenire un vero ritiro. Ma noi non l’abbiamo mai considerato. Devo sottolinearlo fortemente”. Il risultato dell’arte diplomatica portata avanti da Kissinger “era indurre l’altra parte ad accettare un ritiro parziale in cambio di precise condizioni politiche che per Israele significassero un aumento della propria sicurezza”

A Kissinger viene chiesto se si sarebbe potuto prevenire l’attacco. “Penso che la guerra si sarebbe potuta evitare solo se Israele avesse accettato di ritirarsi nei confini del ’67, cosa che non poteva fare perché avrebbe esposto la strada tra Tel Aviv e Haifa, esponendola al fuoco nemico. E poi tutti I partiti politici israeliani erano contrari a una mossa del genere, quindi avrebbero dovuto imporlo a Israele, e noi ci saremmo opposti. E anche a quel punto non so se si sarebbe evitata la guerra, perché Sadat, che dopo la guerra è diventato un grande sostenitore della pace, era convinto che il mondo arabo avesse bisogno di alcune azioni militari di successo. Nixon, con mio forte supporto, non era assolutamente disposto a considerarlo”.  

A Kissinger viene chiesta anche un’opinione su quello che, prima dell’attacco di Hamas del 7 ottobre, stava succedendo in Israele. Giganti manifestazioni di piazza contro il governo, soprattutto in merito alla riforma della giustizia. “Per me è incomprensibile, nella situazione in cui si trova Israele, che avvenga una disintegrazione del processo politico senza una leadership, da entrambe le parti, che possa evitare di permettere delle situazioni da guerra civile. Rispetto Netanyahu per quello che fa per la sicurezza di Israele. La sua gestione interna non posso giudicarla, ma sono molto preoccupato sulle divisioni nella nazione che sono molto pericolose per lo stato”. Come ricorda il Jerusalem Post, il presidente israeliano Yitzhak Rabin aveva grande stima di Kissinger per le sue capacità analitiche. Credeva che l’ebraismo del segretario di Stato, le sue radici, esser cresciuto nella Germania nazista, avessero influenzato le sue politiche durante la guerra dello Yom Kippur. “Bisogna capire che sì, c’era un impegno verso Israele, ma era anche parte di una strategia per espellere i sovietici dal Medio Oriente. Quindi io e Nixon, fin dall’inizio, volevamo usare la guerra per preservare Israele, ma nel contesto americano volevamo rimuovere la presenza russa dalla regione”. Molti, come Rabin, si sono chiesti se l’ebraismo di Kissinger abbia avuto un ruolo nel gestire la guerra. “Sono ebreo, quindi per me è automatico il rispetto per il popolo ebraico. Ho perso undici membri della mia famiglia stretta nell’Olocausto e un numero incalcolabile di persone con cui sono andato a scuola, forse il 50 per cento. Quindi sì, va aggiunto che ovviamente mi pongo come obiettivi personali la sopravvivenza del popolo ebraico e dello stato di Israele. Ma allora ero segretario di stato. Ero il primo segretario di stato ebreo. Ero il primo segretario di stato nato in un altro paese, e Israele doveva essere difeso nei termini degli interessi americani, in modo da essere in grado di poter gestire la diplomazia successiva alla guerra. Dall’inizio abbiamo avuto un approccio speciale al processo di pace, diverso da tutti quelli precedenti, sia nostri che dei nostri alleati. Il presupposto dei precedenti tentativi di pace era raggiungere una soluzione generale e obbligare Israele a tornare ai confini del 1967. Eravamo convinti che fosse inottenibile, e quindi per anni ho sostenuto che la cooperazione diplomatica dovesse esser fatta in modo graduale, passo a passo. Pensavo anche che se Israele fosse stato obbligato a ritirarsi senza alcuna concessione da parte degli avversari, non sarebbe stato facile mantenere alta la morale di Israele, che è essenziale per tenere lo stato in vita e allerta”.

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