(foto EPA)

L'editoriale del direttore

Perché Israele è la pietra d'inciampo del fanatismo verde

Claudio Cerasa

Greta Thunberg potrebbe essere a fianco dello stato ebraico, che in medio oriente è il paese più attento alla difesa dell’ambiente. E invece, solidarietà alla Palestina e non una parola contro Hamas. Perché la colpa è comunque dell’occidente e del capitalismo

La domanda è semplice: ma esattamente che cosa hanno in comune la difesa dell’ambiente e l’odio nei confronti di Israele? La storia probabilmente la conoscete già. La scorsa settimana, Greta Thunberg, paladina della difesa dell’ambiente, è finita al centro delle cronache in due circostanze diverse ma entrambe correlate. Una prima volta, ad Amsterdam, il 12 novembre, durante la marcia per il clima organizzata nell’ambito di una serie di iniziative elettorali (in Olanda si vota mercoledì prossimo), Greta, che per l’occasione indossa una kefiah come sciarpa, invita sul palco una ragazza palestinese e una ragazza afghana che hanno mosso accuse di genocidio nei confronti di Israele. “Dobbiamo ascoltare – ha detto Greta – le voci di coloro che sono oppressi e di coloro che lottano per la libertà e per la giustizia. Altrimenti, non può esserci giustizia climatica senza solidarietà internazionale”. E ancora: “Le persone che si trovano in prima linea nella crisi climatica ne sperimentano in prima persona le conseguenze ormai da decenni e hanno lanciato l’allarme. Ma noi non abbiamo ascoltato. Le persone al potere non ci hanno ascoltato”. 

In quel momento, un uomo sale sul palco e in modo brusco le strappa il microfono dalle mani. E le dice: “Sono venuto qui per una manifestazione sul clima, non per un comizio politico”. Un secondo episodio, ancora più eclatante, è quello di cui vi abbiamo dato già conto. Lunedì 13 novembre, Ricarda Lang, una dei due leader dei Verdi tedeschi, ha accusato Greta di aver utilizzato su Israele posizioni non accettabili. Greta, pochi giorni dopo il 7 ottobre, aveva postato un’immagine in cui esprimeva solidarietà alla Palestina senza utilizzare una sola parola di critica nei confronti di Hamas. “Devo dire che trovo queste dichiarazioni non solo assolutamente opprimenti, ma anche assolutamente indecenti”, ha detto la Lang, aggiungendo che il fatto di non condannare Hamas per le sue atrocità sembra essere un modo per “confondere i colpevoli e le vittime” e “mettere da parte il diritto di Israele di esistere”.

 

Fino a oggi, i due fatti di cronaca sono stati utilizzati per screditare Greta e mostrare ancora una volta i limiti della sua narrazione. In verità, i due episodi meriterebbero di essere trattati non ponendosi dalla parte di chi ha criticato con buone ragioni Greta ma dalla parte di chi è convinto che le posizioni di Greta siano coerenti, non contraddittorie, lineari, ovvie. E dunque non possiamo che tornare alla nostra domanda di partenza: ma esattamente che cosa hanno in comune la difesa dell’ambiente e l’odio nei confronti di Israele? Sul Telegraph di mercoledì scorso, la giornalista Annabel Denham ha provato a rispondere a questa domanda offrendo qualche argomentazione convincente. E anche qualche numero. Il primo numero interessante è quello che riguarda una contraddizione di fondo presente nel ragionamento di Greta (e dei suoi follower). Se il movimento a difesa dell’ambiente fosse davvero un movimento a difesa dell’ambiente non dovrebbe sfuggire il fatto che sul tema della difesa dell’ambiente Israele rappresenta un buon modello di resilienza. Israele ha ridotto le sue emissioni di carbonio pro capite del 40 per cento tra il 2012 e il 2021. I suoi impianti di desalinizzazione sono tra i più efficienti al mondo. E’ il maggiore utilizzatore di acque reflue riciclate per l’agricoltura tra i paesi membri dell’Ocse. Ha creato un sistema di efficientamento del sistema idrico tale da essere riuscito ad avere il 20 per cento di acqua in più rispetto a quella di cui necessita. Ha fissato un obiettivo di riduzione dei gas serra dell’85 per cento entro il 2050. E ha previsto entro il 2050 di arrivare, grazie al riciclo, al fatidico traguardo dei “rifiuti zero”. Non tutto è perfetto, naturalmente, e per stessa ammissione dell’Ocse molto è perfettibile.

 

Ma il dato certo, che invece sfugge a Greta, è che tra Israele e i paesi arabi vi è una differenza non da poco. Israele è l’unico stato del medio oriente che ha mosso passi decisi verso una tutela dell’ambiente in un contesto in cui tutti i paesi dell’area, come Greta dovrebbe sapere, sono tra i maggiori produttori di combustibili fossili del mondo (le accise israeliane sui carburanti, tra l’altro, sono tra le più alte tra i paesi Ocse). Dunque, perché un’attivista desiderosa di proteggere l’ambiente cova tutto questo odio nei confronti di Israele? Annabel Denham ha una risposta: “Come per tutte le forme moderne di fanatismo verde, l’idea di base è che i problemi ambientali sono un prodotto del nostro sistema economico e devono essere smantellati. Non importa che il capitalismo abbia aumentato l’aspettativa media di vita umana da 30 a 70 anni, anche se forse Greta ribatterebbe che siamo molto più ecologici quando siamo morti”.

 

A pensarci bene, la questione di fondo dell’ambientalismo demagogico è proprio questa. Usare la difesa dell’ambiente non come una leva volta a incentivare il progresso tecnologico ma come un mezzo per portare acqua al mulino delle proprie idee. In questo senso, il fanatismo ambientalista è un movimento più anti capitalistico che eco attivista. E non può sorprendere dunque il fatto che, nelle 460 pagine del suo libro sull’ambiente, tra un’invettiva e l’altra, Greta abbia lanciato appelli per “una trasformazione del sistema”, condannando senza appello “il genocidio commesso da parte del cosiddetto Nord globale per accumulare ricchezza”. E da questo punto di vista il caso di Israele è una perfetta cartina al tornasole di alcuni obiettivi di Greta & Co: demonizzare l’occidente, alimentare il senso di colpa delle democrazie liberali, addossando al sistema capitalistico le responsabilità di ogni male del mondo. Quando invece è vero il contrario. L’occidente devoto al capitalismo è quello più all’avanguardia sull’ambiente. E non c’è soluzione migliore per occuparsi del nostro ecosistema, abbassare le emissioni e combattere il riscaldamento globale, che scommettere sulla tecnologia e puntare sull’innovazione per migliorare l’efficienza energetica, diminuire l’inquinamento atmosferico e dare un futuro stabile alle nuove generazioni. Il problema di Greta con Israele, dunque, non è aver mostrato la sua insensibilità rispetto alla difesa di Israele ma è aver mostrato quanto la difesa dell’ambiente e l’odio per il capitalismo possano essere compatibili solo in un mondo parallelo svincolato non solo dalla difesa delle democrazie assediate ma semplicemente dalla realtà.

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.