L'altalena turca

Erdogan straccia la sua trama da mediatore e si schiera con Hamas contro Israele

Paola Peduzzi

Svanita l’illusione sul presidente turco-mediatore che difende il gruppo terroristico chiamandolo "movimento patriottico di liberatori che proteggono la loro terra”

“Ho stretto la mano a questo signore, avevamo delle buone intenzioni, ma lui ne ha abusato”, ha detto il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, riferendosi al premier israeliano Benjamin Netanyahu, annullando la sua visita prevista in Israele, denunciando la “disumanità” dell’esercito israeliano (“non troverete nessun altro stato il cui esercito si muove con tale disumanità”) e difendendo Hamas, che “non è un gruppo terroristico, ma un movimento patriottico  di liberatori che proteggono la loro terra”. Mentre Erdogan parlava davanti ai suoi parlamentari, alcuni deputati urlavano “abbasso Israele” e “Allah Akhbar”.  Per chi si aspettava un ruolo equilibrato di Erdogan in questa crisi, visto il suo riavvicinamento a Israele e il tono più cauto usato dal presidente turco nei confronti dei leader di Hamas che vivono in Turchia e lì hanno festeggiato il massacro nel sud di Israele, le illusioni sono finite.

 

Erano anche attese un po’ troppo speranzose visto che già negli scorsi giorni Erdogan aveva definito “genocidio” quel che Israele fa a Gaza, ma certo il discorso di ieri ha levato ogni dubbio. Il presidente turco ha detto che Israele non si sta difendendo ma commette crimini contro l’umanità a Gaza e ha accusato “le potenze occidentali”  – di cui è alleato, essendo un membro della Nato – “che versano lacrime per Israele e non fanno nient’altro” e che “sono incapaci di fermare Israele”. Ha criticato gli americani al Consiglio di sicurezza dell’Onu  ma anche l’Onu stessa, che è inefficace, “è incapace di garantire un cessate il fuoco il più rapidamente possibile e di prendere le misure necessarie per evitare delle perdite civili”. Infine sposando la retorica del “doppio standard” cara alla Russia, a molti altri paesi della regione e a tanti commentatori, il presidente turco ha detto che il fatto che “coloro che hanno mobilitato il mondo a favore dell’Ucraina non si siano pronunciati sui massacri a Gaza è il segno più evidente della loro ipocrisia”. Erdogan ha comunque rivendicato il suo ruolo di mediatore: si è offerto come “garante” di una conferenza tra israeliani e palestinesi con l’obiettivo della fondazione di “una Palestina indipendente”.  

 

Da giorni le piazze turche sono piene di manifestanti pro Palestina che accusano Israele, e alcuni alleati del presidente turco hanno detto che è arrivato il momento di negare l’accesso alle basi della Nato in Turchia agli Stati Uniti che vogliono dare il loro sostegno a Israele. Erdogan è oggi molto diverso da come era sembrato negli scorsi mesi, dopo la sua rielezione, quando aveva mostrato un pragmatismo interno (soprattutto dal punto di vista economico) e una maggiore collaborazione con gli alleati della Nato: si sa che il presidente turco intende le relazioni internazionali come un enorme baratto, lo ha mostrato con il lungo negoziato sull’adesione della Svezia all’Alleanza che parrebbe ora sulla via di una soluzione con un voto parlamentare ad Ankara (non imminente in ogni caso: si deve passare per le commissioni parlamentari e poi si arriverà al voto in aula). Sembrava che stesse riprendendo forma una fragile ma pur sempre esistente alleanza fra la Turchia e l’occidente, con un approccio scambista certamente, ma con un atteggiamento più conciliante: le immagini del vertice della Nato a Vilnius a luglio, con un Erdogan sorridente in mezzo agli altri leader, appaiono ora come un’eccezione quasi fasulla. Ad alimentare questa percezione c’è l’ambizione di Erdogan a porsi come ponte tra le potenze contrapposte e a conquistarsi un vantaggio anche rispetto agli altri paesi come l’Egitto e il Qatar che  si mostrano più attivi se non per aiutare i civili palestinesi a Gaza – quelle sono soltanto parole – almeno nella gestione della liberazione degli ostaggi.

 

Negli scorsi giorni, il ministro degli Esteri turco, Hakan Fidan, aveva detto di essere in contatto con tutte le parti per lavorare alla liberazione degli ostaggi (è stato anche in Libano), sottolineando di avere più possibilità di riuscita rispetto all’Egitto per via del proprio rapporto con Hamas. Erdogan ha parlato sabato scorso con il leader di Hamas Haniyeh, rassicurandolo sulla determinazione a chiedere un cessate il fuoco e a mandare aiuti umanitari a Gaza. Nel discorso di ieri, il presidente turco ha dato la sua risposta agli Stati Uniti che ancora credevano in un suo ruolo mediano, ha disconosciuto il dialogo e la stretta di mano (di un mese fa) con il premier israeliano dicendo di non avere “alcun debito” con Israele, soltanto l’occidente ne ha, e non ha citato gli ostaggi. 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi