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Il simbolo

La stella di David, "il segno santificato dalla sofferenza e dal terrore”

 Giulio Silvano

Nel simbolo della stella a sei punte c’è tutta la memoria identitaria del popolo ebraico

Il giorno dopo l’attacco di Hamas è stata bruciata la bandiera di Israele. In Yemen, Pakistan, Iran e Iraq. Poi la voglia di dar fuoco alla stella di Davide è arrivata anche a New York, a Montreal, a Roma, a Bologna, a Salò, a Malmo davanti a una sinagoga, ad Aquisgrana, e in varie città tedesche. La stella è anche stata dipinta a Parigi, su muri di case, banche e negozi, per segnalare le abitazioni degli ebrei, nel modo simile in cui lo facevano i nazisti. La volontaria distruzione dello stendardo israeliano, o il suo utilizzo come segno identificativo-offensivo, come per designare un bersaglio, non si limita a mostrare avversione a un governo o alle sue politiche ma colpisce la storia del popolo che rappresenta, il suo orgoglio identitario. Ogni volta che si distrugge un simbolo si cerca di eliminare tutto quello che contiene.

 

“I simboli nascono e si sviluppano dal suolo fecondo dell’emozione umana”, scrive Gershom Scholem, semitista che nel 1933 ottenne la cattedra di mistica ebraica all’Università di Gerusalemme. Scholem, amico di Benjamin e Agnon, alla fine del 1947 decise di studiare la storia del simbolo che di lì a poco sarebbe apparso sulle bandiere della nuova nazione. Scholem voleva fare chiarezza sulla sua origine, e capirne la portata. Scrive così un saggio  (in Italia l’hanno pubblicato La Giuntina e Adelphi), che ci fa vedere quanto sia un simbolo giovanissimo, rispetto ad esempio alla millenaria menorah, il candelabro che troviamo anche sull’arco di Tito, o ai due leoni che sorreggono l’albero della vita.

 

  
Di fronte a chi, all’alba della proclamazione dello stato cerca nel nuovo vessillo i più profondi significati storici, Scholem ha una tesi nuova: la stella di Davide, dice, non è un simbolo ebraico. Non lo è storicamente, se si pensa a quanto è lunga la storia dell’ebraismo, e non lo è biblicamente. Ma lo è diventato. Il  “Maghen David” ha fatto la sua incursione in due percorsi paralleli, da una parte attraverso la mistica, dall’altra nel mondo ornamentale, fino a fondere le due cose, unendosi nell’elemento dell’oppressione e della persecuzione. Diventare qualcosa è forse più forte che essere qualcosa. I misteri e le complicazioni, le diverse strade che portano alla stella, rappresentano bene la ricchezza e la tortuosità della religione e della cultura ebraica. 

  

  
Troviamo i due triangoli incrociati o sovrapposti anche in chiese spagnole medievali, e prima tra gli assiri come simbolo alternativo al pentacolo, o usato in amuleti fin dall’antichità. A un certo punto la stella “oltrepassa l’ambito della magia per diventare un simbolo della visione della redenzione messianica”. La linea di sviluppo magica è parallela a quella decorativa. Alcune comunità ebraiche utilizzano l’esagramma come sigillo. La famiglia Foa, tipografi tra l’Italia e l’Olanda, lo usano per oltre due secoli e mezzo come marchio tipografico. Ma l’utilizzo ufficiale della stella come insegna della comunità ebraica si registra, dice Scholem, a Praga, e da lì poi arriva in Moravia e in Austria, alla fine del seicento, e l’applicazione del simbolo su oggetti rituali si nota solo un secolo dopo. Nel 1799 la stella viene usata per la prima volta in una vignetta satirica antisemita. “Non possiamo determinare con certezza se furono gli stessi ebrei a scegliere questo segno per i loro stendardi e i loro sigilli o se fu imposto loro dalle autorità cristiane. Entrambe le cose sono possibili. Ma anche se si trattò di un’imposizione, presto diventò un’usanza consolidata”. Qui sta il fulcro di tutto.

  

Conclude Scholem: “Ma molto più di quanto hanno fatto i sionisti per fornire allo Scudo di David la santità di un simbolo genuino, hanno fatto coloro che lo hanno trasformato in un marchio di vergogna e di degradazione per milioni di persone. La stella gialla, come segno di esclusione e in ultimo di sterminio, ha accompagnato gli ebrei nel loro cammino di umiliazione e di orrore, di battaglia e di eroica resistenza. Sotto questo segno furono assassinati, sotto questo segno vennero in Israele. Il segno che nei nostri giorni è stato santificato dalla sofferenza e dal terrore è diventato degno di illuminare il cammino verso la vita e la ricostruzione. Prima di ascendere, il cammino aveva condotto giù nell’abisso; dove il simbolo subì la sua estrema umiliazione, là conquistò la sua grandezza”.

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