Il murale putiniano nella Mariupol occupata dai russi

Paolo Mossetti

“Qui non c’è nessuno da liberare. E’ tutto l’esatto opposto di quello che ci raccontano in tv”, scriveva Jorit su Twitter

Kyiv. Se Hiroshima fosse Napoli, e nel centro cittadino fosse sopravvissuto un unico edificio alla bomba atomica, è certo che un assessore alla Cultura lo farebbe coprire con un murale di Ciro Cerullo, classe 1990, in arte Jorit. All’invasività dispettosa del writing nel capoluogo campano se n’è sostituita infatti un’altra, durante la “rivoluzione arancione” di Luigi de de Magistris, quella ultraretorica del populismo muralista. Da Fedez a Martin Luther King, da Maradona (in tutte le salse) all’oncologo Paolo Ascierto, questi interventi site specific dell’artista di Soccavo (Na), iperrealisti come fototessere e gravidi di retorica, ricordano più i faccioni totalitari di Mussolini che gli omaggi a Bobby Sands di Belfast.  Una collezione Panini di volti di eroi o martiri “civili”, già medializzati o presunti dimenticati, che ha in Jorit un quasi-monopolista, capace di espandersi nell’Italia intera, e anche all’estero.

 

Jorit in questi giorni è arrivato nella Mariupol ucraina occupata dai russi, dove ha dipinto un murale raffigurante una ragazza su un edificio. “Qui non c’è nessuno da liberare. E’ tutto l’esatto opposto di quello che ci raccontano in tv”, scrive su Instagram ai quasi 300 mila follower, al netto delle decine di utenti bannati poiché critici, inclusi alcuni ucraini.  Spiega: “La resistenza che avremmo dovuto appoggiare è quella del popolo del Donbass che lotta da 8 anni per liberarsi da un regime; quello di Kiev che di democratico oramai non aveva più niente”. E’ la stessa retorica adoperata da Vladimir Putin per giustificare l’invasione: da una parte i “nazisti” ucraini e il “genocidio” da loro compiuto, dall’altra le vittime. 

 

 

A Mariupol, dove gli stranieri in questo momento possono lavorare soltanto se scortati e monitorati dai gruppi separatisti o dalle forze russe occupanti, Jorit arriva dopo aver sempre fatto capire da che parte sta: a Napoli, all’inizio della guerra, in solidarietà con la Russia, realizza un Dostoevskij gigante nel quale, di nascosto, infila una bandiera delle repubbliche del Donbas nell’occhio (per l’opera verrà ringraziato dal presidente russo in persona, e si vantò di fare da paciere). Per non parlare di vari convegni “pacifisti”, in cui partecipa come esperto non si capisce di cosa, assieme a nomi del calibro di Fabiola D’Aliesio, leader dei Carc pro Putin, o di Vito Petrocelli, ex M5S espulso perché innamorato della “Z”. Una galassia così estrema da essere tenuta lontana anche da Potere al popolo.

 

 

Nella tragedia dell’Ucraina, la geopolitica di Mariupol è più complessa del muralismo stalinista, di questo artista archetipico di una sinistra anti imperialista senza più casa politica che si schiera con tutto ciò che è “contro”, a prescindere: nel 1991, anche la città vota per l’indipendenza da Mosca, e oggi i giovani si sentono molto più europei che sovietici. Dopo Maidan però il nazionalismo ucraino e filo Nato ha fatto disastri, incapace di includere questi cittadini “superflui”, come li chiama amaramente lo scrittore ucraino Anatoli Ulyanov, in un progetto di convivenza continentale.  Ma un conto è dire questo, un conto è usare come veicolo di una lettura machista della cronaca un’azione militare che ha espulso milioni di cittadini, distrutto un teatro con centinaia di persone dentro e alienato forse per decenni due popoli tra loro. Una sparata che disgusta anche Marco Messina, musicista dei 99 Posse: Non c’è motivazione che tenga. Fare un murales commissionato da Putin è una schifezza immane”, scrive su Twitter.

 

 

Così, se il writing illegale ambiva a essere avanguardia e a scardinare il concetto di bene pubblico, il kitsch joritiano viene legittimato e ratificato da una potenza nucleare. Il grande cuore coraggioso dell’artista gli fa dipingere a Mosca, e non altrove, il faccione di Julian Assange, il giornalista più perseguitato dalla Cia, così da regalare uno spottone all’imperialismo anti woke. Tanto lui si lamenta di essere perseguitato tanto aumentano le commissioni: in uno degli episodi più surreali, riceve l’ok della regione Campania per dipingere una Madonna su un ospedale di Pozzuoli con le fattezze della compagna di allora. E poi il volto di Frida Kahlo per abbellire il centro commerciale La Reggia, in provincia di Caserta. E si parla di altre gigantografie con Troisi e Maradona al Centro direzionale. Alla faccia degli hater e degli invidiosi, dice lui. Chissà se i suoi esercizi retorici saranno percepiti anche dai filorussi, oltre che da sempre più napoletani, come un pugno nell’occhio. E qualcuno chiederà una democratica rotazione degli artisti di regime.

 

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