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l'editoriale dell'elefantino

La favola nera della Russia, un paese in mano a bande di ladri e macellai

Giuliano Ferrara

La rivolta del cuoco di Putin ha messo nei guai la fetida impresa politica e militare del Cremlino. L’eventuale vendetta del capobanda, se ci fosse, apparirà il primo atto di un epilogo brutale e triste, a un passo da Ceausescu. Altro che lo zar

Nessuno sa niente e il buio copre la fronda armata in Russia. Brendan Kearney, ex capo dei Marines che ha studiato la Russia per cinquant’anni, ha detto a chi avanzava ipotesi al mattino di sabato, subito dopo l’appello di Putin contro i traditori, che per quanti affettano di conoscere la Russia c’è un solo augurio possibile: “Good luck!”. Ma la rivolta del cuoco di Putin, così diverso dalla cuoca che Lenin voleva alla testa dello stato, dimostra inequivocabilmente che quel paese meraviglioso è nelle mani di una banda, anzi di più bande composte di ladri e di macellai. In cuoco veritas. Ha detto che nessuno minacciava la Russia prima del 24 febbraio in cui duecentomila poveracci con le pezze al culo furono indotti a invadere e occupare l’Ucraina. Non c’erano nazisti in circolo. Non c’era una vera guerra nel Donbas. Non c’era niente da smilitarizzare alla frontiera per difendere la patria dall’occidente e dalla Nato. 

Nella sua aggressiva ubriachezza, nella sua furia del mercenario che si sente tradito dai militari con le stellette, dai Gerasimov, dai Surovkin, dagli Shoigu, Prigozhin si è rivelato più sobrio di legioni di topini da talk-show di questo nostro infelice paese mediatico, ciarliero quanto cialtrone. La posta in gioco dei macellai che hanno massacrato un pezzo d’Europa erano soldi e carriere. Putin crede di interpretare il ruolo di Nicola II nel 1917, quando abdicò tradito dall’esercito, ma è solo il mandatario disilluso di un personaggio formidabile e losco che gli si rivolta contro, è un potente poveraccio che si appella disperato contro la fronda armata che lo minaccia.

Il cuoco, un ex rapinatore, un venditore di hot dog, poi un ristoratore e businessman, infine fondatore di un esercito di avanzi di galera che cerca di eleggere Trump a capo degli Stati Uniti con la pirateria cibernetica, e poi fa le sue scorrerie in Africa, e che ha portato l’eroismo della follia in Crimea e poi nella più sanguinosa delle battaglie sul fronte ucraino, ha tirato fuori il vero dalle sue viscere, varcando la linea rossa della solidarietà con i servizi e il Cremlino, alle cui trame e menzogne era ben collegato, e mettendo nei guai la più fetida impresa politica e militare da un secolo a oggi, le avventure del Terzo Reich a parte. Può darsi che lo fucilino. Può darsi che stipulino con lui un compromesso oscuro dell’ultimissima ora. Può darsi che batta in breccia un establishment politico-militare alla frutta, con il suo capo: di sicuro ha messo a nudo la più grande mistificazione antioccidentale e il più colossale totem di tutti gli sciagurati che si battono a chiacchiere contro la società aperta, la globalizzazione, l’alleanza internazionale delle democrazie contro le autocrazie. Un uomo piccino, un piccolo ebreo di coraggio e di genio, ha resistito a Kyiv, e lo abbiamo visto mille volte nei video. Un gigante in maglietta, seduto con la bandiera del suo battaglione Wagner dietro la schiena, ha mandato in frantumi la favola nera degli oligarchi russi e dei loro manutengoli in un altro video Telegram che comunque farà storia. 

Davanti alla rivolta che lo minaccia il capobanda ha smesso in diretta le vesti posticce dell’uomo forte, del regolatore potenziale di un nuovo ordine mondiale contro quanto era uscito di buono dalla Guerra fredda; potrà continuare a accumulare e macellare, con l’aiuto degli straccivendoli da piccolo schermo e della sua rete di influencer, ma dopo l’appello del sabato mattina, con l’occhio finalmente tremulo e il linguaggio impaurito del corpo, anche la sua eventuale vendetta, se ci fosse, apparirà il primo atto di un epilogo brutale e triste, a un passo da Nicolae Ceausescu. Altro che lo zar. 
 

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  • Giuliano Ferrara Fondatore
  • "Ferrara, Giuliano. Nato a Roma il 7 gennaio del ’52 da genitori iscritti al partito comunista dal ’42, partigiani combattenti senza orgogli luciferini né retoriche combattentistiche. Famiglia di tradizioni liberali per parte di padre, il nonno Mario era un noto avvocato e pubblicista (editorialista del Mondo di Mario Pannunzio e del Corriere della Sera) che difese gli antifascisti davanti al Tribunale Speciale per la sicurezza dello Stato.