La caccia al dissidente cinese, anche in Italia

La storia del professor Lee, vittima delle intimidazioni cinesi a Milano

Giulia Pompili

Fox Hunt è la tattica della leadership di Pechino per intimidire e rimpatriare i cittadini che si rifugiano all'estero con metodi illegali. Il suo ideologo Liu Jianchao arriva in Italia. Una testimonianza

“Mi hanno telefonato dicendo che dovevano fare una consegna con Glovo, e volevano che gli dicessi il mio indirizzo preciso”, racconta al Foglio il professore Lee,  conosciuto su Twitter come @whyyoutouzhele. Lee, cittadino cinese residente a Milano, è una vittima sul territorio italiano della tattica della Repubblica popolare per intimidire i dissidenti  all’estero e costringerli a smettere di criticare la Cina, o addirittura per costringerli a tornare nel paese – con conseguenze facilmente immaginabili. E mentre in America sono sempre di più i processi contro  cinesi accusati di stalking e violenze, uno degli uomini chiave di questa  tattica per silenziare i dissidenti all’estero è in tour in Europa, e domenica sarà in Italia. 

Nei mesi delle proteste in Cina contro le politiche repressive della Zero Covid, il professore Lee è diventato l’unico a diffondere via social informazioni su quello che stava succedendo dentro ai confini cinesi. E continua ancora oggi: ogni giorno racconta le proteste contro il Partito comunista cinese e la conseguente repressione del dissenso a più di un milione di follower su Twitter. Per questo lo cercano, anche in Italia. “Mi sono accorto che qualcosa non andava perché io non uso mai Glovo. Quelli che mi cercavano in una mia vecchia residenza erano in realtà poliziotti cinesi d’oltremare. E da allora sono successe anche altre cose”. Il professore parla di insulti e molestie sui gruppi di WeChat, di mobilitazioni della comunità cinese in Italia per cercare informazioni su di lui e per screditarlo – il Foglio non metterà i dettagli di quanto riferito dal professore, né il suo nome completo, per proteggere quanto più possibile il suo lavoro. “E hanno bloccato il mio conto corrente cinese”, dice Lee, che ormai vive delle donazioni che gli arrivano tramite PayPal: “Devo gestire centinaia di messaggi ed email ogni giorno, provenienti da tutta la Cina”.

Lee oggi non ha paura, spiega al Foglio, si è rassegnato all’idea che vadano a prenderlo a casa, prima o poi. La sua testimonianza è importante perché non è facile trovare in Italia qualcuno disposto a parlare delle molestie e delle intimidazioni subite da parte della comunità cinese e di chi agisce per conto del governo della Repubblica popolare cinese: c’è omertà e paura, e non si è mai creata, come invece ovunque in Europa, una vera rete di dissidenti che si senta al sicuro. Il sistema di controllo di Pechino invece è consolidato, e fa parte di una più ampia strategia che serve a far tornare in Cina i cosiddetti “fuggitivi” invisi al Partito, con metodi che vanno dall’intimidazione (anche dei famigliari rimasti in Cina) al ricatto, dalla creazione di fake news fino al rimpatrio illegale forzato. Di questa strategia, chiamata “Fox Hunt”, fanno parte anche le cosiddette “stazioni di polizia virtuali cinesi” sul nostro territorio, sulle quali il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi aveva cominciato un’indagine, di cui poi non si è saputo più nulla.  

 

 
L’altro ieri un tribunale federale di Brooklyn, nella città di New York, ha condannato tre persone per stalking e cospirazione. Uno di loro, un cittadino americano, è un ex poliziotto diventato investigatore privato, reclutato dagli altri due cittadini cinesi per seguire e intimidire la famiglia di un ex funzionario del governo cinese rifugiato a New York.  

Come rivelato sabato scorso dal Foglio, domenica prossima atterrerà a Roma Liu Jianchao, da poco più di un anno a capo dell’International Liaison Department, il dipartimento per le relazioni internazionali del Partito comunista cinese. Secondo quanto risulta al Foglio, Liu incontrerà alcuni parlamentari dell’Associazione di amicizia parlamentare Italia-Cina e l’ambasciata della Repubblica popolare cinese in Italia sta cercando di organizzare un incontro anche con dei funzionari della Farnesina, in particolare la sottosegretaria forzista Maria Tripodi, che ad aprile ha fatto una missione in Cina. Fino all’altro ieri Liu è stato nel Regno Unito, dove la sua visita è stata accompagnata dalle proteste.

Un gruppo bipartisan di parlamentari britannici ha chiesto al governo Sunak di non dargli il permesso di atterrare a Londra. Secondo un report della ong Safeguard Defenders, in qualità di capo dell’Ufficio internazionale per il recupero dei latitanti dall’agosto 2015 all’aprile 2017, “Liu Jianchao ha avuto la responsabilità ultima del comando e della supervisione di migliaia di operazioni internazionali di recupero dei latitanti e dei metodi irregolari impiegati. Il documento spiega come Liu sia il responsabile di diverse azioni compiute in chiara violazione delle regole internazionali e dei diritti umani di cittadini cinesi, anche in Europa. La missione di Liu in Italia ha come obiettivo quello di ricucire un rapporto con governo e istituzioni in vista di una possibile uscita del governo Meloni dalla Via della seta cinese. Intanto ci sono persone, come il professor Lee, che dovrebbero sentirsi al sicuro in Italia. E forse non lo sono.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.