I soldi, le armi e gli attacchi

Putin sarà fragile ma resta brutale in Ucraina. L'attacco a Kramatorsk

Paola Peduzzi

Il fattore milizie consente il più delle volte ai regimi di sopravvivere alla possibilità di una ribellione interna, dice al Foglio la professoressa Erica De Bruin, autrice di “How to prevent coups d’état”

La guerra di Vladimir Putin in Ucraina procede brutale, pure se siamo tutti impegnati a chiederci se il presidente russo riuscirà a mantenere il potere durante un conflitto pretestuoso, costoso, sanguinoso che non riesce a vincere. A Kramatorsk è stato colpito ieri un centro commerciale, un luogo affollato, in centro città.   Che Putin sia più debole o no, i suoi attacchi contro gli ucraini non si sono mai fermati, e questo è il dato da non dimenticare, pure se la coalizione d’establishment che tiene su il presidente russo è sotto stress. La dibattuta vulnerabilità di Putin non cambia la sua determinazione ad annichilire l’Ucraina, ma resta utile provare a fare una mappa dei  centri di potere che gli gravitano attorno, per capire se il loro sostegno può essere messo in discussione. Nei regimi, questa  distribuzione del potere serve a creare  contrappesi che si elidono tra di loro, in modo che il potere centrale resti in equilibrio. In “How to prevent coups d’état”, Erica De Bruin spiega   questo sistema complesso di controbilanciamenti che permette ai regimi di sopravvivere. 

 

Questo saggio prende in considerazione in particolare i centri di potere che mettono insieme due variabili fondamentali: i soldi e le armi, cioè le milizie semiprivate che fanno capo a manager di aziende di stato. E arriva a una conclusione interessante: il controbilanciamento il più delle volte funziona, nella misura in cui tante milizie non troppo grandi finiscono per non collaborare tra di loro e impediscono che una parte dell’apparato militare possa fare quel che i regimi temono di più, perché di fatto è la via principale con cui i regimi cadono, cioè muovere guerra al loro stesso capo. Non va sempre così, ma il più delle volte – questo sostiene la professoressa dell’Hamilton College   portando molti esempi del passato – questo meccanismo consente ai regimi di sopravvivere alla possibilità di una ribellione interna. 

 

Oggi la De Bruin dice che la relazione tra gli autocrati e l’élite che li sostiene può essere messa sotto tensione quando i dittatori lanciano una guerra, in particolare se le élite pensano che il conflitto non sia gestito in modo  efficace. In sostanza: i contrappesi di potere come salvaguardia dei regimi funzionano in tempo di pace, ma nel momento in cui c’è una guerra l’equilibrio può saltare. “Le milizie sono destinate a diventare un problema reale per Putin”, dice al Foglio la De Bruin: “In tempo di guerra, gli stati dipendono spesso da questo tipo di milizie filogovernative perché ne traggono notevoli vantaggi. Le milizie fanno da ‘moltiplicatore di forze’ per quel che riguarda l’aspetto economico: non costano quanto il reclutamento, l’addestramento e l’equipaggiamento delle truppe regolari. E i regimi che si rivolgono alle milizie garantiscono spesso una smentita plausibile alle loro azioni e consentono di non rendere conto delle atrocità commesse”. Nel 2014, in Ucraina e poi in Siria, i paramilitari della Wagner avevano proprio questa funzione e l’occidente cadde nella trappola degli “omini verdi”. “Ma dipendere da queste milizie in tempo di guerra – continua la De Bruin – conferisce loro anche un potere contrattuale: i leader delle milizie spesso sviluppano una propria base di potere. Questo rende più difficile per il governo contenerli”. 

 

Nello specifico: Prigozhin, leader dei paramilitari della Wagner che da mesi continua ad attaccare l’esercito russo, non ha tentato un colpo di stato, ma più precisamente un ammutinamento volto a cambiare  proprio i vertici dell’esercito russo  – e a salvare il futuro della Wagner che dal primo di luglio era destinata a essere assorbita nell’esercito regolare – che poi è stato derubricato a “protesta” dallo stesso Prigozhin. Nelle ultime ore, dopo la rivendicazione del leader della Wagner e la risposta di Putin sui contratti della milizia con l’esercito, questo caos ha preso ad assomigliare a uno scontro sindacale, ma quel che conta da un punto di vista più strutturale è che la ribellione di Prigozhin ha mostrato per la prima volta un’insofferenza dentro al mondo creato da Putin. Probabilmente non è alla Wagner che ora dobbiamo guardare: ci sono molte altre milizie dentro la Russia legate a manager rilevanti e questo accentramento di soldi, influenza e armi  potrebbe diventare pericoloso per il regime, soprattutto se il regime non riesce a vincere la guerra che sta depauperando la Russia, lasciando gli oligarchi senza più i privilegi legati al loro potere, quindi parecchio nervosi. Per il momento la milizia più chiacchierata è quella legata a Gazprom e al suo amministratore delegato Alexei Miller, che in realtà, secondo una ricostruzione fatta dal bravissimo trio del Financial Times, Polina Ivanova, Christopher Miller e Max Seddon, e composta da due battaglioni, Potok (che vuol dire flusso) e Fakel (torcia), e che sarebbe nata di recente proprio per controbilanciare il peso eccessivo della Wagner. Al momento quindi fa da contrappeso, serve a Putin, ma molte fonti dicono che le milizie private in Russia sarebbero molte di più e contare sulla loro sottomissione e sulla non collaborazione tra di loro più va avanti una guerra che Mosca non sta vincendo potrebbe diventare un azzardo per il Cremlino. 

 

Secondo la De Bruin, è improbabile che oggi ci sia un colpo di stato portato avanti da queste milizie, che però “sono incredibilmente difficili da contenere se iniziano a resistere alle richieste di disarmo e diventano  eserciti privati autonomi. Regolarizzare le milizie nell’esercito, come ha cercato di fare il ministero della Difesa russo chiedendo loro di firmare dei contratti, può ridurre alcuni dei rischi, ma come dimostra Prigozhin, c’è una concreta resistenza a questa idea, poiché il contratto ne limita l’indipendenza”. Ma il problema, per un regime in guerra, è proprio questa indipendenza e, conclude la professoressa, “sarà molto difficile per Putin cercare di portare le milizie sotto un maggiore controllo governativo senza compromettere ulteriormente lo sforzo bellico”.

 

Quel che s’è intravisto nello scontro tra Putin e Prigozhin è questo possibile punto di frattura del regime. La scrittrice Masha Gessen scrive: “Prigozhin ha reso pubblica la sua conversazione con il vice ministro della Difesa e il vice capo di stato maggiore: è la prima conversazione politica fuori copione ad alto livello che i russi hanno visto da anni. Sembravano dei teppisti che mercanteggiavano sui termini del loro racket, ma era una negoziazione – era politica – ed era una possibilità. La maggior parte dei russi che conosco non vorrebbe vivere nel paese che questo scambio fa presagire, ma è comunque diverso da quello in cui vivono ora”, un’alternativa.

  • Paola Peduzzi
  • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi