dentro al cremlino

Prigozhin lascia Bakhmut all'esercito russo ed è una sfida

Micol Flammini

Per il capo della Wagner l’Ucraina è ormai secondaria, lui combatte una guerra privata che ha come centro Mosca. Kyiv ne paga tutte le conseguenze

La guerra di Vladimir Putin contro l’Ucraina contiene al suo interno tante altre guerre, tutte ormai molto private. Anche il presidente russo ha iniziato una guerra per ragioni che hanno a che vedere con il suo potere, che vorrebbe perpetuo, e per portarla avanti fa affidamento su altre persone,  ugualmente mosse da interessi personali. Tra loro ci sono i fedeli, come il leader ceceno Ramzan Kadyrov, che con i suoi uomini non smette di mostrare lealtà al presidente, rivendica conquiste e comunque combatte perché crede che verrà ripagato con denaro, altro potere, repressione dura di chiunque vorrebbe una Cecenia libera da lui e da Putin. Poi ci sono i mercenari, schierati dietro a Evgeni Prigozhin, che invece per Putin è diventato un problema. 

 

Prigozhin è conosciuto come il cuoco di Putin ma ha detto in una recente intervista che avrebbero dovuto chiamarlo il “macellaio di Putin”, lui sicuramente non sa cucinare. Ha partecipato alle guerre del Cremlino, dove il Cremlino fingeva di non essere presente, come in Libia, in Repubblica centrafricana o in Sudan. O nella stessa Ucraina, quando la guerra era confinata nel Donbas. Prigozhin con la sua Wagner, dopo sette mesi, ha preso la città di Bakhmut, si è fatto vedere nel centro distrutto con la bandiera russa in mano e, qualche giorno dopo, si è fatto filmare mentre dava istruzioni ai suoi uomini per concludere il ritiro dalla città entro il primo giugno e lasciare le postazioni nelle mani dell’esercito regolare che risponde al ministro della Difesa Sergei Shoigu. L’importante per Prigozhin era dimostrare di poter conquistare la città, ora non gli interessa se l’esercito sarà in grado di tenerla, lui suppone di no, ma la sua guerra privata aveva questo primo obiettivo: far vedere la differenza tra chi vince e chi perde sul campo di battaglia, tra un capo che va al fronte, lui, e chi se ne rimane a Mosca, Shoigu. Poco gli interessa degli ucraini, la sua guerra privata è contro il Cremlino, contro le Forze armate, contro il ministro della Difesa. 

 

I giornalisti del sito Moscow Times sono andati per le strade di Mosca a domandare alle persone se conoscessero Prigozhin, i russi non parlano volentieri di personaggi pubblici, tanto meno di fronte alle telecamere e men che meno quando hanno a che fare con il Cremlino. Quasi tutti hanno risposto di conoscerlo, qualcuno ha detto che si tratta di un cuoco – macellaio, direbbe lui – qualcuno, con qualche imbarazzo, ha detto che è il capo della Wagner: prima dell’invasione dell’Ucraina non era immaginabile parlare della compagnia mercenaria, ammettere la sua esistenza e attribuirle un capo. Tutti si sono astenuti dal dare giudizi di merito. Prigozhin si muove come un populista, ne conosce le migliori tattiche, utilizza Telegram per comunicare, ben sapendo che i russi si informano molto sull’applicazione. Quando parla sa chi prendere di mira e perché farlo: si riferisce a Putin soltanto con vaghezza, senza chiamarlo mai per nome perché il tabù del presidente non è ancora caduto, attacca direttamente Shoigu e soprattutto i figli degli uomini della politica russa e parla di corruzione. Sa che ci sono famiglie con figli in guerra, alcuni sono partiti nella speranza di riportare dei soldi, da vivi  o da morti, per questo insiste tanto sulla vita che invece conducono i figli dei generali russi: vuole accendere la rabbia, il senso di ingiustizia. Difficile dire se sia davvero interessato alla politica o soltanto a fare il burattinaio, ma la sua guerra, che fa male all’Ucraina, in realtà è contro i suoi connazionali. 

 

Il Cremlino l’ha capito, ma è tardi. A Prigozhin sono sempre stati affidati gli affari che più stavano a cuore a Putin, sa molto, sa troppo, è ancora indispensabile. Nel frattempo però la compagnia russa Gazprom sta cercando di prendere il posto di Prigozhin e ha le sue milizie di mercenari che combattono in Ucraina. Sul campo di battaglia c’è già il gruppo chiamato Potok – vuol dire flusso, in russo il gasdotto che noi chiamiamo Nord Stream si chiama Severnyj potok, una multinazionale dell’energia non poteva scegliere altrimenti – che si sarebbe presentato sul campo di battaglia a Bakhmut per combattere con la Wagner. La convivenza non è andata affatto bene: il punto non era prendere le macerie della città ucraina, il punto, per tutti, era prenderle prima degli altri. Ha vinto Prigozhin, non tanto contro Kyiv, quanto contro gli altri gruppi. 

 

Le guerre private dentro alla guerra contro l’Ucraina sono tra i motivi di insuccesso dell’invasione di Putin e adesso che ognuno ha le sue rivendicazioni e le sue ricette per la vittoria, adesso che Prigozhin ha parlato tanto e minacciato altrettanto, la frammentazione può solo aumentare. 

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  • Micol Flammini
  • Micol Flammini è giornalista del Foglio. Scrive di Europa, soprattutto orientale, di Russia, di Israele, di storie, di personaggi, qualche volta di libri, calpestando volentieri il confine tra politica internazionale e letteratura. Ha studiato tra Udine e Cracovia, tra Mosca e Varsavia e si è ritrovata a Roma, un po’ per lavoro, tanto per amore. Sul Foglio cura con Paola Peduzzi l’inserto EuPorn in cui racconta il lato sexy dell’Europa, ed è anche un podcast.