la ricostruzione

Quel che non capimmo quando i russi tirarono giù l'MH17 e quel che è chiaro oggi

Paola Peduzzi

L’abbattimento dell’aereo di linea il 17 luglio del 2014 è il paradigma di propaganda e impunità di Mosca. E' per questo che Kyiv oggi ribadisce che l'unica possibilità di sopravvivenza per l'Ucraina è eliminare la possibilità di una nuova futura invasione

Milano. Il 17 luglio del 2014, un lanciatore di missili Buk della 53esima Brigata aeronautica dell’esercito russo colpì il Malaysia Airlines Flight 17 (MH17) partito da Amsterdam e diretto a Kuala Lumpur in volo sopra l’est dell’Ucraina: morirono tutte le 298 persone a  bordo dell’aereo, 193 erano cittadini olandesi. Ieri le immagini di quel disastro si sovrapponevano a quelle della distruzione operata oggi dalle forze russe in Ucraina, i resti del Boeing 777 mischiati ai resti delle persone e ai loro oggetti, i passaporti, i libri, i giocattoli, le giacche, le borse. Alla fine dello scorso anno, otto anni e mezzo dopo l’attentato, una corte olandese ha condannato in absentia due cittadini russi e un ucraino. 

 

A febbraio, l’inchiesta del Joint Investigation Team guidata dalla procuratrice Digna van Boetzelaer ha stabilito che ci sono “indicazioni forti” che Vladimir Putin abbia approvato il trasferimento del sistema Buk nelle zone del Donbas occupate dalla Russia. Poiché il presidente russo è coperto dall’immunità, le indagini sono state chiuse con queste evidenze ma senza la possibilità di andare oltre, nonostante ci siano delle conversazioni intercettate in cui si capisce che il trasferimento del Buk è stato ritardato – era previsto per la fine di giugno – perché Putin era all’estero: il ministro della Difesa, Sergei Shoigu, non aveva il potere per prendere una decisione del genere, soltanto il presidente poteva farlo. La raccolta di informazioni continua, c’è la possibilità che possa finire tra i dossier che sta raccogliendo la Corte penale internazionale che ha spiccato il mandato d’arresto contro Putin, ma questo team investigativo si deve fermare di fronte alla protezione che la legge internazionale – che Mosca viola di continuo – garantisce a un capo di stato.

 

Gran parte della ricostruzione di quel che accaduto nove anni fa è il frutto delle inchieste meticolose di Bellingcat (che ha prodotto un podcast di sette episodi che racconta tutto, dalle “persone che cadono dal cielo” fino “alla caccia”), che sono state verificate in più sedi, ma ancora ieri sui social, sotto ai post della commemorazione, molti dicevano: chi ve l’ha detto che sono stati i russi? Sappiamo che sono stati i russi, ci sono molte prove univoche al riguardo, semmai quel che non sappiamo – o forse non comprendiamo – è perché allora e per tutti gli anni seguenti fino alla seconda invasione  russa dell’Ucraina, il 24 febbraio 2022, l’occidente ha voluto credere alla propaganda di Mosca che ha sempre negato il proprio coinvolgimento in quell’attentato, così come allora negava la presenza di proprie forze in Ucraina, salvo poi conferire medaglie in cerimonie pubbliche a quelli che allora erano conosciuti soltanto come “gli omini verdi”, soldati senza insegne che definivamo “separatisti”, sproloquiando sul fatto che quel pezzo di Ucraina fosse più russo che ucraino, proprio come lo era la Crimea.

 

Ci furono indignazione e sanzioni, certo, ma l’incredulità del mondo occidentale ebbe il sopravvento: c’è voluta questa invasione e soprattutto c’è voluta la resistenza ucraina che ha fermato quest’invasione – se il blitz putiniano avesse avuto successo, come si temeva nei primi giorni della guerra quando più che non capire la Russia non avevamo capito l’Ucraina, saremmo ricaduti nella trappola di allora – per prendere consapevolezza del piano originario di Putin e per imparare a contrastarlo. “Iron Butterflies” è stato presentato quest’anno al Sundance Festival: racconta l’abbattimento dell’MH17, ma soprattutto come quell’attentato ha cambiato “l’ecosistema dell’informazione globale”, ha detto il regista, Roman Liubyi (che fa parte del collettivo Babylon 13 di registi indipendenti nato dopo la rivoluzione del Maidan): “Ciò che è nero si mescolava a ciò che è bianco, e allora era davvero difficile parlarne, mentre oggi è più chiaro chi è il criminale”.

 

Non a tutti, visto che la propaganda russa fa proseliti in occidente, come dimostra il murales di Mariupol di Jorit, il cui messaggio vuole essere: gli ucraini e gli occidentali vi raccontano frottole, nelle zone occupate dai russi si sta bene. Questo rincorrersi di bugie ha annebbiato l’azione dell’occidente dal 2014 al 2022, l’impunità ha avuto un prezzo molto alto. E’ per questo che Kyiv oggi ribadisce che l’unica possibilità di sopravvivenza duratura per l’Ucraina è eliminare la possibilità di una nuova futura invasione. L’aereo abbattuto nove anni fa e poi nei fatti dimenticato serve a non ripetere lo stesso errore. Sappiamo di che cosa sono capaci i russi, non sappiamo perché abbiano fatto quell’attentato, questa risposta, dice il Joint Investigation Team, “resta ben custodita a Mosca”.

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  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi