Foto Ap, via LaPresse

senso di colpa identitario

Israele è la realtà che vuole sopravvivere alla negazione nichilista

Giuliano Ferrara

Come Israele ha rovesciato il nichilismo del martirio in nome di Dio nel gusto glorioso della vita

Antisemitismo a parte, e qui siamo nell’orrore transmillenario, al di là e al di sotto della storia, ciò che divide Israele e la coscienza pubblica di parte dell’occidente è il nichilismo ideologico, la negazione dell’identità. “Ciò che chiamiamo ‘nichilismo’ è la coscienza dell’uomo europeo in rivolta contro la propria storia e in particolare contro la tradizione ebraica, greca e romana, fuse e innalzate dal Cristianesimo in una sintesi che ha realizzato la più grande forma civile della storia umana. La principale forza su cui fa leva l’offensiva islamica contro la Cristianità è proprio il nichilismo europeo, considerato come la rivolta della coscienza europea contro la propria identità e la propria storia”. Sono parole di Gianni Baget Bozzo, prete teologo e antropologo geniale, poco prima della sua morte. Il problema è che Israele non è in questo senso preciso un paese nichilista. Sbaglia, riconosce i propri errori molto spesso, è sempre in conflitto con sé stesso, ma non è portatore del senso di colpa occidentale tipico. Le folle che agitano la bandiera della Palestina nei giorni successivi al pogrom del 7 ottobre dovrebbero sapere che il sionismo è un’affermazione nazionale unica ma anche analoga alle altre, a quelle che hanno prodotto, pagando sempre prezzi durissimi e facendoli pagare, la mappa storico-geografica del mondo com’è. Non c’è fondazione di stati o principati senza la forza. Non esiste al mondo nazione che non si elevi su una base fatta di esclusi e di vittime. Il sionismo in questa accezione equivale al Mayflower, ai Tudor, al battesimo del re franco Clodoveo, al consolidamento ortodosso della Rus da tribù a stato slavo, e ai movimenti sanguinosi e armati che attraverso guerre hanno portato alle altre forme di unità nazionale entro confini certi e riconosciuti. L’occupazione della Cisgiordania e la questione dei due stati sono accidenti, decisivi e da risolvere, ma non sono la sostanza.

I colpi che Israele subisce provengono da una volontà di eliminare la presenza degli ebrei, e del loro stato nazionale, dal fiume Giordano al mare. Sono l’anticipazione reiterata di una logica di annientamento etnico.

Gli scavatori di tunnel a Gaza, i predoni che detengono gli ostaggi, l’accozzaglia barbarica che ha perpetrato il pogrom dell’orrore, le formazioni islamiste che hanno il potere di annidarsi e rispondere al fuoco di Tsahal nei vicoli di una Gaza da loro resa teatro miserabile della disperazione, che tirano missili a casaccio sulla traiettoria dei loro stessi ospedali, che sparano per strada a Bruxelles o decapitano o sgozzano gli insegnanti sgraditi alle scolaresche coraniche sono l’effetto di una ideologia transgenerazionale, che si rigenera ogni volta, e che si nutre di un’altra forma di nichilismo fanatico, quella del martirio in nome di Dio.

L’Olp era nazionalismo contro nazionalismo. Questa guerra è ormai, dopo l’avvento dei mullah a Teheran, dopo l’Isis, dopo l’islamizzazione radicale dei popoli confinanti con Israele, un’alleanza di diversi ma analoghi nichilismi, martirio come negazione di sé e sacrificio religioso assolutista contro senso di colpa e negazione di sé come sacrificio storico e culturale, contro la durezza della realtà. Israele a questo gioco duplice non ci sta. E’ la realtà che vuole sopravvivere alla negazione nichilista. Ha subìto, il popolo fondatore dello stato, millenni di persecuzioni fanatiche, di esclusione punitiva, di discriminazione e odio razziale, fino ad Auschwitz, dunque si presenta come una ricomposizione identitaria piena e forte, come una lingua nazionale fondata sulla tradizione biblica, sulla Torah, si presenta come rovesciamento del nichilismo nel gusto glorioso della vita, come resurrezione profetica e festa. Questo è intollerabile, alla stessa stregua, ai nichilisti islamici e ai nichilisti euroccidentali che li fiancheggiano in nome di un’analoga avversione a chi non coltiva il senso di colpa identitario.

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.