L'editoriale del direttore

La simmetria tra il nazismo e chi usa l'islamismo come causa per sterminare il popolo ebraico

Claudio Cerasa

Non è eretico sostenere che vi siano similitudini tra le teorie naziste e il pensiero di fondo che spinge i terroristi di Hamas a voler cancellare Israele dalle mappe: ecco perché

Il rappresentante permanente di Israele presso le Nazioni Unite, Gilad Erdan, tre giorni fa ha ricordato che le parole sono importanti e ha spiegato con un linguaggio asciutto e chiaro perché la comunità internazionale avrebbe il dovere storico, morale e politico di chiamare le cose con il loro nome e di ricordare ogni giorno che il nemico che Israele sta combattendo non è un solo gruppo di terroristi ma è la manifestazione più prossima a un male che il mondo libero ha già cercato di combattere con tutte le sue forze: il nazismo. I terroristi di Hamas, ha ricordato Erdan, sono “i nazisti dei nostri giorni”. E ancora: “Chi pensa che Hamas stia cercando una soluzione al conflitto sbaglia, perché l’unica soluzione a cui Hamas è interessato è quella finale: l’annientamento del popolo ebraico”.

A prima vista, il paragone tra l’islamismo fondamentalista di cui è espressione Hamas e le tesi naziste che hanno promosso lo sterminio degli ebrei in Europa durante l’Olocausto potrebbe apparire come una forzatura di Israele. La storia, come diceva Karl Marx, non si ripete. E se si ripete, al massimo, si ripete in farsa. Purtroppo, per quanto riguarda Hamas, le cose non stanno così. Due giorni fa, il settimanale francese Point ha ricordato la ragione per cui la storia di Hamas è inesorabilmente legata alla proliferazione delle teorie antisemite. Nel 1988, quando il gruppo terroristico presentò il suo primo “patto fondativo”, il popolo ebraico, all’articolo 7 della Carta, venne descritto come un nemico da abbattere, da annientare e da eliminare. E per giustificare questo obiettivo si scelse di fare leva sulle radici più estremiste dell’islamismo, evidenziando il modo in cui fu proprio Maometto a promuovere la caccia all’ebreo: “Il Movimento di resistenza islamico ha sempre cercato di corrispondere alle promesse di Allah, senza chiedersi quanto tempo ci sarebbe voluto. Il Profeta dichiarò: ‘L’ultimo giorno non verrà finché tutti i musulmani non combatteranno contro gli ebrei, e i musulmani non li uccideranno, e fino a quando gli ebrei si nasconderanno dietro una pietra o un albero, e la pietra o l’albero diranno: O musulmano, o servo di Allah, c’è un ebreo nascosto dietro di me – vieni e uccidilo’”. La storia di Hamas, da questo punto di vista, è dunque esemplare di un fenomeno che ancora oggi, a un mese dall’attacco a Israele, appare sfumato nella narrazione quotidiana di ciò che è stato il 7 ottobre per il popolo ebraico. Al contrario di quello che spesso si sostiene, l’esplosione della violenza non è stata “provocata” dalle malefatte di Israele. Ma è stata provocata da un’ideologia che è il vero motore dell’azione degli islamisti. Il Point ricorda altri due episodi significativi. Il primo episodio riguarda la storia del collaboratore nazista Haj Amin al Husseini (noto anche come il  “Mufti”), uno degli eroi di Hamas. Al Husseini, che incarna l’antisemitismo islamico contemporaneo e il rifiuto arabo di scendere a compromessi con la presenza di Israele, incontrò Hitler nel dicembre del 1942, lavorò con l’intelligence tedesca, contribuì a stabilire la divisione musulmana del SS in Yugoslavia e nel 1941 in Germania fu ospitato da Hitler. In quell’occasione, disse al ministro degli Esteri tedesco Joachim von Ribbentrop che gli arabi palestinesi da lui rappresentati erano “amici naturali della Germania perché entrambi sono impegnati nella lotta contro i loro tre nemici comuni: gli inglesi, gli ebrei e il bolscevismo”.

Il secondo episodio ricordato dal Poin riguarda uno studio interessante e recente realizzato da Meir Litvak, presidente del Dipartimento di studi mediorientali e africani dell’Università di Tel Aviv. Lo studio sottolinea un dato che spesso sfugge a molti osservatori contemporanei: la causa promossa da Hamas è una causa essenzialmente islamica e in quanto tale la lotta descritta dagli stessi terroristi è “come una dicotomia incolmabile tra due assoluti: una guerra di religione e di fede, tra islam ed ebraismo e tra musulmani ed ebrei, e non una guerra tra palestinesi e israeliani o sionisti”. Il Corano, in verità, come sanno i molti cristiani trucidati dagli islamisti integralisti, suggerisce una caccia generica agli infedeli, e non solo agli ebrei (“Combattete per la causa di Allah coloro che vi combattono, uccideteli ovunque li incontriate, scacciateli. Combatteteli finché il culto sia reso solo ad Allah”: sura 2, 190-193). Ma non capire che la guerra del terrore promossa da Hamas è una guerra al centro della quale vi è l’esistenza stessa del popolo ebraico significa non aver capito la portata di ciò per cui sta combattendo Israele. “Se tutti gli ebrei si riunissero in Israele – disse anni fa Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, che oggi si esprimerà su Israele – ci toglierebbero il disturbo di andarli a prendere in giro per il mondo”. Due popoli, uno stato. E chissà se è davvero una eresia sostenere che oggi l’ideologia più vicina al nazismo è quella veicolata da chi come Hamas sceglie di mettere l’islamismo fondamentalista al servizio di una propria causa: l’eliminazione del popolo ebraico. 

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  • Claudio Cerasa Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.