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“Se la Svezia non entra nella Nato è un problema”, ci dice l'ex ministro Johansson

Francesco Gottardi

Jens Stoltenberg volerà in Turchia per discutere l’adesione del paese scandinavo nella Alleanza atlantica. “Raggiungere un accordo entro luglio è assolutamente possibile”, ma molto dipende da Erdogan

Venezia. Oggi Jens Stoltenberg volerà in Turchia per discutere l’adesione della Svezia alla Nato. “Ho già parlato con Erdogan”, ha detto il segretario generale dell’Alleanza atlantica. “Raggiungere un accordo entro luglio è assolutamente possibile”. La fiducia dell’occidente poggia sull’esito delle urne e sulla speranza che con la rielezione e la sicurezza del sostegno interno Erdogan toglierà il veto sulla Svezia. Ma da Stoccolma filtra prudenza, se non scetticismo. “Erdogan è Erdogan”, dice al Foglio Morgan Johansson, vice primo ministro svedese dal 2019 al 2022. “Con lui e il suo modo di far politica non c’è molto da fare. O meglio: più di soddisfare tutte le condizioni poste dalla Nato, noi non possiamo. E’ il momento che gli altri paesi membri alzino la voce. Se lo stallo persiste, ne risentirà la sicurezza del nord Europa”.

Che la Svezia abbia fatto la sua parte, lo riconosce anche Stoltenberg. Soprattutto in seguito alla nuova legislazione antiterrorismo entrata in vigore in questi giorni che,  dopo la crisi di gennaioquando un estremista bruciò una copia del Corano davanti all’ambasciata turca a Stoccolmaè stata un passo importante verso la distensione. “Non vogliamo speculare sulle probabilità. Ma se la Finlandia entra nella Nato e noi no, sarà un bel problema per tutti”. Johansson è un veterano del Riksdag: negli ultimi vent’anni è stato ministro della Salute pubblica, delle Politiche migratorie, dell’Interno e della Giustizia. Fa parte dei Socialdemokraterna, il Partito socialdemocratico di Magdalena Andersson. Oggi è all’opposizione e ricopre il ruolo di vicepresidente della commissione parlamentare Affari esteri. “Con Helsinki abbiamo sempre condiviso un piano di difesa reciproca”, spiega il politico. “E finora è stato il nostro unico accordo di salvaguardia internazionale negli ultimi 200 anni: per la Svezia, richiedere l’ingresso nella Nato è una svolta storica. Ma necessaria. Serve a noi e serve all’Europa. L’aggressione russa all’Ucraina significa che Putin non ha alcun interesse a mantenere la pace nel continente”.

Ormai la domanda di adesione risale a un anno fa. “Tutti i paesi membri l’hanno approvata. Tutti, tranne Ungheria e Turchia”. Per ragioni diverse. “Quello di Budapest è un semplice gioco di potere: Orbán vuole fare leva sul veto per allentare la pressione internazionale sullo stato di diritto ungherese. Nel caso di Erdogan, come sappiamo, è un’altra storia”. E ha a che fare con i curdi, il loro rapporto con la Svezia e le mire del presidente turco. “Muoverci in questa direzione è il massimo che potevamo fare. E lo abbiamo fatto uniti. Ma non è stato semplice”, ammonisce Johansson.

Dallo scorso settembre la Svezia è governata da una  coalizione conservatrice. Di fatto però, a dettare l’agenda di Stoccolma sono i Democratici svedesi. “Cioè gli estremisti di destra. Che urlano tanto e minacciano disgrazie come la Swexit”, versione scandinava della Brexit che scelse il Regno Unito. “Per fortuna siamo lontani da uno scenario simile. Ma anche solo metterlo al centro del dibattito pubblico, è un esercizio pericoloso: ogni segnale che può dividere l’Unione europea fa il gioco di Putin. Finora i cittadini non ci cascano. E anzi, sono sempre più preoccupati dalla svolta autoritaria intrapresa dalla Svezia: è a rischio l’indipendenza delle università, dell’imprenditoria. Proliferano campagne contro la comunità Lgbtq e cresce la repressione. Non vogliamo fare la fine di altri paesi”.

Johansson si riferisce all’Ungheria e alla Polonia. Non all’Italia, che pure ha svoltato a destra di pari passo con la Svezia. “Finora non ho notato nel governo Meloni quelle tendenze riscontrabili in Orbán e Morawiecki”, sottolinea il socialdemocratico. “Vedremo nel lungo periodo”. Il futuro del suo partito, invece? “Presto di nuovo al governo. Abbiamo perso le elezioni per un problema di coalizione. Ma gli ultimi sondaggi danno Socialdemokraterna al 38 per cento”, la miglior proiezione dal 2002. “Una crescita sorprendente, considerato che negli ultimi otto anni siamo stati la principale forza di maggioranza. Fa capire che la strada è giusta: l’esecutivo di destra non ha mantenuto molte promesse, ora tocca a noi rispondere alle sfide più urgenti. Crisi economica e climatica, caroprezzi dell’energia e del mercato immobiliare. La gente cerca stabilità, non sovversione dell’ordine costituito”. Su un solo tema, nella Svezia di oggi, c’è consenso bipartisan: “Unirci alla Nato insieme alla Finlandia, per mettere fine alla guerra di Putin”. E non è poco.

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