La Russia ha un presidente ricercato dall'Aia

Micol Flammini

La Corte penale ha emesso un mandato di arresto internazionale per il presidente russo. La decisione rimette in ordine le regole internazionali e lancia un messaggio che non può essere frainteso: se invadi, uccidi e deporti sei un criminale di guerra

Da ieri il popolo russo è rappresentato da un uomo accusato di essere un criminale di guerra. Su Vladimir Putin pende un mandato d’arresto emesso dalla Corte penale internazionale dell’Aia e, se nel 2024 dovesse ricandidarsi alle elezioni presidenziali, come intende fare, e dovesse vincere, cosa  ormai al di là delle intenzioni di voto dei suoi concittadini, a Mosca sarà eletto un ricercato internazionale. Se la prossima settimana, come annunciato, il leader cinese Xi Jinping andrà al Cremlino  – e chiunque altro lo farà dopo di lui – incontrerà, tratterà e si offrirà come mediatore per un uomo che secondo la Corte penale internazionale “sarebbe responsabile del crimine di guerra di deportazione illegale di popolazione (bambini) e di trasferimento illegale di popolazione (bambini) dalle zone occupate dell’Ucraina dalla Federazione russa”. La Corte penale internazionale ha emesso il mandato d’arresto per Putin e per Maria Lvova-Belova, commissario per i diritti dei bambini della Federazione russa, che il mese scorso ha detto di aver adottato un bambino di Mariupol, e la cosa più rilevante è che ci sono “fondati motivi per ritenere” che Putin abbia  “la responsabilità penale individuale per i suddetti crimini”.

 

La risposta di Mosca è stata rapida: il mandato non ha alcun significato. L’ex premier Dmitri Medvedev ha suggerito di utilizzare il mandato di arresto come carta igienica, lasciando alla portavoce del ministero degli Esteri il compito di entrare nel dettaglio delle spiegazioni. Maria Zakharova ha sottolineato che la Russia non fa parte dello Statuto di Roma – ai sensi del quale è stato emesso il mandato – e non collabora con la Corte. Era facile immaginare che la reazione di Mosca, prima della rabbia, fosse la volontà di sbeffeggiare un organismo che considera privo di autorità. Il Cremlino ha risposto come ci si aspettava, ma quello che conta è la spaccatura che nascerà da questo mandato e soprattutto il riconoscimento che Putin non è più un presidente, ma un ricercato e all’Aia hanno le prove dei crimini. Annullare le regole dell’ordine e della convivenza internazionale per poi riscriverle è alla base dell’operato di Putin, lo ha fatto ovunque, in Ucraina lo ha fatto in modo più provocatorio, sfacciato, brutale che mai. Si è preso un pezzo di territorio e se lo è messo in tasca, ha dato l’ordine di distruggere, uccidere, deportare e la seconda Camera preliminare della Corte non si è chiusa   gli occhi. La Russia non ha ratificato lo Statuto di Roma e all’appello delle firme mancano altri paesi, tra cui gli Stati Uniti e la Cina, ma da questo momento il capo del Cremlino non potrà più recarsi negli altri centoventitré stati che invece ne  riconoscono la giurisdizione  e tra questi ci sono anche paesi amici, come il Venezuela, il Tagikistan o  il Brasile. Il mandato di arresto è una crepa tra due mondi, un punto a capo che riscrive anche le regole di comportamento dei leader internazionali con il presidente russo. 

 

Bisognerà evitare gli errori commessi dopo le guerre nei Balcani, per esempio, ma la dichiarazione della Corte penale  rimette  a posto le norme dell’ordine internazionale, apre la strada alla giustizia futura, dalla quale si dovrà partire per sanare le ferite ucraine e per ricostruire l’ordine globale. Ma soprattutto, la decisione della Corte restituisce alle colpe il loro nome: se invadi, distruggi, uccidi, deporti sei un criminale di guerra. Sei anche “un macellaio”, ma questo l’ha già detto Joe Biden. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.