Il sostegno “incrollabile”

L'Ue va in cerca di soldi per l'Ucraina, tra resistenze e minacce

David Carretta

Con le casse vuote, Bruxelles vuole stanziare 70 miliardi in quattro anni per armi e altre spese. L’incognita Orbán

La controffensiva estiva lanciata dall’Ucraina contro la Russia ha allentato la pressione sull’Unione europea sull’urgenza di fornire nuove armi e finanziamenti a Kyiv. Ma in autunno i diplomatici dei Ventisette stati membri saranno nuovamente di fronte a una questione che li perseguita dall’inizio della guerra: con le casse dell’Ue vuote, dove trovare i soldi per finanziare il sostegno “incrollabile” all’Ucraina, ancor più in caso di conflitto prolungato? La Commissione di Ursula von der Leyen e il Servizio di azione esterna di Josep Borrell hanno proposto due soluzioni per coprire le spese fino al 2027: 50 miliardi tra sussidi e prestiti per il bilancio di Kyiv e 20 miliardi per un Fondo di assistenza (militare) per l’Ucraina. Ma le altre richieste della Commissione per rimpinguare il bilancio dell’Ue e la regola dell’unanimità complicano i negoziati.

 

Per il 2023 non dovrebbero esserci problemi per finanziare il sostegno all’Ucraina. A inizio anno l’Ue ha approvato prestiti per 18 miliardi di euro per sostenere il bilancio di Kyiv per il 2023 e gli esborsi mensili procedono regolarmente. A giugno gli stati membri hanno iniettato altri 4 miliardi nella European Peace Facility, lo strumento per finanziare le forniture di armi all’Ucraina, portando il tetto complessivo a 12 miliardi. Ma dal 2024 le casse saranno di nuovo vuote. Un conflitto lungo significa dover trovare più soldi per il governo e le armi di Kyiv. E, anche se la guerra dovesse finire, l’Ue ha promesso di finanziare una parte consistente della ricostruzione e di partecipare alle garanzie di sicurezza di lungo periodo per l’Ucraina. Tra i 27 stati membri tutti, o quasi, si dicono d’accordo sull’obiettivo di sostenere finanziariamente e militarmente l’Ucraina e sulla necessità di trovare una soluzione stabile nel medio periodo, senza dover ricorrere di mese in mese a soluzioni tampone nell’emergenza. L’eccezione è l’Ungheria di Viktor Orbán. Ieri ha messo il veto sull’ottava tranche della Peace Facility da 500 milioni per l’Ucraina perché una banca ungherese è stata sanzionata da Kyiv per sue attività in Russia. Ma gli altri partner sono convinti che anche Budapest si allineerà in cambio di qualche concessione. 

 

In teoria, la proposta più semplice da adottare è quella di Borrell di creare un nuovo “Fondo di assistenza all’Ucraina per il periodo 2024-27 per assicurare la sostenibilità della nostra assistenza militare”. Il Fondo dovrebbe essere integrato alla European Peace Facility, con una dotazione di 5 miliardi di euro l’anno, per i prossimi quattro anni. Le risorse andrebbero alle forniture di armi e all’addestramento dei soldati ucraini. Ma la European Peace Facility è al di fuori del bilancio dell’Ue. Sono i governi nazionali a finanziarla direttamente in percentuale al loro pil. Alcuni paesi ritengono le richieste di Borrell troppo esose. I 5 miliardi l’anno “dovrebbero essere il tetto, non un obiettivo di spesa. Se riusciamo a spendere meno, meglio”, ha risposto l’Alto rappresentante mercoledì dopo una discussione con i ministri della Difesa. Borrell spera “che un accordo possa essere raggiunto il più presto possibile. Spero entro la fine dell’anno”.

 

Il negoziato sui 50 miliardi di sovvenzioni e prestiti proposto dalla Commissione sarà più complicato. Von der Leyen ha inserito i nuovi aiuti finanziari per l’Ucraina in un pacchetto più ampio: la revisione del quadro finanziario pluriennale (il bilancio 2021-27 dell’Ue). Di fatto gli aiuti per Kyiv sono legati alle altre richieste di risorse aggiuntive, che ammontano a un totale di 66 miliardi. Di questi solo 17 miliardi dovrebbero andare all’Ucraina (gli altri 33 miliardi sono prestiti). La Commissione vuole 19 miliardi in più per l’aumento inatteso del servizio del debito di Next Generation Eu (dovuto all’incremento dei tassi), 2 miliardi per l’amministrazione (incluso l’adeguamento degli stipendi dei funzionari all’inflazione), 15 miliardi per la politica migratoria e l’azione esterna e 10 miliardi per un fondo per l’innovazione. Per la revisione del bilancio 2021-27 serve l’unanimità. Germania, Paesi Bassi e altri frugali sono contrari, salvo per i fondi aggiuntivi da destinare all’Ucraina. “Al momento non c’è nessuna necessità”, spiega al Foglio un diplomatico di uno di questi paesi: “L’unica eccezione è per l’Ucraina”. Secondo un altro diplomatico, “le richieste di von der Leyen sono fuori dalla realtà. A pochi mesi dalle elezioni europee, chiedere più soldi agli stati membri per pagare di più i funzionari, mentre la Commissione chiede ai governi di tornare a rispettare il Patto di stabilità, non è accettabile”.

 

In realtà, il calendario elettorale è ancora più denso e meno propenso a compromessi sui soldi per l’Ue. Prima della fine dell’anno andranno alle urne Slovacchia, Lussemburgo, Polonia, Paesi Bassi e forse di nuovo Spagna. “Le elezioni olandesi sono quelle che pesano di più sui negoziati sul bilancio”, spiega una terza fonte, che ritiene improbabile un accordo prima delle europee del 2024. Tra i Ventisette, l’idea per uscire dell’impasse è spacchettare le richieste della Commissione: dare il via libera ai 17 miliardi in più per le sovvenzioni all’Ucraina (e ai 33 miliardi per i prestiti), rinviando tutto il resto al prossimo anno. “Per l’Ucraina non ci sono problemi”, dicono i due diplomatici dei paesi frugali. Orbán permettendo, ovviamente.

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