La cricca di Xi corteggia il governo Meloni, che sta al gioco

Che ci fa Chen Wenqing, il capo delle spie di Pechino, da Tajani e Mantovano

Giulia Pompili

Notizia: nessun dibattito e voto parlamentare sulla Via della seta prima del Forum di Pechino del 17 ottobre. Si valuta la partecipazione dell'Italia con un sottosegretario. Ma tutta questa condiscendenza con i funzionari di Xi per evitare la rappresaglia cinese funzionerà? Secondo James Carafano della Heritage, il think tank americano più vicino a Meloni, va bene così

Una visita a sorpresa, annunciata poche ore prima dell’arrivo a Roma con uno scarno lancio della Xinhua, l’agenzia di stampa statale cinese: “Chen Wenqing parteciperà al 4° dialogo di alto livello sulla sicurezza Cina-Germania in Germania e visiterà Germania, Italia e Serbia dal 21 al 28 settembre”. Il primo stop è stato però a Roma, dove ieri uno dei fedelissimi del leader cinese Xi Jinping, l’uomo della sicurezza e dell’intelligence del Partito, ha incontrato alla Farnesina il ministro degli Esteri Antonio Tajani e poi, a Palazzo Chigi, il sottosegretario con deleghe all’intelligence Alfredo Mantovano. 

 

 

Tajani, tornato a Roma dopo la missione a New York all’Assemblea generale dell’Onu, ieri mattina ha pubblicato una fotografia su Twitter con l’alto funzionario del Partito comunista cinese, dando così risalto mediatico all’incontro. Subito dopo la Farnesina ha diffuso un comunicato: “La nostra collaborazione è ampia e diversificata, e può uscire rafforzata da nuove intese di carattere economico-commerciale”, avrebbe detto Tajani a Chen Wenqing, riferendosi alla prossima decisione del governo italiano di uscire dalla Via della seta cinese e di rilanciare, in cambio, il  Partenariato strategico del 2004. Secondo quanto risulta al Foglio però, la discussione e il voto del Parlamento e quindi la comunicazione ufficiale sull’uscita dal controverso  progetto strategico cinese non avverrà prima del Forum sulla Via della seta che si aprirà il 17 ottobre a Pechino. Da giorni si sta valutando l’ipotesi di inviare al Forum un rappresentante istituzionale, forse la sottosegretaria agli Esteri Maria Tripodi, perché l’Italia è stata invitata in quanto  ancora formalmente paese membro, ma la situazione sarebbe piuttosto complicata da gestire: l’unico leader ad aver confermato la sua presenza per il momento è Vladimir Putin. Eppure un rifiuto italiano in questa fase potrebbe indispettire Pechino, e tutte le mosse del governo con la Cina, in questi giorni, comprese le visite di funzionari controversi accolti dalle alte cariche dello stato, farebbero parte di una strategia per accontentare Pechino su tutto, fino all’ultimo. 

 
Questa condiscendenza del governo nella fase più delicata dei rapporti con Pechino non è un problema secondo uno dei pensatoi di riferimento di Giorgia Meloni, il think tank vicino ai repubblicani trumpiani Heritage Foundation, i falchi anticinesi. “Penso che l’approccio di Roma vada bene e che, di fatto, rifletta una capacità di governo matura”, dice al Foglio James Carafano, analista della Heritage che ha visitato Roma di recente  ed è l’uomo chiave per interpretare la rinnovata convinzione transatlantista di Meloni. La partecipazione italiana alla Via della seta è “tecnicamente morta”, dice Carafano, il governo Meloni ha già mandato un segnale decisivo  perché “essere un partner strategico di Pechino significa essere strategicamente vulnerabili alla Cina e questo non è nell’interesse dell’Italia”. Ma la cautela di questo periodo serve “a ridurre le prospettive di ritorsione da parte della Cina e a mostrare agli italiani che esistono alternative reali, tra cui l’Imec”, cioè il Corridoio marittimo internazionale eurasiatico, l’accordo lanciato a Delhi al G20 del 9 settembre scorso, che secondo Carafano sarebbe la causa dell’assenza di Xi al summit: “Credo che Xi sapesse o sia stato informato dell’annuncio dell’Imec e del sostegno dell’Italia prima del G20. Non è venuto per evitare l’imbarazzo di vedere un contrasto diretto con la Via della seta”. 

 

 
Ieri Tajani – che è tra i rappresentanti del governo  ad aver accolto a Roma, il 29 giugno scorso, anche Liu Jianchao, capo della diplomazia del Partito comunista cinese – ha affrontato con Chen anche i dossier della guerra in Ucraina e l’immigrazione. Molto più scarno il comunicato di Palazzo Chigi, che dà solo conto dell’incontro tra Chen e Mantovano e dei  temi affrontati, tra cui Ucraina e flussi migratori. 

 

Tajani alla Farnesina con Liu Jianchao 

  
Quando alla fine dello scorso anno Chen Wenqing ha ottenuto una poltrona tra le 24 che compongono il Politburo del Partito comunista cinese, gli osservatori del Zhongnanhai, il quartier generale del potere di Pechino, hanno detto che quella era una nomina importante. Chen, classe 1960, era stato per anni il capo delle spie di Pechino, e il suo ingresso nel cerchio magico di chi conta nel partito – quindi nella Repubblica popolare cinese – mostrava la trasformazione del paese che dava sempre più priorità alla sicurezza, e ai fedelissimi di Xi. Chen Wenqing è un nome noto perché è stato per anni ministro per la sicurezza dello stato, cioè la potente polizia segreta cinese. Lo scorso anno, con le proteste contro la politica Zero Covid, Chen fu il primo a parlare di repressione. E’ l’uomo che accompagna Xi nelle zone a rischio, come lo Xinjiang, dove è responsabile della repressione, e secondo l’intelligence americana fa parte della “cricca di sicurezza” di Xi, cioè gli uomini che proteggono il suo potere autoritario mentre alcuni ministri chiave spariscono. E’ l’uomo che ha probabilmente coordinato la creazione della rete delle cosiddette “stazioni di polizia” cinesi all’estero. Il 22 maggio scorso era a un vertice di sicurezza congiunta a Mosca con Nikolai Patrushev, il fedele capo delle spie di Putin.

  

  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.