Ansa

L'intervista

“Israele e l'occidente non saranno più gli stessi dopo il 7 ottobre”. Parla Fridman 

Giulio Meotti

“Siamo in uno spartiacque storico. La posta in gioco è la civiltà. Vinceremo certo, l’esercito almeno nel breve termine prevarrà, ma abbiamo bisogno di una nuova leadership e modo di pensare se vogliamo ancora prosperare", dice il giornalista ed editorialista del New York Times

“Siamo in uno spartiacque storico, come un nuovo 1948, dopo il quale non sarà lo stesso paese”. Così al Foglio Matti Fridman, nato a Toronto, immigrato in Israele a diciassette anni, dove ha servito nel Libano del sud con l’esercito, prima di dedicarsi alla carriera giornalistica, prima all’Associated Press, poi come editorialista per il New York Times e altre testate e autore di libri fortunati, come “Il codice di Aleppo” e una biografia di Leonard Cohen e il suo periodo in Israele. 

“Amir Tibon, un collega del quotidiano Haaretz, rimasto intrappolato con la moglie e i figli nella loro casa a Nahal Oz mentre i soldati di Hamas cercavano di irrompere e ucciderli, ha scritto che la difesa del kibbutz da parte di un pugno di soldati era ‘come nel 1948’. Dunque un momento esistenziale per la sicurezza  e neanche coloro che speravano in un esito moderato del conflitto e che avevano visto attentati suicidi e missili pensavano di assistere a una cosa simile. E questa barbarie avrà conseguenze. E non abbiamo ancora assorbito questo trauma”.

Ci vorranno mesi, forse anni, continua Matti Fridman al Foglio, per metabolizzare il 7 ottobre. “In Israele non possiamo tornare a quello che eravamo prima. Ma non sappiamo come evolverà”. Dopo venti giorni, Hamas è ancora in grado di infliggere violenza a Israele, con i missili e con gli ostaggi. “Non stiamo vincendo ancora dopo la più grande sconfitta militare nella storia d’Israele” dice Fridman. “Qualcuno ha evocato la sorpresa dello Yom Kippur, ma erano soldati, qui parliamo di più di mille civili uccisi. Shimrit Meir, uno dei più acuti osservatori israeliani del mondo arabo, ha commentato che l’operazione di Hamas è stata accolta a Gaza con ‘un’euforia senza precedenti’ per ‘la più grande svolta palestinese dal 1948’. Vinceremo certo, l’esercito almeno nel breve termine prevarrà, ma abbiamo bisogno di una nuova leadership e modo di pensare se vogliamo ancora prosperare. Una settimana fa sembrava imminente l’invasione, anche da amici che sono nella riserva. Poi è entrata in una pausa, per le macchinazioni internazionali: gli americani stanno dicendo a Israele quando intervenire, perché ora riguarda anche Cina, Russia, Iran e altri attori. Stiamo indebolendo intanto Hamas. L’economia intanto è in  pausa, per questo la riserva dovrà essere usata”.

Quando abbiamo chiamato Fridman era di ritorno dal confine con Gaza. “L’agricoltura è in uno stato di abbandono. Molti lavoratori tailandesi sono stati uccisi, molti se ne sono andati, molti sono rapiti e i kibbutz e i moshav al confine con Gaza hanno adesso campi che non vengono coltivati e raccolti che non vengono lavorati. Per cui sono andato a sud a dare una mano con migliaia di altri israeliani che si sono offerti. Oggi ho raccolto l’insalata al confine con Gaza. La società israeliana è molto forte e ha risposto”. 

Difficile spiegare il mistero dell’opinione pubblica in maggioranza contro Israele. “Psicologicamente è affascinante che un massacro di ebrei abbia scatenato una protesta di massa contro gli ebrei e mi dice qualcosa sul perché ci sia stato l’Olocausto, cosa che non ho mai davvero capito” ci dice Fridman. “C’è qualcosa di profondo. Questo è spaventoso per le comunità ebraiche in Europa, ma anche per i non ebrei. A Londra vedi migliaia di persone che marciano per Hamas. Avrei molta paura se fossi al governo in Inghilterra o anche in Italia. Israele e l’Europa hanno un problema in comune. C’è qualcosa all’opera che va al di là di Israele. Il mio paese deve fare di più per l’opinione pubblica occidentale, che sta diventando sempre più polarizzata. E si rivolterà contro di noi. Viviamo in tempi folli, il crollo dell’ordine mondiale, quasi un momento di decivilizzazione. Non so se a Roma o a Parigi e Londra, ma per Israele la posta in gioco è proprio questa: la civiltà”. 
Intanto il fronte del consenso per Hamas prende forma nei campus americani. Neanche la Brandeis University – fondata come università ebraica – è riuscita ad approvare una mozione di condanna di Hamas, mentre sulla facciata della George Washington University hanno scritto: “Gloria ai nostri martiri”. 

“Negli ultimi 15 anni le istituzioni accademiche americane sono state sequestrate dal woke, gender immigrazione diritti umani etc..” conclude Fridman. “Da qui l’idea che Israele incarni tutto quello che odia la sinistra: razzismo, colonialismo, militarismo. E la stampa ha dato la volata a queste idee. Il Guardian e anche il New York Times. Il campus è l’origine di questa ideologia ostile. In molte ideologie occidentali gli ebrei, anche nel comunismo, erano indicati come il male. E così oggi l’antirazzismo. Karl Marx diceva che gli ebrei erano il capitalismo. Non avevamo mai visto nulla di simile. Un fenomeno psicologico unico”.  E così le vittime del più grande progetto razziale della storia sono oggi attaccate in nome dell’antirazzismo. Puro Orwell.
 

Di più su questi argomenti:
  • Giulio Meotti
  • Giulio Meotti è giornalista de «Il Foglio» dal 2003. È autore di numerosi libri, fra cui Non smetteremo di danzare. Le storie mai raccontate dei martiri di Israele (Premio Capalbio); Hanno ucciso Charlie Hebdo; La fine dell’Europa (Premio Capri); Israele. L’ultimo Stato europeo; Il suicidio della cultura occidentale; La tomba di Dio; Notre Dame brucia; L’Ultimo Papa d’Occidente? e L’Europa senza ebrei.