Quel che resta dell’Università islamica e del quartier generale dell’Unrwa a Gaza City, distrutti dai bombardamenti (foto Ansa)

guerra in medio oriente

Le macerie dell'Unrwa, accusata di sostenere Hamas. “Falso, ma indagheremo”

Luca Gambardella

Storia dell’agenzia Onu più controversa, ma che è anche l’unica a dare aiuto ai palestinesi a Gaza con un prezzo altissimo in termini di vite umane. Netanyahu voleva chiuderla, ma dall'Agenzia rispondono: "Siamo ancora qui, e siamo degli eroi"

Dopo oltre un mese dagli attacchi di Hamas e l’inizio  dell’offensiva israeliana, fra le macerie di Gaza resta intrappolato anche il futuro dell’agenzia delle Nazioni Unite più controversa. Circa 13 mila funzionari dell’Unrwa, l’Agenzia per il soccorso e l’occupazione dei rifugiati palestinesi, da settimane trovano riparo fianco a fianco con altri 700 mila residenti di Gaza in 151 strutture sparse lungo la Striscia. Una decina di giorni fa, all’intensificarsi dei bombardamenti e con l’interruzione dei collegamenti internet e telefonici con Gaza, il segretario generale dell’Unrwa, Philippe Lazzarini, aveva scritto una lettera in cui annunciava di aver “perso i contatti con gran parte dei funzionari”. “Grazie a Dio siamo ancora vivi, ma molti di noi hanno perso mogli, figli, amici”, aveva risposto al telefono qualche giorno dopo Adnan Abu Hasna, uno dei portavoce dell’Unrwa a Gaza. Ieri è stata raggiunta quota 103 morti.  Non esiste agenzia nella storia dell’Onu che abbia pagato un prezzo così elevato in termini di vite umane. “L'Unrwa sta facendo un lavoro straordinario sul campo”, ha riconosciuto lo scorso 4 novembre il segretario di stato americano Antony Blinken. Ma il suo strenuo impegno umanitario durante la guerra a Gaza non ha impedito che, così come avviene sin dalla sua creazione nel 1949, l’Unrwa diventasse un ulteriore oggetto di scontro fra israeliani e palestinesi. 

 

Quasi tutti i funzionari dell’Unrwa operativi a Gaza sono palestinesi. Il che, per i suoi detrattori, sarebbe già di per sé un’anomalia perché dimostrerebbe lo scarso carattere multinazionale dell’Unrwa, un colosso da 30 mila dipendenti – è una delle organizzazioni dell’Onu più grandi – gestito dai palestinesi per dare soccorso ad altri palestinesi. Critiche sterili, rispondono dall’Unrwa: “Ancora oggi migliaia di noi prestano servizio al fianco dei rifugiati. Indossano il giubbotto dell’Onu e vanno – racconta al Foglio un funzionario dell’Agenzia che preferisce restare anonimo. E lo fanno nonostante condividano con i residenti di Gaza le stesse privazioni, gli stessi lutti, le stesse battaglie di tutti i giorni”. 

 

A essere finita sotto accusa, ormai da diversi anni, è l’imparzialità dell’Unrwa. Collusione con i terroristi di Hamas, negazionismo, corruzione, nepotismo. Gli scandali che hanno interessato l’Agenzia sono innumerevoli. Le parole più forti e nette contro l’Unrwa le spese il premier israeliano Benjamin Netanyahu, nel 2017. “E’ a causa dell’Unrwa che si perpetua la situazione dei rifugiati palestinesi favorendo la narrativa del diritto al ritorno per eliminare lo stato di Israele”, disse durante un colloquio con Nikki Haley, ex ambasciatrice americana alle Nazioni Unite. Per questo, aggiunse, “l’Unrwa va smantellata e assorbita dall’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr, ndr)”. Per Gerusalemme, è la natura stessa dell’Unrwa a essere in discussione. E’ l’unica agenzia dell’Onu destinata a un popolo in particolare, quello dei palestinesi nei Territori occupati, in Giordania, Siria e Libano, a differenza dell’Unhcr che ha invece un mandato universale. “Ciò crea una situazione dove i pronipoti dei rifugiati palestinesi, che non sarebbero rifugiati, sono invece trattati come tali dall’Unrwa – spiegò Netanyahu – Passeranno altri 70 anni e lo stesso succederà ad altri pronipoti. Questa assurdità va fermata”.  

 

Nel 2018 Donald Trump diede seguito alle richieste israeliane e decise di tagliare gli oltre 300 milioni di dollari previsti per l’Agenzia e stanziati dagli Stati Uniti, principale finanziatore. “Ho bloccato un sacco di soldi che davamo ai palestinesi – annunciò l’ex presidente americano – ‘Non ricomincio a pagarvi finché non firmate un accordo’, gli ho detto”. Una scelta che sollevò diversi dubbi: “In questo modo perderemo il nostro ruolo di mediatori e qualcun altro colmerà quel vuoto”, vaticinò allora Hady Amr, che lo scorso anno è stato nominato da Joe Biden Rappresentante speciale per gli affari palestinesi. Andò così, perché due terzi dei finanziamenti congelati dagli Stati Uniti furono garantiti all’Unrwa da Qatar, Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, gli stessi che oggi sono fra i principali interlocutori a Gaza.

 

L’anno dopo, nel 2019, fu la volta dello scandalo dei leak interni all’Agenzia che svelarono una serie di casi di nepotismo e corruzione. L’allora commissario generale dell’Unrwa, lo svizzero Pierre Krähenbühl, fu costretto a dimettersi. Fra le accuse che lo riguardavano c’era quella di avere creato una posizione lavorativa privilegiata e ad hoc per Maria Mohammedi, una funzionaria dell’Agenzia che avrebbe avuto una relazione sentimentale con il segretario generale. Un’indagine interna delle Nazioni Unite scagionò Krähenbühl, ma ormai la credibilità dell’Unrwa era ai minimi termini. 

 

Nulla però rispetto all’accusa più infamante, quella di arruolare fra i suoi funzionari dei sostenitori di Hamas. I primi report che accusavano gli insegnanti delle scuole gestite dall’Unrwa – si parla di 300 mila bambini attualmente ospitati in oltre 100 istituti dell’Onu – di incitare all’odio antisemita risalgono all’inizio degli anni Duemila. Si scoprì che decine e decine di terroristi arruolati tra le file di Hamas, fra questi anche il leader del gruppo terroristico, Ismail Haniyeh, avevano frequentato le scuole dell’Unrwa a Gaza. “L’Agenzia ha aiutato a creare la struttura militare di Hamas”, fu l’accusa di Dore Gold, ex ambasciatore israeliano all’Onu. “L’Unrwa fornisce cibo, medicine, denaro, lavoro, educazione radicalizzata, opportunità politiche e assistenza logistica a Hamas e ad altri gruppi estremisti”, afferma ancora oggi il Jewish Policy Center, un think tank filoisraeliano di Washington. Ogni accusa sollevata ha portato a indagini interne, ma nessuna ha portato a risultati concreti.

 

L’ultimo caso risale a pochi giorni fa ed è stato sollevato dall’UN Watch, un’altra ong con sede a Ginevra, fondata e finanziata dall’American Jewish Committee, la più importante organizzazione filoisraeliana degli Stati Uniti. UN Watch si propone di sorvegliare l’attività delle Nazioni Unite e la sua imparzialità. Così, monitorando i social network dei dipendenti dell’Unrwa dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre è emerso che diversi tra gli insegnanti che lavorano nelle scuole dell’Agenzia avevano elogiato i massacri dei terroristi. Alcuni esempi. Mohammed al Shaikh Ali, funzionario, il 10 ottobre ha scritto su X che “chiunque lascia la Striscia e scappa verso sud dovrebbe essere trattato come un traditore”. Hmada Ahmed, amministratore di una scuola dell’Unrwa, ha scritto che “questa terra non può accogliere due identità”. Altri dipendenti hanno postato cuoricini ed emoji per inneggiare ai terroristi palestinesi. E così via per altri dipendenti. Interpellata dal Foglio, l’Unrwa respinge le accuse: “Sono speculazioni che danneggiano il personale dell’Agenzia e i suoi sforzi nel dare sollievo ai civili alle prese con la catastrofe umanitaria nella Striscia. Non tolleriamo parole d’odio, di incitamento alla violenza o alla discriminazione. Ma anche in questo disastro compiuto dall’opera dell’uomo, prendiamo sul serio queste accuse sollevate sul comportamento del nostro staff e faremo delle indagini”. 

 

Nel momento più drammatico dalla Nakba a oggi, l’Agenzia dell’Onu non è mai stata così debole e screditata. Le richieste di un cessate il fuoco avanzate ogni giorno dal segretario generale Lazzarini, l’allarme per la fine del gasolio, del cibo e dell’acqua sono interpretate in Israele come propaganda filo Hamas. Difficile immaginare che, una volta che la guerra a Gaza sarà finita, non si realizzi una riforma dell’Unrwa che, peraltro, è in discussione già da anni. “La nostra priorità adesso è dare soccorso ai palestinesi di Gaza. Per molti di loro siamo l’unica possibilità di salvezza”, ci dice un funzionario dell’Agenzia. “Siamo sopraffatti. Ma chi di noi resta al fianco di milioni di palestinesi è un vero eroe”.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.