le alleanze

Mosca è rimasta senza sedie nelle trattative tra Armenia e Azerbaigian

Micol Flammini

A Granada non c'è stato nessun incontro tra il leader armeno e quello azero, ma Pashinyan ha visto Zelensky e i due hanno parlato di scambi e sostegno reciproco. È un mondo che si ridisegna, mentre Putin a Valdai racconta la sua versione su Prigozhin e spiega perché non sta viaggiando molto 

La soluzione del conflitto nel Nagorno Karabakh non si troverà a Granada, dove si sono riuniti i leader della Comunità politica europea. Il presidente dell’Azerbaigian, Ilham Aliyev, non è andato a incontrare il premier armeno Nikol Pashinyan, non si siederà al tavolo dei negoziati con lui perché tra i mediatori vorrebbe anche la Turchia, e neppure il presidente turco Recep Tayyip Erdogan è andato  a Granada. L’attesa resta, gli armeni del Nagorno Karabakh continuano a fuggire, ad affollarsi nei centri di accoglienza dell’Armenia, in molti non rivedranno più le loro case e sanno che questo non dipenderà dagli accordi che verranno firmati tra Aliyev e Pashinyan. A negoziare tra Erevan e Baku ci sono i paesi dell’Unione europea e le istituzioni di Bruxelles. Nel 2020, le potenze che negoziarono tra i due paesi per mettere fine agli attacchi nel Nagorno Karabakh erano ben diverse: c’erano l’Armenia, l’Azerbaigian, la Turchia e la Russia. Quello del 2020 fu il primo grande attacco voluto da Aliyev contro lo stato separatista, per mettere le sue mani sul Karabakh, la sua firma sulla guerra e per dimostrare che il suo paese non era più quello degli anni Novanta e poteva vincere.  Baku era tornata in guerra con armi nuove e alleati militarmente validi, come Ankara, Erevan aveva poco con cui difendersi. Tre anni fa venne negoziato un accordo che andava bene a tutti, ad azeri, turchi e russi, tranne che all’Armenia, che però si ritrovò a dover accettare sostenuta dalla Russia e dalle promesse di sicurezza e di mantenimento della pace. Già allora la Russia aveva fatto poco per aiutare Pashinyan, era rimasta però presente tra le due nazioni come forza di mantenimento della pace. La pace è stata rotta e la Russia al nuovo tavolo di negoziazioni non c’è più. 

 

A Granada Pashinyan c’era, si è incontrato con le istituzioni europee, inclusa la presidente della Commissione Ursula von der Leyen, e ha incontrato anche il presidente ucraino Volodymyr Zelensky. L’immagine dei due  che parlano dei progetti condivisi è già la storia delle nuove alleanze che si stanno riscrivendo a partire dalla guerra russa contro l’Ucraina. L’Armenia è sempre stata abile a mantenere un suo equilibrio tra Russia, Stati Uniti e Unione europea, contava però sulla prima per la sua sicurezza. Adesso è pronta a rompere con Mosca, che non ha mantenuto la sua promessa e che probabilmente era anche a conoscenza delle intenzioni di Baku di attaccare il Nagorno Karabakh. Il Cremlino doveva porsi come elemento di stabilità, visti i rapporti tanto con Baku quanto con Erevan, invece ha scelto di fare tutt’altro, di invadere l’Ucraina, dimostrando di non essere interessato a quel che accade nel Caucaso meridionale.  Ora che è scomparso dal tavolo dei negoziati, Vladimir Putin è però comparso nella lista dei criminali ricercati anche dall’Armenia, che ha aderito allo statuto di Roma e che quindi dalla scorsa settimana fa parte di quei paesi in cui il presidente russo può essere arrestato visto il mandato per crimini di guerra spiccato dalla Corte penale internazionale. Il mondo di Putin si restringe e ieri a Valdai, durante il suo intervento durato tre ore, ha scherzato sul perché compia così pochi viaggi all’estero: ha detto che non si sente privato di nessun diritto, piuttosto è occupato e non sempre è opportuno che vada a eventi politici in giro per il mondo. Poi il presidente russo ne ha approfittato per rivendicare l’arrivo di missili russi sempre più potenti e mortali, per rilanciare la minaccia nucleare e per promettere ai russi che l’esercito in Ucraina sta già vincendo, nonostante l’avversario sia energico e determinato. Nel mettere ordine sugli ultimi mesi di caos russo,  ha raccontato che a uccidere Evgeni Prigozhin è stata una granata a bordo dell’aereo e che il capo della Wagner probabilmente era drogato o ubriaco e potrebbe aver lanciato lui stesso  la bomba a mano.     

 

Putin vittorie non ne ha ottenute, mentre anche in Crimea ci sono grandi stravolgimenti, come il ritiro di parte della flotta del Mar Nero per paura degli attacchi ucraini, e non cita invece il fatto che nella parte di mondo dove avrebbe dovuto vigilare non l’ha fatto. Adesso  i suoi vecchi alleati non soltanto lo vedono come pericoloso, ma anche come inaffidabile. Pashinyan a Granada ha fatto capire che in un accordo con gli azeri ci crede davvero, che mancano le firme. Ma manca molto di più, come i compromessi. L’Armenia spera nell’Ue, che sta pensando se sanzionare l’Azerbaigian, che invece sa già con chi vorrebbe sostituire la Russia nel Caucaso meridionale, con il suo alleato: la Turchia. 


 

  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.