Ansa

Il caso

Già si sgonfia l'inchiesta che ha fatto cadere Costa in Portogallo

Marcello Sacco

Accuse, smentite, ricostruzioni vaghe: tutti i nodi di un'indagine che ha portato il governo portoghese al capolinea

Domenica la notizia aveva già fatto il giro del mondo, quando il dipartimento che indagava sui presunti casi di corruzione nel governo portoghese l’ha in parte confermata e in parte smentita. Uno dei capisaldi dell’operazione, non a caso ribattezzata “Influencer”, è il forte legame personale dell’avvocato, imprenditore e consulente Diogo Lacerda Machado con il primo ministro, ora dimissionario, António Costa. In una delle intercettazioni nelle mani dei pm, Lacerda Machado parla con un altro imprenditore, Afonso Salema della Start Campus, ditta titolare dell’appalto per la costruzione di un grosso data center nella città di Sines, complesso di nove edifici interamente alimentati da energia rinnovabile per un investimento di 5,7 miliardi di euro da completare entro il 2028. Lacerda Machado assicura il suo interlocutore che intercederà presso il governo affinché si facciano delle modifiche nei codici sintetici di attività economiche riguardanti i data center. Se dipende dal ministero delle Finanze, si dice sostanzialmente nella telefonata, parlo con il ministro Medina, se dipende dal ministero dello Sviluppo economico, troverò il modo di arrivare ad António Costa. Che sia errore di trascrizione o forse solo ambiguo eccesso di sintesi per gente che, secondo l’uso iberico, ha sempre molti nomi e cognomi, resta il fatto che qui si parla del ministro António Costa Silva e non del premier, a cui Lacerda Machado, suo vecchio amico e testimone di nozze, telefona direttamente sul cellulare quando vuole.

  

  

Solo nel tardo pomeriggio di domenica la procura ha confermato il qui pro quo onomastico, pur smentendo di aver confuso le due persone. Quanto basta a insospettire chi aveva già notato qualche difetto di sostanza nell’inchiesta che in Portogallo ha provocato uno dei più gravi terremoti politici della sua storia democratica. Sospetti che si rinforzano dopo la decisione del giudice istruttore, lunedì, di scarcerare i fermati e di far cadere le accuse più gravi nei loro confronti, ossia corruzione e abuso d’ufficio. Resta il sempre vago traffico d’influenze. La costruzione del data center di Sines aveva bisogno di un’autorizzazione su terreni protetti? “Ci vado io a pranzo con l’assessora”, dice una conversazione intercettata. E tutto s’aggiusta a tavola, magari in cambio di una sponsorizzazione da 5 mila euro con cui la Start Campus avrebbe finanziato Músicas do Mundo, il popolarissimo festival che dal 1999 fa di Sines la Mecca portoghese per gli appassionati di world music. È reato? Lo diranno i giudici, chissà quando. Intanto ne esce a pezzi la credibilità di una classe dirigente responsabile di progetti impopolari ma fondamentali per la transizione energetica. Le miniere di litio nel nord, per esempio, sempre osteggiate dalla popolazione locale. Oltre alla salubrità delle acque fluviali, la valutazione d’impatto ambientale aveva calcolato perfino il rispetto dei tempi di nidificazione degli uccelli e la riproduzione del lupo iberico. Ora che il direttore dell’Agenzia portoghese per l’ambiente, Nuno Lacasta, è indagato chi ci crede più?

 

 

Il decreto dell’estate 2022, approvato per favorire sempre la Start Campus da João Galamba (unico ministro ufficialmente inquisito e dimessosi oggi) in realtà non favoriva la Start Campus, perché il testo di legge citato nelle carte non riguardava l’autorizzazione a far passare i cavi di fibra ottica che servivano al data center. A scriverlo, sul settimanale Expresso, è Miguel Prado, giornalista fra i più competenti di politica energetica. E se questi sono i sospetti maggiori, non parliamo dei minori. Galamba era accusato anche di essersi servito degli autisti del ministero per andare a prendere i figli a scuola. Sull’ex ministro dell’Ambiente, João Pedro Matos Fernandes, pesa addirittura la colpa di aver aggravato la siccità in Portogallo. Secondo gli inquirenti ha limitato la produzione di energia idroelettrica in certi bacini artificiali solo due giorni dopo le legislative del 30 gennaio 2022, in modo da garantire il successo elettorale ai socialisti. Più che le parole di un pm sembrano quelle di un influencer ambientalista, appunto. Magari uno di quei militanti che negli ultimi mesi hanno imbrattato di vernice ministri rei di voler fare una transizione verde con l’aiuto delle grandi aziende energetiche nazionali, le stesse che a metà ottobre hanno portato il Portogallo a battere un nuovo record: quasi 70 per cento del consumo nazionale di elettricità originato interamente da fonti eoliche. Cosa ne sarà di queste politiche dopo lo scandalo? Lo deciderà il prossimo governo, questo ormai è al capolinea.

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