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In Francia

La scuola francese riapre tra i tutorial per aggirare il divieto dell'abaya 

Mauro Zanon

Probire la tunica indossata dalle ragazze musulmane è un messaggio forte lanciato dal governo per difendere la laicità della scuola repubblicana. Ma appaiono subito i metodi per evitare la nuova legge

Ieri è stato il primo giorno di scuola per 12 milioni di studenti francesi, ma non è stata una rentrée come le altre per alcuni di loro. Da quest’anno, infatti, è scattato il divieto di indossare l’abaya, la tunica indossata da sempre più ragazze musulmane in Francia, che nasconde il corpo dalle spalle ai piedi e che spesso è accompagnata dall’hijab, il velo che lascia scoperto soltanto l’ovale del viso. Il divieto, annunciato alcuni giorni fa in diretta televisiva dal neoministro dell’Istruzione, Gabriel Attal, è un messaggio forte lanciato dal governo per difendere la scuola repubblicana, un tempio laico dove nessun simbolo religioso deve essere ostentato. “La scuola della Repubblica è stata costruita attorno a valori forti, in particolare alla laicità.

La laicità è una libertà, non un vincolo”, aveva dichiarato il ministro Attal. Valore sacro per i francesi scolpito nel marmo della legge del 1905 sulla separazione tra stato e chiesa, laicità “significa libertà di emanciparsi attraverso la scuola”, aveva aggiunto Attal, descrivendo l’uso dell’abaya come “un gesto religioso, volto a testare la resistenza della Repubblica verso il santuario laico che la scuola deve costituire”. L’annuncio del ministro aveva scatenato reazioni molto aspre da parte di alcune associazioni islamiche che, fiancheggiate dalla sinistra radicale di Jean-Luc Mélenchon, avevano accusato l’esecutivo di “islamofobia” e di voler “dividere la società”.

Ma nonostante i timori attorno a possibili tensioni all’ingresso di certi istituti di periferia, dove la pressione dell’islam politico è più intensa, non sono stati registrati incidenti di rilievo. “E’ andato tutto bene. Continueremo a essere vigilanti tutta la giornata affinché gli studenti capiscano il senso di questa regola”, ha dichiarato il primo ministro francese, Élisabeth Borne, in occasione di una visita a una scuola elementare di Saint-Germain-sur-Ille (Bretagna) in compagnia del ministro Attal. Alcune ragazze di confessione musulmana, nonostante l’interdizione, si sono comunque presentate in abaya. “Alcune hanno accettato di toglierlo. Con le altre ci saranno dei colloqui, delle iniziative pedagogiche per spiegare loro che c’è una legge che proscrive l’utilizzo di qualsiasi segno o abito attraverso i quali gli allievi manifestano l’appartenenza a una religione, qualunque essa sia”, ha precisato la premier Borne. 

La pedagogia come bussola, dunque, per non inasprire gli animi su una questione, il rapporto tra islam e laicità, da sempre particolarmente infiammabile. Nei giorni scorsi, sui social network, e in particolare su TikTok, alcune influencer avevano suggerito alle studentesse musulmane una serie di accorgimenti per aggirare il divieto. Una studentessa proprietaria dell’account “Jadiorelavie” ha pubblicato dei video-tutorial mentre prova abiti larghi e tuniche occidentali che possono rimpiazzare l’abaya, perché coprono integralmente il corpo. Un altro account, “Muslimabook”, consiglia di indossare pullover oversize e gonne lunghe a balze, mentre “Unjourunhadit”, gestito da un uomo, spinge le giovani musulmane a comprare vestiti ampi con maniche lunghe da H&M e Zara, consigliando di tenere lo scontrino, così da dimostrare a professori e dirigenti scolastici che si tratta di abiti e non di abaya. E c’è anche chi suggerisce il kimono.

E’ evidente che siamo soltanto all’inizio di un confronto che potrebbe degenerare in scontro in alcune porzioni di territorio, dove l’islam separatista ha messo le radici e conduce offensive quotidiane per testare la resistenza della République. Il governo, per garantire il più possibile il rispetto della nuova norma, ha mobilitato anche le brigate “Valeurs de la République”, 2 mila persone negli istituti più sensibili. C’è chi grida all’“islamofobia di stato”, accusando la Francia di aver sguinzagliato una “polizia del costume”. Per l’ex ministra di origini algerine Jeannette Bougrab, “l’abaya è un indumento importato dall’Arabia Saudita per trasformare le donne in fantasmi”.

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