Donald Trump (Ansa)

verso le presidenziali

La seconda ascesa di Trump ci mostra com'è diventata l'America

Stefano Pistolini

Dopo l'incriminazione per i fatti insurrezionali di Washington del 6 gennaio 2021, l'ex presidente americano paragona l'America che lo perseguita alla Germania nazista: si predispone allo scontro finale, a una campagna elettorale senza precedenti in un paese che potrebbe non essere più quello che abbiamo conosciuto fino a oggi

Chi fa davvero le rivoluzioni? Giganti del pensiero, visionari senza paura, irresponsabili talebani, o anche figure mediocri, prive di fondato carisma, ma sospinte da impareggiabile ostinazione e da un irrazionale brama di potere, capace d’intercettare, per molti, complicati motivi, quello spirito di frustrazione che oggi traversa la società americana come un ago acuminato. Qui siede, irrequieto, Donald Trump, mentre coordina i plotoni avvocateschi incaricati di parare la gragnuola di colpi che piove dalla magistratura, intanto predisponendosi allo scontro finale, ovvero a una campagna elettorale senza precedenti, l’ultima dell’America per come la conosciamo e, da subito, la prima di una nazione in cui non sono più in vigore i valori costituzionali prestabiliti. 

E’ questo che annunciano senza equivoci le parole con cui Trump ha risposto all’incriminazione per i fatti insurrezionali di Washington del 6 gennaio 2021, paragonando l’America che lo perseguita alla Germania nazista e alla Russia stalinista, ovvero al Male che va distrutto. Non sono parole da prendere alla leggera: per quanta acqua si getti sul fuoco di queste dichiarazioni, non esiste un effettivo motivo per ridimensionarle, se non la parossistica follia di chi le pronuncia. Se si connette questa sconcertante constatazione coi numeri appena elaborati dai sondaggi, secondo cui sul fronte repubblicano sempre meno esisterebbe un credibile avversario di Trump, appare evidente che l’America conservatrice penda ormai in favore dell’estremismo irragionevole, dell’anti stato trumpiano e delle irreali promesse sottese a un suo ritorno alla Casa Bianca. Il tutto, a dispetto del moltiplicarsi delle candidature tra i conservatori e a dispetto del tentativo di un dubitabile personaggio come Ron DeSantis, l’unico che per ora possa aspirare a una decente contesa con colui che fu il suo mentore – per arrivare alla quale, dovrà comunque decidere il passo fatale: delegittimarlo, da quel momento incorrendo nel rischio di scomunica. 

 

E’ chiaro che si va verso una campagna che non delinea più l’America che abbiamo conosciuto e configura il paese per come si è ridefinito, tra i mugugni, lo scandire dei massacri nei mall, l’isterismo della protesta e della controprotesta razziale, il tenace attaccamento a principi dementi come la libera circolazione delle armi, la modificazione del suo ruolo negli scenari internazionali, smaccatamente interpretato come un affare da servizi segreti e patteggiamenti sotterranei, in una crescente contraddizione della democrazia. La seconda ascesa di Trump – non il disperato tentativo di metterla in atto, ma il nevrotico consenso che la circonda – oscura il resto, a cominciare dalla ragione contenuta nei procedimenti giudiziari che provano a contenerlo, riconducendolo ai suoi doveri di ex figura istituzionale, oltre che di semplice cittadino. 

Ma Trump ormai è altrove perché, col grossolano spirito pokeristico con cui affronta la cosa pubblica, è consapevole che la violenza con cui si contrappone alla legge e all’identità governativa paga straordinari dividendi in uno scontento popolare che ha lo stesso coefficiente d’irrazionalità dei suoi selvatici appelli al ritorno a un America solo vagheggiata, mai effettivamente esistita, al di fuori del marketing della sua rappresentazione. Quindi, nel salto di temperatura imposto dalle notizie di queste ore alla corsa per la presidenza, la questione va oltre Trump e richiede di chiarire urgentemente quale sia l’America che oggi invoca d’essere rappresentata da questo personaggio e, nel caso costituisca la maggioranza, di fronte a quale scenario collochi il mondo intero. 

 

A questo punto è evidente che solo un evento straordinario possa porre rimedio al configurarsi di un fronteggiamento troppo violento per essere contenuto nei limiti della democrazia: l’effetto-domino provocato dall’imminente avvio della campagna elettorale di Trump, palesemente descritta come una marcia su Washington, preclude a una situazione emergenziale. Eppure la sensazione è che lo sforzo prodotto dal dipartimento di Giustizia nel tentativo di inchiodare Trump alle sue responsabilità sia vana, perché il battito insurrezionale pulsa sempre più forte e gli umori popolari sono eccitati e fragorosi. 

Né il presidente Joe Biden né altri stimabili rappresentanti pubblici né le migliori voci dei media sembrano per ora in grado di pronunciare le parole indispensabili a riportare alla ragione una rappresentazione che sta sfociando nell’assurdo. Il conto alla rovescia per restituire alla logica l’assetto della nazione-cardine dell’occidente è cominciato: conviene confidare nel misterioso spirito di autoregolamentazione della Storia, che sovente, in situazioni di estremo allarme, ha materializzato soluzioni che oggi nessuno spin doctor riesce a immaginare. 

Di più su questi argomenti: