La guerra dei seicento giorni

Gli alleati cercano nuove risorse per Kyiv che combatte le false scelte poste da Putin

Paola Peduzzi

La creatività che ci vuole per sopravvivere a 600 giorni di attacchi. L'unità e il coraggio dell'Ucraina, come a febbraio del 2022, sono il motore per tutti

Le bare, i fiori, i resoconti da Avdiivka, nel Donetsk, mezza rasa al suolo ma non conquistata dai russi, le bombe russe ovunque, l’invito a Kyiv come osservatore dentro alla Joint Expeditionary Force a guida britannica, gli studi dei paesi del G7, soprattutto del Regno Unito, per utilizzare gli asset russi congelati e aiutare l’Ucraina, i colpi contro la flotta russa nel Mar Nero. Lunedì saranno seicento giorni dall’invasione su larga scala della Russia contro l’Ucraina, ci si prepara a un altro inverno che Volodymyr Zelensky definisce ancora più duro dell’ultimo perché i russi replicheranno gli attacchi ai civili e alle infrastrutture ma “con un’estensione maggiore” ed è per questo che la difesa aerea è ancora più urgente e indispensabile. Gli ucraini fanno i funerali, combattono, ricostruiscono – all’Opera di Kharkiv si canta e si balla soprattutto per i soldati, modificando l’offerta per tirare su il loro morale, mentre i russi colpiscono perché i Patriot qui non ci sono, “ma bisogna essere molto creativi per sopravvivere”, ha detto il direttore del teatro al Guardian.

 

Da quando Hamas ha massacrato milleduecento persone nel sud di Israele, il governo di Kyiv non ha fatto altro che mostrare la propria solidarietà e vicinanza al popolo israeliano, combattendo, oltre a tutto il resto, contro l’idea che la guerra in medio oriente possa essere una distrazione per l’occidente tale da determinare un allentamento del sostegno all’Ucraina. Questa è l’ultima scommessa di Vladimir Putin, che si mostra in particolare ad Avdiivka, dove da almeno quattro giorni le forze russe hanno deciso di provare ad avanzare “sparando tutto quello che hanno”, ha detto il capo dell’amministrazione della città, Vitaly Barabash, in modo da accerchiare i soldati ucraini. I russi hanno sempre considerato Avdiivka poco rilevante dal punto di vista strategico, ma ora la sua conquista è considerata il simbolo della capacità offensiva dei russi e soprattutto delle difficoltà da parte degli ucraini, “lasciati soli”, come dice la propaganda russa. Fonti ucraine dicono che, come Bakhmut, straziata per mesi, Avdiivka “è forse l’unico obiettivo che possono permettersi” le forze di Mosca, mentre i racconti dal fronte indicano che in questo attacco “all in” i russi stanno perdendo veicoli e ammonticchiando morti, che lasciano lì sprezzanti come sempre.    
Vladimir Putin è convinto di poter vincere la guerra di nervi: nella sua prima visita  all’estero, in Kirghizistan, da quando la Corte penale internazionale ha spiccato il mandato di cattura, il presidente russo ha promesso grano e cereali a sei paesi africani, ha detto che il conflitto in medio oriente è l’ennesima dimostrazione del fallimento della leadership americana e si è poi avventurato in un’analisi militare delle difficoltà delle invasioni via terra, dicendo che le perdite di civili sono “inaccettabili”.

 

Questo “inaccettabile” è risuonato tra gli ucraini come l’ennesima oscenità,  mentre la propaganda russa non fa mistero del proprio appoggio a Hamas, saldando nella sua retorica feroce l’asse militare con l’Iran, sostenitore sia di Mosca sia del gruppo terroristico palestinese.  La Russia vuole una guerra larga, dice che non combatte contro gli ucraini  ma contro la Nato, ostenta la forza dei suoi alleati per denunciare la debolezza delle alleanze occidentali e dire: gli americani non sono affidabili. In questi seicento giorni di guerra, Putin considera sue terre che non controlla nemmeno del tutto, deve spostare la sua gloriosa flotta perché è sotto il costante tiro delle forze ucraine, sacrifica i suoi uomini per una vittoria simbolica ancorché sanguinosissima, cerca il logoramento e ora propone come arma anche la falsa scelta dell’occidente tra difendere l’Ucraina e difendere Israele. Kyiv ha l’unità e il coraggio di seicento giorni passati a difendersi, e come a febbraio del 2022 è il motore per tutti, anche per gli alleati. 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi