Bashar el Assad e Khalifa Haftar (foto LaPresse e Ansa)

il rapporto dell'Onu

Assad e Haftar, identikit di due trafficanti di esseri umani

Luca Gambardella

Dalle "brochure" delle agenzie di viaggio in Siria, di cui ha parlato Meloni, al ponte aereo che va da Damasco a Bengasi per portare i migranti in Europa. Un viaggio drammatico, sponsorizzato dagli stessi "interlocutori" a cui l'Italia e l'Ue chiedono di fermarsi. Senza successo

"Volo diretto Damasco-Bengasi. Realizziamo il tuo sogno”, recita un post su una delle tante pagine Facebook della comunità siriana in Libia. E ancora: “I nostri voli continuano: la rotta Damasco-Bengasi a prezzi ragionevoli, pratiche di ingresso in Libia incluse. Contattaci”. Talvolta sono i siriani a chiedere direttamente informazioni a chi è riuscito a raggiungere la Libia: “Vorremmo venire lì e ricominciare da capo. Qui moriamo di fame. Ci sono possibilità?”, chiede Young Syrian su una pagina. “Te la sconsiglio. A meno che, appena arrivi, non continui subito il viaggio in Europa”, gli risponde Eman. L’iter è semplice. Basta cercare su una qualsiasi pagina Facebook delle principali agenzie di viaggio con sede a Damasco e a Beirut, in Libano, per trovare voli in promozione, pratiche burocratiche incluse. 

   

   

Nel suo discorso rivolto all’Assemblea generale dell’Onu il mese scorso, la premier Giorgia Meloni aveva fatto riferimento a questo giro di affari che alimenta il traffico di esseri umani verso l’Europa. Reti criminali che “illudono che affidandosi a loro chi vuole migrare troverà una vita migliore, si fanno pagare migliaia di dollari per viaggi verso l’Europa che vendono con le brochure come fossero normali agenzie di viaggio. Ma su quelle brochure non scrivono che quei viaggi troppo spesso conducono alla morte, a una tomba sul fondo del mar Mediterraneo”, aveva detto Meloni.

 

 

L’ultimo report pubblicato la settimana scorsa dal gruppo di esperti delle Nazioni Unite in Libia documenta come dal 2020 la compagnia aerea siriana Cham Wings sia operativa lungo la rotta che va dall’aeroporto di Damasco a quello di Benina, a Bengasi. Mediamente effettua due voli settimanali e i posti sui suoi Airbus 320 vanno a ruba. Sul loro sito, i voli di venerdì e sabato 6 e 7 ottobre risultano tutti pieni. Il costo del biglietto aereo può variare fra i 1.200 e i 2.000 dollari. Per i siriani che partono da Beirut o da Amman, in Giordania, le agenzie di viaggio offrono pacchetti ad hoc molto più costosi, ma che permettono di procurare anche i passaporti falsi necessari a sconfinare in Libano. In tal caso, il costo si aggira attorno ai 7 mila dollari. Poi, una volta atterrati a Bengasi e passata la dogana, occorre decidere che fare: se imbarcarsi da ovest, con barchini più piccoli ma a costi contenuti – circa 3 mila dollari, secondo le testimonianze dei migranti – oppure da est, su grandi pescherecci ma con prezzi più alti, fino a 4.500 dollari. Un business che ammonta in totale a diverse centinaia di milioni di euro. 

 

 

E’ così che una parte dei 45 mila migranti salpati dalla Libia quest’anno ha tentato di raggiungere l’Europa. Fra loro, c’erano anche le 750 persone annegate lo scorso 14 giugno al largo di Pylos, in Grecia. Il loro peschereccio, partito da Tobruk, nell’est della Libia, imbarcava soprattutto siriani, egiziani, pakistani, palestinesi. Sono queste le principali nazionalità che si avvalgono della rotta aerea da Damasco o da Beirut per completare la prima parte del loro viaggio, la più semplice prima della traversata del Mediterraneo.

 

 

I sospetti sul ruolo della compagnia aerea siriana Cham Wings nel creare ponti aerei per i migranti fra la Siria e la Libia circolavano da tempo. Oltre alla semplicità con cui è possibile trovare in rete informazioni sui viaggi, sono circolate nei mesi scorsi indiscrezioni su un report confidenziale di Frontex che ne faceva esplicito riferimento. Anche Malta ha denunciato il ruolo della compagnia nel traffico di esseri umani. Nel marzo scorso, il ministro dell’Interno della Valletta, Byron Camilleri, ha chiesto alla Commissione europea di attivarsi nei confronti di Cham Wings, accusata di trasportare soprattutto cittadini bengalesi e pachistani. Le rotte del traffico di persone da parte della compagnia aerea siriana si spingono infatti da Dhaka, in Bangladesh, fino al Golfo Persico, dove i migranti provenienti dall’Asia concludono la loro prima tappa verso l’Europa. Da Dubai, negli Emirati Arabi Uniti, i migranti passano poi per Damasco o Beirut, o anche per Alessandria, in Egitto, dove – secondo le testimonianze raccolte dagli investigatori dell’Onu – arrivano a Bengasi anche a bordo di aerei di Air Libya. 

 

 

Cham Wings non è nuova nel settore dei traffici illeciti. Già nel 2016, il dipartimento del Tesoro americano l’aveva inserita nella lista delle entità sanzionate perché accusata di trasportare  a combattere in Siria sia pasdaran iraniani sia mercenari russi. Nel 2020 ha fatto da vettore per i combattenti siriani trasportati nell’est della Libia e schierati al fianco del generale della Cirenaica Khalifa Haftar e dei suoi alleati russi della Wagner. L’anno successivo, la compagnia aveva invece fatto da ponte aereo fino alla Bielorussia per trasportare migranti a Minsk. Era stato allora che l’Ue aveva deciso di sanzionarla. Dietro Cham Wings c’è uno fra i più influenti imprenditori siriani, Issam Shammout. La sua famiglia è in affari con il regime siriano dagli anni Ottanta ed è considerata molto vicina al presidente Bashar el Assad. Nella sua società di trasporti, Shammout Trading Group, investe anche il cugino di Bashar, Rami Makhlouf, considerato il vero proprietario di Cham Wings. Inspiegabilmente, a luglio 2022 l’Ue ha rimosso la compagnia aerea dalla sua lista nera e, lo scorso marzo, l’europarlamentare maltese Cyrus Engerer ha chiesto per iscritto alla Commissione le motivazioni del delisting. Nella replica del Berlaymont si affermava che “non esistevano prove del coinvolgimento della compagnia aerea Cham Wings in attività illecite”. Eppure – paradosso – proprio a partire dal 21 luglio del 2022 il titolare della compagnia, Issam Shammout, risulta invece inserito nella lista delle persone sanzionate dall’Ue per la sua vicinanza al regime di Assad.

 

Sul fronte libico, una recente indagine giornalistica del portale panarabo New Arab ha confermato il ruolo ricoperto dalla famiglia Haftar nel traffico di decine di migliaia di migranti. Il business non si limita ai legami profondi esistenti in Cirenaica fra i trafficanti di esseri umani e le milizie del generale, ma coinvolge anche l’iter burocratico che sta a monte. Prima ancora di partire alla volta di Bengasi, i migranti in partenza dalla Siria acquistano un pacchetto che include una cosiddetta “security clearence”. Si tratta di una certificazione richiesta dalle autorità dell’est della Libia, senza la quale non è possibile entrare nel paese. Secondo l’inchiesta di New Arab, arricchita da foto dei documenti  e intercettazioni dei trafficanti, il costo della documentazione ammonta a 500 dollari a persona, da versare  all’Autorità militare di investimento libica. Spesso, il costo è incluso al momento stesso dell’acquisto del biglietto aereo e il denaro è versato agli intermediari dei tour operator. L’Autorità militare di investimento è un ente composto esclusivamente da militari e voluto da Khalifa Haftar. E’ strutturata come una “società di servizi” all’interno della quale i soldati possono fare affari in ogni settore, senza dover pagare alcun tipo di imposta, e quasi sempre con metodi nepotistici e poco trasparenti. Si occupa di tutto, dal tappare le buche nelle strade a prestare servizi sociali. Dopo l’alluvione che ha colpito l’est del paese, uccidendo più di 11 mila persone e lasciandone altre 10 mila disperse, l’Autorità è direttamente coinvolta anche nella ricostruzione di città come Derna. A capo di questo ente c’è Saddam, uno dei tre figli di Khalifa, astro nascente della Cirenaica venuto allo scoperto prima per le sue doti militari e ora come “regista” della ricostruzione delle zone alluvionate – sebbene proprio il sistema di corruttela e malaffare delle autorità locali, foraggiate dalla famiglia Haftar, sia considerato direttamente responsabile degli effetti drammatici causati dall’alluvione. 

 

Oltre ai 500 dollari per la “security clearence”, gli investigatori delle Nazioni Unite affermano nel loro report che “gli uomini di Haftar sequestrano il passaporto ai migranti appena sbarcati all’aeroporto di Bengasi” e “lo restituiscono con il timbro valido per l’ingresso solo dietro al pagamento di una somma di denaro”. Una volta arrivati nell’est, a Tobruk, Musaid o Bardyah, i migranti sono rinchiusi in capannoni per giorni, settimane o mesi, con ogni genere di privazione sanitaria o subendo maltrattamenti. In altri casi, i più fortunati, finiscono in appartamenti messi a disposizione dei trafficanti,  in attesa della partenza per l’Europa. “Qui pagano agli uomini di Haftar altre somme di denaro, circa 100 dollari, per assicurarsi che i pescherecci con cui si imbarcheranno non siano caricati con più di 250 persone. Ma spesso questa limitazione è disattesa e i barconi caricano a bordo fino a 550 migranti per volta”, denunciano gli esperti dell’Onu. In un simile sistema di arricchimento che si alimenta con la disperazione di chi fugge, i guadagni delle milizie di Haftar raggiungono livelli ancora più elevati. Continuano gli investigatori delle Nazioni Unite: “L’unità marittima di Haftar denominata ‘20-20’ ha chiesto fino a 80 mila dollari per garantire la sicurezza dei pescherecci prima della partenza”. 

 

Di questo viaggio disperato, che parte da tour operator compiacenti in Siria e finisce nelle mani di criminali sulle sponde del Mediterraneo, New Arab ha provato a elaborare una stima del numero dei migranti coinvolti nel traffico fra Siria e Libia. Considerato che fra gennaio 2020 e giugno 2023 si sono contati ben 323 voli riconducibili a Cham Wings, si arriva a oltre 54 mila migranti trasportati, ben oltre il totale delle partenze stimate dalla Libia verso l’Italia quest’anno.

 

Tutte vittime di un asse nascosto, su cui si arricchisce il regime di Assad e il sistema di potere di Haftar. Sul primo, da quando è diventata premier, Giorgia Meloni non ha mai fatto alcuna dichiarazione. Prima di arrivare a Palazzo Chigi, però, la presidente del Consiglio aveva difeso il dittatore siriano dall’accusa di avere ucciso civili inermi con armi chimiche. “Non ci sono prove”, aveva detto. Poi le prove delle Nazioni Unite sono arrivate, ma Meloni non ha mai ritrattato la sua posizione in difesa di Assad. Su Haftar, i legami sono ancora più stretti. Lo scorso maggio il generale è stato accolto a Palazzo Chigi dalla premier e alla Farnesina dal ministro degli Esteri, Antonio Tajani. In entrambi gli incontri sono iniziati i negoziati per concludere un memorandum fra Italia e Haftar, sulla falsa riga di quello già firmato con l’altro governo libico, quello di Tripoli, per fermare il flusso dei migranti. Chissà se l’atteso e, finora, misterioso “piano Mattei” per l’Africa in corso di elaborazione dal governo italiano includerà un capitolo dedicato alla cooperazione dell’Italia con “l’uomo forte della Cirenaica”.

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  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.