nelle casse del cremlino

Le ricadute economiche sulla Russia della rivolta di Prigozhin

Luciano Capone

Dopo la rivolta di Prigoshin, apparentemente l'economia è tornata alla normalità. Ma l'aumento dell'incertezza sulla stabilità del paese farà ridurre gli investimenti domestici ed esteri, rendendo la Russia sempre più schiacciata sul modello di sviluppo militare-industriale come ai tempi dell'Urss

Da giorni tutto il mondo si interroga sulle cause della mezza marcia su Mosca di Prigozhin e sulle ricadute sul sistema di potere del regime di Vladimir Putin. Ma quali sono le conseguenze della ribellione della brigata Wagner sull’economia della Russia? Apparentemente nessuna. Tutto sembra tornato alla normalità. Il primo ministro russo Mikhail Mishustin ha riunito i suoi e fatto una valutazione sull'impatto economico dell’ammutinamento dell’esercito di mercenari. In linea di massima, non è accaduto nulla di sconvolgente.

 

Nell’immediato, dopo le prime immagini della conquista di Rostov e dell’avanzata dei carri armati verso la capitale, si è registrato un forte aumento della richiesta di contanti, del 70-80%, da parte dei cittadini, soprattutto nelle regioni vicine alla Wagner. Analogamente si è impennata la domanda di beni alimentari e carburanti, senza però arrivare a un esaurimento dell’offerta ai bancomat, agli scaffali e alle pompe di benzina. I cittadini hanno cercato di fare scorte di denaro contante, cibo e carburante per prepararsi al precipitare degli eventi, ma poi tutto è rientrato.

 

Qualche problema in più lo si è visto sul fronte dei trasporti. Si è registrata un’impennata dei prezzi dei biglietti aerei per l’estero, un po’ com’è accaduto subito dopo l’invasione dell’Ucraina nel febbraio 2022 e la mobilitazione parziale di settembre, accompagnata a forti ritardi dei voli per via degli ingorghi, ma il traffico aereo non è stato sospeso. Per quanto riguarda il traffico stradale, le autorità avevano bloccato diverse autostrade e – secondo le stime del governo – il passaggio dei carri armati e gli scavi per impedirne il passaggio hanno danneggiato oltre 10 mila metri quadrati di manto stradale. Ma in gran parte i lavori di ripristino sono stati effettuati e il traffico è tornato scorrevole. Sul piano finanziario il rublo si è svalutato: ce ne vogliono 85 per comprare un dollaro, il livello più basso negli ultimi 15 mesi, anche perché molti russi sono corsi a comprare valuta straniera. Ma anche in questo caso, nulla di impressionante se si pensa al crollo del rublo a quota 150 sul dollaro nei primi giorni di marzo dell’anno scorso, subito dopo le sanzioni occidentali.

 

Dopo lo choc, insomma,  tutto sembra ritornato alla normalità. Ma come sul piano politico in pochi credono all’“altissimo consolidamento della società, del potere esecutivo e legislativo” di cui ha parlato Putin nel suo discorso dopo l’accordo con Prigozhin, allo stesso modo è difficile immaginare che un tale evento che ha scosso il Cremlino e la “verticale del potere” non avrà alcuna conseguenza sull’economia russa. In un paese già fortemente colpito dalle sanzioni dell’Occidente, aumenta notevolmente l’incertezza per gli operatori economici. E questo, ovviamente, ha un riflesso sugli investimenti.

 

Sicuramente sugli stessi imprenditori russi, che vedono una guerra in Ucraina da cui è difficile uscire e un potere politico che si fa sempre più fragile e minaccioso, con poche garanzie per il futuro – da un lato per l’instabilità del regime, e quindi la prospettiva del caos, e dall’altro per un’evoluzione sempre più autoritaria, e quindi un’applicazione più estesa della legge marziale. Non solo le imprese russe rallenteranno i piani di sviluppo ma, soprattutto, per Mosca sarà ancora più difficile attrarre investitori esteri. Ovviamente dai paesi ostili occidentali, ma anche dai paesi finora ritenuti amici le cui industrie sono fondamentali per la sostituzione nelle forniture. Non solo, ovviamente, dai paesi ostili occidentali, ma anche dai paesi finora ritenuti amici le cui industrie sono fondamentali per la sostituzione nelle forniture.

 

L’economia russa va, insomma, in direzione opposta a quella indicata dalla governatrice della Banca centrale Elvira Nabiullina, che auspica maggiori privatizzazioni, liberalizzazioni e integrazioni nel commercio internazionale per poter trasformare l’economia russa dopo lo strappo con l’Occidente. A questo si aggiunge una difficoltà del settore energetico, con un crollo del 50% delle entrate fiscali da gas e petrolio nei primi mesi del 2023 rispetto all’anno precedente. Al momento, come segnala l’analista Alexandra Prokopenko su The Bell, la leva principale dell’economia russa è la spesa militare ora salita al 6,2% del pil. Il “keynesismo di guerra” funziona nel breve termine, ma sta conducendo la Russia di Putin verso un modello di sviluppo militare-industriale simile a quello dell’Unione sovietica: una trappola di scarsa innovazione e bassa crescita.

 

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  • Luciano Capone
  • Cresciuto in Irpinia, a Savignano. Studi a Milano, Università Cattolica. Liberista per formazione, giornalista per deformazione. Al Foglio prima come lettore, poi collaboratore, infine redattore. Mi occupo principalmente di economia, ma anche di politica, inchieste, cultura, varie ed eventuali