Non è beneficenza aiutare l'Ucraina. Le polemiche su Zelensky ingrato verso gli alleati

Paola Peduzzi

Le visioni secondo cui un paese che lotta per la propria esistenza (e la nostra) si lagna, colpevolizza, allunga la lista delle richieste, e manco ringrazia. La ministra degli Esteri finlandese fa un po' di ordine: Kyiv "combatte per noi"

Milano. Nel blitz missilistico delle forze russe in Ucraina di giovedì  notte sono stati intercettati dalla difesa aerea ucraina 17 missili russi diretti sulla regione di Odessa, di Mykolaïv e Dnipropetrovsk (uno è caduto ferendo un uomo a Kryvyi Rih). C’è un attacco ogni notte, c’è un attacco quasi ogni giorno, su tutto il territorio ucraino: morti, feriti, danni. La controffensiva procede, l’attenzione internazionale scema – è tornata la stanchezza occidentale per la guerra, la stanchezza che gli ucraini esausti non possono permettersi – e tutto il mondo discute offeso del tweet di Volodymyr Zelensky sulla Nato. 

 

Il presidente ucraino è arrivato al vertice dell’Alleanza a Vilnius all’inizio della settimana su invito degli alleati: il programma prevedeva che lui facesse un incontro in città con i lituani – che lo hanno accolto come una rockstar – e poi raggiungesse i leader della Nato al palazzo del summit per la cena. Mentre si avviava al centro della città, è uscito il comunicato dell’Alleanza in cui si diceva che “il futuro dell’Ucraina è nella Nato” ma non si indicava un orizzonte temporale. Zelensky ha reagito con un tweet in cui definiva la decisione “inaccettabile e assurda” e presa in assenza dell’Ucraina, si è presentato teso e furioso davanti ai lituani in festa, è andato poi al vertice e sempre arrabbiato ha fatto la foto di gruppo.

 

Uno scatto di lui un po’ isolato sul palchetto con gli altri leader ha fatto il giro del mondo: gli ucraini la mostravano per ribadire che ancora una volta erano stati lasciati soli, molti altri invece la segnalavano per dire che la solitudine era il risultato della sua furibonda ingratitudine. Poi sono stati pubblicati i retroscena: gli americani si sono offesi per il tweet di Zelensky e quasi hanno ritirato l’invito al vertice; il ministro della Difesa inglese, Ben Wallace, arrabbiato pure lui perché voleva fare il segretario della Nato ma gli americani non l’hanno voluto, ha detto che Kyiv deve smetterla di trattare la Nato come se fosse Amazon (spiega di averlo detto direttamente anche agli ucraini lo scorso anno, “ci piaccia o no, la gente ha bisogno di vedere un po’ di gratitudine”); molti diplomatici hanno detto in via ufficiosa che Zelensky era stato offensivo, che l’Alleanza sta facendo di tutto e di più per sostenere l’Ucraina, che l’esasperazione di Kyiv era eccessiva. Negli incontri successivi, con Zelensky a tu per tu con i vari leader della Nato, tutti si sono ammorbiditi, il pacchetto militare e le garanzie di sicurezza sono apparse per quello che sono (grandi e durature), il presidente ucraino ha ritrovato il suo sorriso, ha ricominciato a dire grazie grazie grazie, ha abbracciato tutti ed è ripartito per Kyiv. Le polemiche sulla sua ingratitudine però non si sono quietate. 

 

Il direttore delle ricerche dell’European Council on Foreign Relations, Jeremy Shapiro, ha trovato una formula molto ripresa per descrivere il comportamento di Zelensky: il presidente ucraino “ha adottato – ha detto al Washington Post – una diplomazia basata sulla colpevolizzazione” degli alleati, che gli ricorda “la mia nonna ebrea, gli ebrei sono gli ex grandi maestri di questa tecnica”. Continua Shapiro: “‘Non mi scrivi mai, non mi chiami mai, non mi mandi gli F-16’, è la sintesi del metodo usato da Zelensky per ottenere quel che vuole dall’occidente e dagli Stati Uniti”. Ti faccio sentire in colpa così mi mandi le armi e mi sostieni: secondo questa visione insomma un paese che lotta per la propria esistenza (e la nostra) si lagna, non si accontenta, colpevolizza, allunga la lista delle richieste, e manco ringrazia. 

 

La ministra degli Esteri finlandese, raggiante perché il suo paese è entrato nella Nato ed è esponente di quel blocco di paesi che sa bene che la resistenza ucraina è la difesa dell’occidente intero non soltanto di quelli che geograficamente e storicamente temono la minaccia della Russia, ha rimesso in ordine le cose. “Noi occidentali dobbiamo capire –  ha detto Elina Valtonen al Financial Times – che non stiamo facendo beneficenza, perché l’Ucraina sta lottando per noi. Gli ucraini lottano per la nostra libertà e per l’architettura di sicurezza europea”. Più che l’ingratitudine e la colpevolizzazione, conta che non stiamo facendo un favore all’Ucraina, è l’Ucraina che lo fa all’occidente.
 

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi