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guerra e denaro

Quanto vale (pure per Putin) il business africano della Wagner

Luca Gambardella

Dai diamanti al petrolio, dal legname all'oro fino alle armi. L'Africa è il motore dei mercenari russi e immaginare uno smantellamento della rete di Prigozhin è difficile 

“Quando combattevamo in Africa ci hanno detto: ‘Ci serve l’Africa’. Poi però l’hanno abbandonata, perché hanno rubato tutto il denaro che serviva ad aiutarci”. Sabato mattina, mentre alcuni dei suoi uomini marciavano verso Mosca, Evgeni Prigozhin ha diffuso un audio su Telegram con una delle sue invettive contro il Cremlino. In essa, il capo della Wagner spiegava che fra le ragioni della cosiddetta “insurrezione” c’era la distanza di vedute sulla gestione del business in Africa. Una frattura maturata – anche in questo caso – fra il comandante della Wagner e il ministero della Difesa di Mosca, Sergei Shoigu. Secondo fonti interne alla milizia privata rilanciate dal consigliere del ministero dell’Interno ucraino, Anton Gerashchenko, oltre alla rimozione di Shoigu e all’amnistia per gli uomini della Wagner, una delle richieste fatte da Prigozhin a Putin è stata “la possibilità di tornare in Africa”. Le operazioni militari ed economiche dei mercenari in Africa si avvalgono dell’aiuto logistico del ministero della Difesa di Mosca ed è per questo che la denuncia di Prigozhin era diretta, con ogni probabilità, a Shoigu. 

 

Fra i problemi di Wagner in Africa oggi c’è il Mali. Fonti diplomatiche riportate dal Monde dicono che la giunta militare del paese  non ha sufficienti fondi per pagare i russi schierati al loro fianco nella guerra a islamisti e separatisti. Secondo Prigozhin, Mosca non si sarebbe occupata a sufficienza di tutelare gli investimenti della Wagner in Africa, creando così un danno anche per la guerra in Ucraina. Lo scorso 23 maggio, il portavoce del dipartimento di stato americano, Matthew Miller, ha dichiarato che la Wagner “ha tentato di acquistare sistemi militari da fornitori stranieri e di indirizzare queste armi attraverso il Mali” verso il fronte ucraino.  

 

Ma oltre alle armi, per la Wagner l’Africa è un forziere da preservare ed è il vero motore della milizia. Lo schema di base è sempre lo stesso: garantire sicurezza in cambio di risorse naturali. Almeno, questo sarebbe il piano nelle intenzioni, perché in paesi come Mali, Repubblica centrafricana, Libia, Sudan o Siria il concetto di sicurezza è molto labile e si confonde piuttosto con la difesa di dittature brutali. Le missioni della Wagner in Africa sono pianificate per arricchire i mercenari, non per ottenere successi strategici, come dimostrano le esperienze di questi anni. In Mozambico, i militari russi furono costretti ad andarsene nel 2020 messi in fuga dai jihadisti; in Libia l’offensiva verso Tripoli a sostegno del generale Khalifa Haftar è fallita; in Mali e Repubblica centrafricana le milizie affiliate ad al Qaida e allo Stato islamico sono sempre più forti. Ciò che conta per la Wagner è ottenere la compiacenza dei regimi locali per mettere le mani sulle loro ricchezze, per il Cremlino e tenere un piede in quei paesi. 

 

In Sudan, dal 2017 la Wagner investe nell’estrazione dell’oro attraverso una società chiamata M Invest e controllata da Prigozhin. Già dai tempi dell’ex dittatore Omar al Bashir, i russi controllano il settore estrattivo del paese attraverso una compagnia sussidiaria della M Invest, la Meroe Gold, diretta da Mikhail Potepkin, uomo di fiducia di Prigozhin. Il giro d’affari qui si aggira attorno ai 2 miliardi di dollari. 

 

Nella Repubblica centraficana, oltre all’oro e al legname, gli interessi della Wagner ruotano attorno all’estrazione dei diamanti, che già ha fruttato una somma compresa fra 1 e 3 miliardi di dollari. Poi c’è il petrolio. In Siria, dal 2018, una compagnia petrolifera collegata a Prigozhin, la Evro Polis, ha ottenuto dal regime di Bashar el Assad una fetta cospicua degli introiti, pari al 25 per cento, in cambio del suo sostegno nella guerra civile. In Libia, la Wagner controlla quattro basi militari, dove ha spostato decine di caccia Mig-29 e Su-24. In cambio del suo appoggio a Haftar ha avuto la gestione della sicurezza dei pozzi petroliferi nella Cirenaica. Dopo avere bloccato i pozzi per due anni, nel 2022 i russi hanno ottenuto la nomina di un uomo di loro gradimento alla guida della National Oil Company, la società che gestisce l’estrazione del petrolio. 

 

Proprio per la sua natura tutta votata al profitto, l’arma che si è dimostrata più efficace per arginare l’influenza della Wagner in Africa è stata quella delle sanzioni. Due mesi fa, gli Stati Uniti hanno emesso delle misure restrittive contro il capo dei mercenari russi in Mali, Ivan Aleksandrovich Maslov. Maslov è accusato di avere creato una vasta rete di coordinamento da cui estendere l’influenza militare ed economica della Wagner nel resto dell’Africa. Fu lui a pianificare la strage di Moura dello scorso anno, dove morirono 500 persone e considerata la più efferata compiuta dagli uomini della Wagner al di fuori dell’Ucraina.  Sanzioni come queste limitano i canali di approvvigionamento della milizia privata e hanno dimostrato di essere efficaci, colpendo banche e società straniere di cui si avvalgono gli uomini di Prigozhin. Ma dopo l’“insurrezione” di venerdì sera, il Wall Street Journal ha riferito di alcuni “ripensamenti” da parte degli americani su come procedere. Gli Stati Uniti avrebbero paura che colpire adesso Prigozhin possa tradursi in un aiuto indiretto a Putin. Per oggi sarebbero previste nuove misure restrittive per colpire il traffico d’oro  gestito dalla Wagner in Africa. Un ritardo in tal senso rischia però di rivelarsi un boomerang. Gli affari della Wagner in Africa sono ancora tutti in piedi e per ora non si vede come questa ampia e complessa rete di traffici possa dissolversi all’improvviso. 

  • Luca Gambardella
  • Sono nato a Latina nel 1985. Sangue siciliano. Per dimenticare Littoria sono fuggito a Venezia per giocare a fare il marinaio alla scuola militare "Morosini". Laurea in Scienze internazionali e diplomatiche a Gorizia. Ho vissuto a Damasco per studiare arabo. Nel 2012 sono andato in Egitto e ho iniziato a scrivere di Medio Oriente e immigrazione come freelance. Dal 2014 lavoro al Foglio.